Il ruolo costruttivo e distruttivo del credito

 

 

di Alasdair Macleod

Questo saggio definisce il ruolo del credito, un tema su cui c’è ancora una preoccupante mancanza di conoscenza. Ciò che la gente chiama denaro è in realtà credito e il denaro stesso, ovvero l’oro fisico senza rischio di controparte, circola raramente, se non mai. Quasi tutti, compresa la maggior parte degli economisti, non riescono a comprendere il credito e l’importanza del suo valore legato al denaro.

Né capiscono che il credito bancario è solo una parte minore del colossale sistema creditizio.

Un errore comune è pensare che le banconote siano denaro perché, a differenza di un deposito bancario, si tengono in mano; in realtà sono una passività per chi le emette, ovvero le banche centrali. Il loro valore dipende interamente dalla fiducia dei creditori, interni ed esteri, in termini di potere d’acquisto, come qualsiasi altra forma di credito.

L’espansione del credito è fondamentale per il progresso economico, ma tale espansione può essere determinata solo tra creditore e debitore. Ciò porta a fluttuazioni dirompenti nel credito bancario, ma si auto-correggono; molto peggio è l’abuso di credito da parte dello stato e i suoi tentativi di gestire i risultati economici.

Gli economisti e gli investitori generalmente ignorano il ruolo costruttivo e distruttivo del credito. Credendo che il libero mercato sia imperfetto e che la gestione del credito e dei tassi d’interesse da parte delle agenzie governative porti a risultati migliori; sia i keynesiani che i monetaristi non riescono a capire che le agenzie governative sono incapaci di un calcolo economico e di comprendere quale sia il vero ruolo del credito.

Essendo completamente staccato dall’ancoraggio col denaro reale, il mondo del credito si trova ora ad affrontare il suo destino finale: chi lo emette sta sprofondando a causa del debito insostenibile risultante ed è tecnicamente insolvente, vendendo erodersi sempre più la credibilità necessaria per proteggere dal fallimento i sistemi bancari commerciali.

Inoltre i valori degli asset finanziari sono ben lontani dall’aumento dei rendimenti dei titoli di stato, minacciando un sostanziale mercato ribassista nelle azioni.

Prima coloro che cercano di proteggere la propria ricchezza comprendono queste dinamiche e si proteggono scambiando credito con denaro reale, meglio è. Ciò ovviamente richiede una corretta comprensione di cosa sia il CREDITO e della sua relazione con il DENARO.

Introduzione

Tutti i regolamenti delle transazioni sono in credito. Il denaro stesso non circola mai, se non in extremis. Stiamo definendo il denaro non nel senso in cui è comunemente usato, ma come l’unico mezzo di saldo che non presenta alcun rischio di controparte. E quello oggi è l’oro, anche se in passato comprendeva anche argento e rame.

Nel corso della storia post-baratto la relazione tra denaro e credito è semplicemente quella in cui il primo fornisce un’ancora di valore per il secondo. Nel 1971 gli Stati Uniti spazzarono via tutto ciò, sostituendo il dollaro scoperto all’oro, insistendo sul fatto che tutte le altre valute dovessero essere ancorate al dollaro. Fu l’abuso definitivo del rapporto tra denaro e credito, iniziato con l’istituzione del Federal Reserve System nel 1913. Dopo la prima guerra mondiale Benjamin Strong, il primo presidente della FED, stimolò artificialmente l’economia espandendo il credito in concomitanza col settore bancario commerciale. Ciò portò ai ruggenti anni Venti, seguiti dal collasso finanziario e dalla crisi bancaria nel 1929-1933. La risposta fu quella di rimuovere la convertibilità dei dollari in oro nel 1933 prima di svalutare il dollaro del 40%, consentendo la continuazione dello stimolo del credito da parte del governo federale.

La lezione che si sarebbe dovuta apprendere è che gli stati e i loro agenti finanziari non sono in grado di gestire il credito e i tentativi di farlo, o i tentativi di utilizzarlo per ottenere determinati risultati economici, quasi sempre falliscono e peggiorano le cose. Il successo della distribuzione del credito è essenzialmente una questione che spetta al settore privato, determinato dai debitori e dai creditori. Invece negli anni ’30 il libero mercato fu accusato degli errori commessi dalla gestione economica centralizzata e da allora tale accusa è andata avanti per inerzia.

A causa della cattiva gestione dell’economia da parte del governo statunitense, le sue riserve auree iniziarono a diminuire, portando alla rottura definitiva tra il dollaro e l’oro nel 1971. Non ci fu alcun mea culpa da parte del presidente Nixon, invece creò le condizioni per cui il credito in dollari si sarebbe espanso senza la restrizione delle riserve auree. Bisognava creare un mito: che il dollaro fosse denaro e che l’oro non lo fosse più.

