Non fate affidamento sul PIL
L’articolo di oggi mette in evidenza gli aspetti teorici di come il PIL sia una statistica inutile e fuorviante per chiunque voglia “misurare” per davvero la crescita effettiva di un Paese. All’atto partico non esiste esempio migliore di quello cinese, dove le metriche ufficiali del PIL, sfoggianti ritmi di crescita fenomenali nel corso del tempo, vengono smentiti nel momento in cui si guarda più attentamente. Ironia della sorte sono i cinesi stessi a offrire il fianco quando hanno iniziato a usare il cosiddetto Li Keqiang Index, il quale include altri elementi fattoriali che scoperchiano il “window dressing” certosino operato dagli statistici cinesi. A ogni elemento ulteriore che si aggiunge, la narrativa ufficiale viene fatta a pezzi, come ha dimostrato uno studio dell’Università di Chiacgo quando ha incluso nelle metriche anche le luci notturne: ebbene, i numeri cinesi in particolar modo si sono dimostrati sballati ben oltre il 30%. Quattro economisti, poi, che hanno condotto un’indagine forense sul PIL cinese hanno scoperto che Pechino aveva falsificato i dati in media di 1,7 punti percentuali all’anno. Utilizzando il 2008 come anno base, hanno stabilito che, nel 2018, il PIL cinese era stato sopravvalutato di un 20% cumulativo. Per Pechino questa discrepanza è importante perché Xi Jinping si è posto l’obiettivo di superare il PIL nominale degli Stati Uniti entro il 2049. Il PIL ufficiale pro capite è di $12.556 all’anno, ovvero più di $1.000 al mese; considerati i numeri aggiustati secondo le nuove scoperte, il PIL pro capite della Cina non supererà quello degli Stati Uniti almeno fino al 2076… a parità di tutte le altre condizioni. Il Partito Comunista Cinese non è l’eccezione, però, bensì la regola: tutti coloro che sventolano il PIL come misura di riferimento stanno omettendo elementi che inficerebbero la loro narrativa propagandistica. Lo stato, infatti, ritiene di controllare l’economia, quando in realtà tutto ciò che controlla è la rendicontazione dell’economia. Può produrre risultati falsificati, ma non ha il potere di cambiare le realtà sottostanti o di rendere miracolosamente sostenibile l’insostenibile.
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Un errore importante nell’analisi statistica è che gli economisti hanno perso di vista ciò che rappresentano le loro amate statistiche, soprattutto per quanto riguarda il PIL.
Esso rappresenta il quantitativo totale di valuta e credito che viene erroneamente considerato un riflesso del progresso economico: non esiste qualcosa come la crescita economica, ma solo la crescita del credito. Una volta compreso questo punto, il significato di questo errore di base diventa chiaro e il paradigma della valuta fiat si rivela per quello che è: un gioco delle tre carte che andrà terribilmente storto.
C’è solo una via d’uscita ed è possedere l’unica forma di denaro che non rappresenta il rischio di controparte di nessuno; l’unica forma di denaro che viene sempre in soccorso dell’umanità quando il denaro fiat fallisce.
L’oro. Viene trascurato quasi da tutti perché è l’anti-bolla. Più le persone credono negli asset denominati in valute fiat, meno credono nell’oro. Questo finché il gioco delle tre carte non implode, innescato dal forte aumento dei tassi d’interesse.
Introduzione
Cominciamo con un esperimento mentale. L’anno scorso una persona ha comprato un’auto; quest’anno il concessionario lo chiama e gli dice: “Posso offrirti un’auto di una marca diversa esattamente allo stesso prezzo che hai pagato per quella che ti ho venduto l’anno scorso, e ha un’elettronica migliore, più accelerazione e meno consumo di carburante” Lui compra la nuova auto e ridà indietro il modello precedente.
L’accordo rappresentava un progresso per la persona che acquista l’auto, ma qual è stato il contributo alla crescita del PIL? Ovviamente zero, perché l’avvenuto acquisto di un consumatore dipende da ciò che egli decide personalmente sia valore. Che il valore sia il prezzo, la qualità, o qualsiasi altro fattore, per il consumatore la decisione soggettiva di acquistare qualcosa è un progresso per la sua condizione.