Questo è il motivo per cui il dollaro è stato considerato non come la valuta che è, ma come denaro. È un errore nato dalla propaganda del governo degli Stati Uniti, a dispetto di tutta la storia monetaria, dello stato di diritto e del concetto umano di denaro naturale. La conseguenza di questo errore si sta gradualmente rivelando attraverso gli attuali eventi economici e finanziari.

Legando le nostre valute al dollaro, abbiamo tutti slegato il valore del credito dal denaro reale. Per comprendere appieno le probabili conseguenze e dove ci porterà il futuro del denaro e del credito, dobbiamo distruggere le idee sbagliate create deliberatamente dagli stati e dai loro economisti epigonici. Ora è più importante che mai che gli individui comprendano il denaro, il credito e le differenze tra di essi. Di conseguenza questo saggio inizia definendo il credito, mostra perché il suo rapporto con il denaro trascende e smentisce il monetarismo e spiega perché gli stati non sono adatti a dirigerne l’applicazione, prima di esaminare le conseguenze di questi errori.

Cos’è il credito?

Ai fini della nostra analisi, e per eliminare ogni malinteso, dobbiamo limitare il termine “denaro” ai mezzi circolanti che non hanno controparte. Secondo la legge romana stabilita nelle Dodici Tavole del 449 a.C. e le successive norme giuridiche consolidate sia nelle Pandette di Giustiniano (533 d.C.) che nella Basilica (892 d.C.), il possesso di oro, argento o rame non è credito ma denaro reale. Il credito rappresenta tutti gli altri mezzi circolanti e le obbligazioni di debito.

La definizione precisa di credito è la seguente: il credito è un diritto presente a un pagamento futuro.

Pertanto un deposito bancario è un obbligo da parte di una banca di pagare il depositante su richiesta. Il depositante è un creditore della banca e l’esame del bilancio della banca centrale conferma che la banconota costituisce una sua passività a favore del detentore della banconota: in altre parole, la banca centrale ha l’obbligo di pagare il titolare della banconota in denaro reale. Da quando gli stati hanno rinunciato a questo obbligo, gli obbligazionisti non possono che ringraziare ma resta il fatto che l’obbligo esiste ancora e i principi fondamentali del diritto romano non sono stati sostituiti dalla legislazione successiva, ma solo dalla regolamentazione e dal comando. Questo è il motivo per cui il presidente Nixon poté solo sospendere l’accordo di Bretton Woods.

Il credito si estende ben oltre i mezzi circolanti. Quasi tutto ciò che facciamo comporta un pagamento futuro. Quando pagate un negoziante in banconote, o con un bonifico, trasferite il diritto a un pagamento futuro; anche quando un genitore promette di finanziare l’istruzione di un figlio s’impegna a effettuare pagamenti futuri per conto del figlio.

Quando acquistate un asset finanziario vi impegnate a effettuare un pagamento futuro in conformità con i termini di saldo in cambio di un diritto attuale sull’asset; quando acquistate un’obbligazione acquisite il diritto presente a un flusso di reddito futuro. Lo stesso vale per gli investimenti in azioni: la differenza rispetto alle obbligazioni è che il flusso di reddito futuro è meno prevedibile e può essere trattenuto nel bilancio dell’impresa invece di essere distribuito.

Tutti i diritti cartacei e digitali sono crediti, a seconda della capacità del debitore di adempiere al suo obbligo.

Così come la proprietà fisica, anche la proprietà intellettuale e gli obblighi di credito costituiscono ricchezza. Il credito è l’altra faccia del debito, essendo il debito l’obbligo del debitore di pagare il creditore. Pertanto le obbligazioni, le azioni e tutti i loro oneri derivati sono ricchezza, presupponendo sempre la loro scambiabilità. Ogni ricchezza è tale perché è scambiabile. Sono i bisogni e i desideri umani che valorizzano la ricchezza, perché qualcun altro dovrebbe richiederla. Finché le cose stanno così, un aumento generale del debito di una nazione equivale ad un aumento della ricchezza nazionale.

È questo fatto a creare molta confusione. Com’è possibile che un governo indebitato crei più ricchezza per il suo popolo rispetto a un governo che gestisce le finanze nazionali in modo più responsabile? La risposta si trova nel valore del debito, sempre determinato dai mercati. Questo è generalmente indicato come rischio di controparte, o rischio valutario, di cui parleremo più dettagliatamente in seguito.

Quando si valuta la ricchezza, sorge la domanda su quale dovrebbe essere il mezzo di valutazione. In pratica avviene tramite le valute nazionali, ma come abbiamo visto la valuta è un’obbligazione di debito nel bilancio di chi la emette ed è, quindi, credito stesso. Il credito viene valutato tramite il credito. Coloro che sostengono che le valute nazionali siano denaro non riescono a capire questo semplice fatto.