Gli statistici non possono catturare l’idea di progresso di un individuo, né possono catturare concetti come il rapporto qualità-prezzo, i miglioramenti del prodotto che i consumatori desiderano, o qualsiasi altra cosa soggettiva per i singoli consumatori. Inseguire le statistiche come misura della condizione economica è quindi fondamentalmente sbagliato e rappresenta la giustificazione della politica monetaria come mezzo attraverso il quale un’economia possa essere gestita dallo stato, una bugia che dovrebbe essere smascherata.
Quelli di noi che hanno i capelli grigi dopo una vita spesa sui mercati finanziari possono, o dovrebbero, riconoscere che dopo cinquant’anni il gioco del denaro fiat sta finendo. Soprattutto da quando i lockdown hanno accelerato la stampa di denaro, ciò ha portato a un aumento dei prezzi oltre gli obiettivi fissati. Non si tratta, come sostengono gli economisti mainstream, di aumento dei prezzi: stiamo vivendo la conseguenza dell’espansione del credito, che era e rimane la definizione corretta di inflazione. Inoltre è impossibile isolare da un prezzo più alto ciò che rappresenta un miglioramento del valore del prodotto e ciò che rappresenta una diminuzione del valore del credito; e nel nostro sistema monetario fiat, l’espansione del credito non ha alcun valore.
Tuttavia l’aumento generale dei prezzi rispetto a quello specifico non è altro che una svalutazione della valuta e ciò porta a tassi d’interesse più alti, cosa che a sua volta porta a un calo del valore degli asset. Ma questo processo non tiene conto della psicologia delle folle, la quale porta gli investitori a ignorare i fatti e ad accettare senza riserve le statistiche ufficiali. La comprensione delle relazioni tra politica, economia e catallattica nei tempi attuali è più importante che mai. Guidate da statistiche imperfette e irrilevanti, le banche centrali ora si sforzano di eliminare le incertezze delle scelte personali e di controllare i tassi d’interesse con una severità degna di Stalin. Credendo nella propria propaganda, gli stessi banchieri centrali hanno perso la strada in questa crisi della moneta fiat.
La maggior parte degli istituti d’investimento abbraccia volentieri la finzione secondo cui l’inflazione è dovuta ai prezzi e non al denaro. Credendo pienamente nelle banche centrali, tutti si sono resi ciechi di fronte alle conseguenze della loro cattiva gestione e ci crogioliamo nell’idea che esse abbiano il controllo perché la propaganda ci ha portato a credere che abbiano avuto il controllo sui mercati per quasi tutta la nostra vita professionale.
Tutte le grandi banche centrali sono preda di simili illusioni, o meglio riguardo alle loro valute, e non hanno più il semplice obiettivo di controllarne il potere d’acquisto: la valuta e il credito sono diventati gli strumenti essenziali per finanziare la spesa pubblica. E anche se i leader occidentali subissero un’improvvisa illuminazione in merito al denaro sano/onesto, si troverebbero ad affrontare il compito di arginare l’ondata di passività finanziarie in rapida crescita per quanto riguarda pensioni e assistenza sanitaria.
No, l’establishment è completamente vincolato alla svalutazione della valuta come mezzo per finanziare il crescente bisogno di entrate fiscali. Ciò a sua volta richiede l’occultamento della vera situazione, motivo per cui i banchieri centrali sono incoraggiati a ignorare qualsiasi connessione tra l’espansione della valuta circolante, il credito bancario e i prezzi.
Inoltre quasi tutti gli investimenti sono affidati ai cosiddetti gestori esperti di fondi pensione, compagnie assicurative, banche, gestori di portafoglio e consulenti finanziari (la cui consulenza è di solito accettata insindacabilmente), in modo che la delega della responsabilità per i nostri investimenti spetti sempre a coloro che estrapolano il passato nel futuro. Si tratta di un approccio incapace e riluttante a considerare e valutare i veri fattori di cambiamento.
Implica un’illusione su tutti gli aspetti della politica economica a favore della sopravvivenza della redistribuzione socialista. Ma questo saggio si concentra su un aspetto centrale: l’errore di fare affidamento sulle statistiche e dove ciò potrebbe portarci, oltre a demolire un dato statistico centrale in tutta questa farsa, ovvero il concetto di crescita economica.
Il concetto di economia uniforme e circolare in Mises
L’economista Austriaco Ludwig von Mises ha sottolineato che esiste una differenza fondamentale tra un’economia e le statistiche utilizzate per rappresentarla. Nel mondo reale ci vuole tempo per fare le cose: anticipare, pianificare, realizzare, ecc. I desideri di domani si evolvono nel tempo, così come i mezzi per soddisfarli e in economia il tempo è il bene più prezioso dell’essere umano. Ma le statistiche non possono catturare il tempo, registrano solo ciò che è passato.
Non è possibile catturare il progresso umano o la sua mancanza attraverso le statistiche: esse non sono altro che un meccanismo contabile per quantificare le transazioni economiche dopo che si sono verificate e se tutti domani facessero esattamente quello che hanno fatto ieri, come robot privi di motivazioni e desideri, le statistiche di ieri sarebbero una rappresentazione ragionevole di ciò che accadrà domani. In altre parole, avremmo un’economia che, conformandosi alla matematica, ruota in modo uniforme.
Ovviamente è impossibile. Come scrisse concisamente von Mises:
L’azione è cambiamento e il cambiamento è nella sequenza temporale. Ma in un’economia che ruota in modo uniforme il cambiamento e la successione degli eventi vengono eliminati. Azione significa fare delle scelte e affrontare un futuro incerto, ma in un’economia che ruota in modo uniforme non è possibile scegliere e il futuro non è incerto poiché non differisce dallo stato attuale conosciuto. Un sistema così rigido non è popolato da esseri umani che fanno scelte e sono soggetti a errori. È un mondo di automi senz’anima. Non è la società umana, è un formicaio.
Con il senno di poi, gli statistici adattano i loro modelli dalle aspettative precedenti a ciò che è emerso quando devono districarsi nelle previsioni future. Tuttavia è vero che ciò che è accaduto ieri ci informerà su ciò che potrebbe accadere domani, perché siamo tutti condizionati dall’esperienza, ma niente di più. Il fatto che continuiamo a fare piani diversi per migliorare la nostra condizione è la prova inequivocabile che nessuna economia ruota in modo uniforme. È un concetto utile perché consente ai governi di stimare le entrate e alle aziende di utilizzare le stime dei mercati attuali per i loro piani di investimento e di produzione, ma a ciò si aggiungono informazioni non statistiche e sensazioni viscerali basate sull’esperienza.
Prendere il concetto di un’economia circolare e uniforme come base per la previsione economica è un errore commesso quasi da tutti al giorno d’oggi. Quasi tutti ormai parlano di crescita economica rappresentata dal prodotto interno lordo, ma descrivono inconsciamente un’economia che ruota in modo uniforme, presumendo quindi che possa crescere numericamente e confondendo la crescita con il progresso. L’abitudine di sostituire il PIL al progresso economico è così radicata che questo inganno inconscio è diventato fondamentale per mantenere in piedi la credibilità della politica monetaria.
Definire il PIL
Finora ho descritto cosa non è il PIL, sottolineando la differenza tra un modello economico statico e privo di tempo e la realtà dinamica di un’economia funzionante. Dovremmo ora considerare cosa rappresenta il PIL e perché cambia negli anni.
Il PIL può essere stimato utilizzando tre diversi approcci: reddito, spesa e produzione. In teoria dovrebbero produrre lo stesso risultato; in pratica sorgono differenze significative perché si basano su fonti amministrative e di dati dissimili che sono soggetti a errori e omissioni. E tutte le informazioni non sono disponibili contemporaneamente. Il risultato è quindi soggetto a revisioni e solitamente combina questi approcci per fornire una stima finale della spesa totale.
Indipendentemente dall’approccio, essenzialmente il PIL è la somma della spesa delle famiglie, degli investimenti nella produzione, della spesa pubblica e delle esportazioni nette. Molto viene escluso, come le transazioni finanziarie, le transazioni di seconda mano e l’economia monetaria. Inoltre le singole fasi della produzione, o l’output lordo, vengono ignorati.
Facendo seguito all’esperimento mentale all’inizio di questo articolo, dobbiamo capire perché il PIL aumenta. Supponiamo che in un’economia chiusa, dove non esistono flussi commerciali e di capitale attraverso i confini, il PIL del primo anno sia pari a $100 miliardi. Supponiamo ora che non vi sia alcun cambiamento nella quantità di valuta e credito nell’anno 2, e che neanche i saldi di liquidità degli individui cambino (sebbene essi abbiano un impatto materiale e reale sui prezzi). Il PIL dell’anno 2 dev’essere lo stesso dell’anno 1. In altre parole, l’attività economica ovviamente evolverà, così come i prezzi dei singoli beni e il numero di transazioni varieranno, ma questi cambiamenti saranno contenuti all’interno del PIL totale invariato, il quale rimarrà a $100 miliardi perché non sono coinvolti valuta aggiuntiva e credito bancario. Lo stesso deve valere per gli anni successivi alle stesse condizioni. L’impiego della valuta e del credito tra la spesa delle famiglie, gli investimenti nella produzione e la spesa pubblica sarà quasi certamente diverso, ma devono sempre ammontare a $100 miliardi.
Con il PIL invariato, non c’è nulla che impedisca all’economia di progredire, ma questa è una questione decisa tra consumatori e produttori. La spesa pubblica, finché sarà interamente finanziata dalle tasse, influenzerà la velocità della progressione economica ma non modificherà il PIL totale. Lo stesso vale per i cambiamenti nella ripartizione tra consumo e risparmio.
Un altro modo per esprimerlo è nei termini della Legge di Say, la quale definisce il ruolo della moneta nel contesto della divisione del lavoro. Nel corso di un anno realizziamo profitti o perdite e guadagniamo entrate; destiniamo i proventi alla spesa, al risparmio e alle tasse.
Se non vi è alcun aumento nella quantità di valuta e credito, allora potrebbe sembrare che coloro che migliorano i propri guadagni e profitti lo facciano a scapito di coloro che non lo fanno. Ma anche se ci saranno sempre dei perdenti, questo non è vero. Nel nostro esempio di un’economia chiusa senza variazioni nella quantità di credito, i surplus vengono sempre riciclati nella spesa o negli investimenti. Un progresso incommensurabile porta ad un maggiore potere d’acquisto del credito, così che anche se statisticamente l’economia non avanza, in realtà progredisce.
Nel complesso un miglioramento delle condizioni economiche generali deriva da un aumento del potere d’acquisto della valuta e beni/servizi che migliorano nel tempo. Anche coloro che sperimentano un leggero calo del reddito traggono beneficio dal miglioramento delle condizioni economiche, abbattendo la povertà più di quanto gli stati potranno mai ottenere aumentando la tassazione per finanziare lo stato sociale. Il timore della deflazione, che è il termine moderno per indicare il calo dei prezzi, è del tutto fuori luogo. A parità di altre condizioni, se il livello generale dei prezzi diminuisce nel tempo, ciò riflette un progresso economico e un vantaggio per i consumatori.
Il commercio transfrontaliero e i flussi di capitale sono stati esclusi dal nostro esempio per semplificare le cose e dovremmo commentarli separatamente. In un libero mercato uno squilibrio nel commercio fa sì che i flussi di capitale si muovano nella direzione opposta. Se gli importatori e gli esportatori smaltiscono le valute estere acquisite attraverso il commercio, il modello resta valido perché né la valuta né i depositi bancari vengono distrutti.
Senza interventi monetari e creditizi, anche un deficit commerciale non modificherà la quantità di valuta in circolazione, cambierà solo la sua proprietà. L’aggiustamento si rifletterà nel tasso di cambio e non nelle modifiche all’ammontare della valuta e del credito.
Se nell’anno 2 il PIL aumenta rispetto all’anno 1, diciamo, del 10% arrivando a $110 miliardi, può essere solo perché è aumentata la quantità di valuta e credito circolanti nell’economia, non necessariamente l’attività economica sottostante. Inoltre, nella pratica, il credito bancario oscilla ed è soggetto a cicli di espansione e contrazione; inoltre le banche centrali tentano di stimolare la domanda di valuta manipolando i tassi d’interesse e intervengono direttamente attraverso il quantitative easing, operazioni di mercato repo e reverse repo. Resta il fatto che l’aumento del PIL può solo riflettere un aumento della quantità di valuta e di credito. Il grafico seguente mostra la relazione tra le variazioni annuali dell’aggregato monetario più ampio (M4) e il PIL negli Stati Uniti.
Tra il 1960 e il 1990 i due sono aumentati insieme, confermando che il PIL non è altro che una misura della quantità di valuta e credito nell’economia. Da lì in poi le statistiche si sono discostate, ma non di molto fino alla crisi finanziaria del 2008, quando M4 è cresciuto a un ritmo molto più rapido del PIL. Ciò rifletteva l’incanalamento del credito verso gli asset finanziari, mentre si stava gonfiando una bolla sulla scia di tassi d’interesse artificialmente bassi. Rappresenta un eccesso di credito, che viene ora liquidato dalle banche commerciali che cercano di ridurre la propria esposizione al rischio e non fa nulla per smentire la relazione fondamentale tra PIL e credito.
Possiamo quindi concludere che ciò che viene comunemente descritto come crescita economica è solo un aumento della quantità di denaro e credito nell’economia e non riflette cambiamenti nella condizione economica sottostante.
Il deflatore del PIL è inappropriato
Dato che il PIL riflette solo la quantità di valuta e di credito, la pratica di aggiustare la sua espansione mediante un indice dei prezzi non ha alcuno scopo. E applicando un aggiustamento per le conseguenze sui prezzi della precedente espansione monetaria, l’uso del PIL come indicatore dello stato dell’economia viene falsamente legittimato. Inoltre il termine “PIL reale” per indicare il PIL così modificato contribuisce a fissarlo nella mente della popolazione come l’indicatore supremo dell’attività economica e il suo aumento come obiettivo lodevole per la politica monetaria.
Perseguendo l’indicizzazione come mezzo di compensazione pubblica per l’inflazione dei prezzi quarant’anni fa, gli economisti mainstream si resero conto del notevole impatto sulle finanze statali. L’indicizzazione di quantità crescenti di obbligazioni e di una serie di pagamenti assistenziali a seguito dell’inflazione degli anni ’70 si era rivelata troppo costosa e di conseguenza gli statistici hanno continuamente modificato i loro calcoli dell’inflazione dei prezzi per ridurne il peso sulle finanze pubbliche.
Il livello generale dei prezzi è solo un concetto che non può essere misurato. Ciò ha permesso alle statistiche sui prezzi aggregati e la loro costruzione di diventare una questione politica. Ciò permette a qualsiasi statistico di utilizzare sofisticati strumenti e metodi matematici per rivendicare quasi tutto ciò che dicono lui o il suo datore di lavoro. Nonostante la rapida accelerazione dell’inflazione della valuta e del credito, fino a soli diciotto mesi fa gli statistici erano riusciti a fissare gli aumenti annuali dei prezzi al consumo a circa il 2% e anche per un periodo considerevole.
L’analisi indipendente di Shadowstats.com ha evidenziato l’inganno statistico perpetrato dal metodo IPC producendo un indice rivale per gli Stati Uniti privo di tutte le modifiche statistiche introdotte sin dal 1980 per ridurne i numeri. Le sue cifre si riferiscono a maggio, l’ultima serie disponibile al pubblico senza abbonamento mostra un tasso non aggiustato di aumento dei prezzi annuo pari a circa il 12%, rispetto al tasso ufficiale del 4,9%. La divergenza tra la base di calcolo del 1980 e i ricalcoli ufficiali dell’IPC è chiaramente illustrata nel grafico riportato di seguito.
Pur sottolineando la natura autoreferenziale delle statistiche sui prezzi, non dobbiamo dimenticare che non incarnano uno scopo economico credibile. In ogni caso, un indice dei prezzi è una raccolta di prezzi storici con pochissimi collegamenti al futuro e usarlo come base per la politica monetaria significa commettere lo stesso errore di presumere che la crescita del PIL sia la prova del progresso economico. La catallattica è una scienza umana in evoluzione che non può essere definita dalla matematica come nelle scienze naturali.
Le conseguenze della politica monetaria sui prezzi
Ci sono due forze fondamentali nella relazione tra quantità di moneta e prezzi: la prima riguarda i cambiamenti nella quantità di valuta e credito, che se aumentati tenderanno a ridurne il potere d’acquisto; la seconda riguarda i cambiamenti nella percezione della relazione tra credito e beni da parte di chi usa la valuta, cosa che si riflette nei cambiamenti nella liquidità a disposizione. Supponendo per il momento che ciò non cambi, un aumento dell’offerta di denaro è destinato a far aumentare il PIL, essendo quest’ultimo la somma delle transazioni catturate all’interno della sua statistica. Indipendentemente dal fatto che l’attività economica aumenti o diminuisca, i prezzi in tali transazioni possono solo salire a riflesso dell’aumento del credito nell’economia.
Nella relazione tra offerta monetaria e PIL illustrata nel grafico sopra, le forze che spingono i prezzi verso l’alto a causa della svalutazione della valuta sono considerevolmente maggiori di quanto si pensi comunemente.
La prima forza nella relazione monetaria sopra descritta è conforme all’equazione dello scambio, l’espressione matematica del rapporto tra la quantità di denaro e i prezzi nel loro insieme. Se c’è un tema in questo saggio è quello di sottolineare l’errore nell’applicare le relazioni matematiche all’azione umana. La seconda delle due forze sopra menzionate sono i cambiamenti nella psicologia delle folle, i quali determineranno anche il valore di una valuta rispetto ai beni.
Ciò può essere illustrato prendendo in considerazione i cambiamenti nel livello medio di liquidità detenuta da chi la utilizza. A differenza delle allocazioni al risparmio, la valuta a disposizione rappresenta la produzione non spesa, tenuta di riserva per cambiamenti inaspettati nei bisogni e nei desideri di una persona.
Ma se nel complesso i detentori di liquidità sospettano che i prezzi dei beni e dei servizi, che potrebbero desiderare ma di cui non hanno immediatamente bisogno, inizieranno a salire più rapidamente, ridurranno la valuta in loro possesso per acquistarli. Questa è una descrizione corretta delle condizioni attuali: un’ampia gamma di prezzi al consumo sono ora in aumento, incoraggiando chiunque abbia liquidità in eccesso a disporne, esacerbando l’andamento dei prezzi. E possiamo vedere dall’eccessiva quantità di valuta e credito ancora da rilasciare nell’economia che questa tendenza probabilmente avrà un effetto aggiuntivo alla relazione matematica, possibilmente facendo scendere il potere d’acquisto del denaro più rapidamente rispetto agli aumenti dell’offerta monetaria più ampia.
La situazione nel Regno Unito rispecchia quella degli Stati Uniti, ma con M4 che supera il PIL con un margine allarmante. Ciò viene illustrato di seguito, partendo dal big bang finanziario avvenuto a metà degli anni ottanta quando la finanziarizzazione del settore bancario iniziò a incidere sul rapporto prestiti bancari/PIL.
La disconnessione tra il PIL, che misura beni e servizi escludendo gli asset finanziari, e M4 in più rapida crescita riflette lo sviluppo dei servizi finanziari a Londra dopo la metà degli anni ottanta. L’eccesso equivale a credito impiegato in attività non produttive, il che equivale a una bolla che sicuramente scoppierà.
Le conseguenze sui tassi d’interesse e sui mercati finanziari
L’esame delle relazioni tra valuta, credito ed economia suggerisce fortemente che uno shock sull’inflazione dei prezzi è ancora nelle sue fasi iniziali. Abbiamo capito finora che la crescita del PIL rappresenta poco più che la crescita dell’offerta di denaro più ampia e abbiamo spiegato le disparità nei loro ritmi di crescita. Oltre all’effetto matematico della teoria dello scambio, abbiamo capito che la tendenza dell’aumento dei prezzi acceleri poiché i consumatori riducono la loro liquidità acquistando beni prima che i prezzi aumentino ancora di più. È prevedibile che questi fattori portino a un calo generalmente inaspettato del potere d’acquisto delle valute fiat e dovremmo aggiungere che le principali banche centrali (tranne forse quella cinese) hanno perseguito politiche monetarie simili e che avranno conseguenze simili.
Per riflettere il calo del potere d’acquisto del credito in quasi tutte le valute, i tassi d’interesse devono aumentare e tale aumento deve essere sufficientemente sostanziale da stabilizzare queste valute se non si vuole che crollino completamente. Ma in questo frangente siamo meno interessati al futuro delle valute fiat che all’effetto sui valori degli asset finanziari.
I rendimenti delle obbligazioni a tasso fisso aumenteranno sostanzialmente, il che significa che i prezzi scenderanno. Lo stiamo già vedendo accadere: tassi d’interesse e rendimenti obbligazionari più elevati, a loro volta, mineranno i valori azionari, cosa che in generale deve ancora accadere. Nella misura in cui i valori degli asset finanziari sono in bolla, possiamo aspettarci un sostanziale calo.
La risposta monetaria delle banche centrali sarà tentare d’impedirlo e per tre ragioni: esse sono impegnate a finanziare i deficit pubblici e l’aumento dei rendimenti dei titoli di stato ostacola tale obiettivo; credono che mercati finanziari vivaci siano essenziali per mantenere la fiducia della popolazione nelle prospettive economiche; sono profondamente consapevoli che il calo dei prezzi degli asset potrebbe innescare un’accelerazione della liquidazione delle garanzie da parte delle banche, come teorizzato da Irving Fisher in seguito alla depressione degli anni ’30.
Oro
Il grafico seguente mostra la relazione tra il prezzo dell’oro in dollari e M3 negli Stati Uniti. La linea grigia mostra la differenza tra i due, con l’oro a sconto del 35% rispetto a dove si trovava al momento della crisi della Lehman.
È un errore presumere che il prezzo dell’oro dovrebbe aderire alla crescita dell’offerta monetaria più ampia, il che è confermato da periodi di valutazioni relative al di sopra e al di sotto. Ma in generale ci si può aspettare che un’accelerazione del tasso di espansione monetaria porti a un aumento dei prezzi dell’oro.
Mentre M3 è aumentato sostanzialmente prima d’iniziare a contrarsi, l’oro è rimasto indietro. In un certo senso, ciò non sorprende, perché l’eredità dei tassi d’interesse mantenuti a zero non è ancora passata definitivamente. In altre parole, quando c’è una bolla finanziaria l’oro può essere considerato un anti-bolla, quindi è destinato a passare di moda, ma ora le cose stanno cambiando.
Dopo la crisi della Lehman, il prezzo dell’oro è salito a $1.925 in un contesto di crescente preoccupazione per il sistema bancario mondiale. Rispetto a M3, all’epoca l’oro si attestava a un premio del 40%, il che oggi possiamo dire che l’inflazione monetaria scontata era troppo in anticipo, in assenza del materializzarsi di una crisi finanziaria ingestibile. Oggi, dopo essere sceso ad uno sconto del 54%, si attesta ad uno sconto del 35%, il che suggerisce che l’ottimismo nel sistema monetario fiat è ad un estremo simile ma opposto a quello del 2011.
Non c’è dubbio che la bolla degli asset finanziari stia scoppiando a causa dell’aumento dei tassi d’interesse e stando così le cose c’è una forte tesi a favore di lasciare il gioco del denaro fiat alla follia delle folle e delle istituzioni regolamentate. L’unico modo credibile per isolarsi completamente da essa è ritirarsi nell’unico asset per il quale non vi è alcun rischio di controparte: l’oro fisico, e forse un po’ di argento fisico.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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