Ci sono buone ragioni giuridiche per cui le banconote della Banca d’Inghilterra recano la legenda: “Prometto di pagare al portatore su richiesta la somma di…” firmata dal capo cassiere. È anche il motivo per cui le banche centrali mantengono, o affermano di mantenere, significative riserve in lingotti d’oro, proteggendole gelosamente e rifiutandosi di separarsene. Anche se l’argomento è diventato un tabù, i banchieri centrali si rendono conto che la valutazione delle loro valute, e quindi il valore di tutta la ricchezza nazionale, non è in banconote scoperte ma in oro.

Il credito al settore privato e il suo utile impiego

Abbiamo ormai stabilito che aumentando il debito, a cui corrisponde il credito, e che il credito è ricchezza, la ricchezza di una nazione aumenta. Citerò ora due esempi per ribadire questo punto. Il primo è tratto da Poverty and the State (1886) di Herbert Mills e riguarda la costruzione di un nuovo mercato della carne nel 1822, edificio ancora oggi in uso:

Gli Stati di Guernsey, avendo deciso di costruire un mercato della carne, hanno votato con £4.000 per coprire i costi. Invece di prendere in prestito questa somma a un interesse del 5%, il governatore emise quattromila gettoni di cartone sui quali c’era scritto “Guernsey Meat Market Notes”. Rappresentavano £1 ciascuno ed erano valuta legale con il consenso universale. Con queste banconote gli Stati pagavano l’appaltatore e con essi quest’ultimo pagava i suoi operai e tutti coloro che gli fornivano i materiali. Venivano accettati dai commercianti in cambio di merci, dai proprietari in pagamento degli affitti e dalle autorità in cambio delle tasse. A tempo debito il mercato fu completato. Le bancarelle della macelleria, con alcuni locali pubblici costruiti sopra, venivano affittate a un canone annuo di £400. Alla scadenza del primo anno di questo contratto, gli Stati ritirarono il primo lotto di banconote, numerate da uno a quattrocento, e con le £400 ricevute per l’affitto riscattarono le £400 di denaro rappresentativo, espresse dalle “Banconote per il mercato della carne”. Al termine del decennio tutti i titoli furono riscattati, mediante l’applicazione del canone decennale. In questo modo fu costruito un ottimo mercato senza pagare alcun interesse sul denaro preso in prestito e senza danneggiare nessuno.

Questo è un raro esempio di un’agenzia governativa che emette credito per un progetto specifico, in questo caso credito che fungeva anche da valuta circolante. Il secondo esempio riguarda il sistema di credito in contanti inventato dalla Royal Bank of Scotland alla fine degli anni ’20 del Settecento.

Secondo la legge scozzese, la Banca di Scozia fu fondata nel 1695 con poteri di emissione illimitati. Emetteva solo banconote nei seguenti tagli: £100, £50, £10 e £5. Va tenuto presente che nella valuta odierna, £100 di allora equivalgono a £41.000 attuali. Il piano della Bank of Scotland era quello di servire e promuovere importanti clienti commerciali in linea con l’attività bancaria di Londra, indirizzata principalmente alla negoziazione di cambiali commerciali. La banca non emise banconote da £1 fino al 1704.

Il suo monopolio terminò nel 1727 e venne costituita poi una rivale, la Royal Bank of Scotland. Il problema era che, essendo l’economia commercialmente sottosviluppata, in Scozia non c’erano abbastanza cambiali commerciali disponibili per soddisfare entrambe le banche. Fu la Royal Bank a trovare una soluzione. Ottenute garanzie sufficienti, accettò di anticipare crediti d’importo limitato a favore di persone affidabili e rispettabili; questi accrediti in contanti non erano conti ordinari e invece di ricevere interessi sul saldo gli venivano addebitati. Nel bilancio della Royal Bank un prestito in contanti veniva registrato come attivo, controbilanciato da un deposito che rappresentava l’importo disponibile per essere prelevato.

Fu il precursore del moderno prestito bancario, in contrapposizione al sistema bancario che a Londra a quel tempo ruotava attorno alle cambiali commerciali.

I crediti in denaro venivano utilizzati in due modi diversi: per aiutare i privati ​​negli affari e per promuovere l’agricoltura e la formazione di imprese commerciali di ogni tipo. I terreni agricoli erano sottosviluppati per mancanza di capitali, ma ciò che qui ci interessa particolarmente sono i prestiti agli imprenditori.

Le banche limitavano gli anticipi a un valore compreso tra £100 e £1.000 (l’equivalente in sterline di oggi di circa £41.000 e £410.000). Non era richiesta alcuna garanzia, oltre a quelle di persone che avevano familiarità con il mutuatario. Questi “anticipatori”, come erano conosciuti nella legge scozzese, avrebbero tenuto d’occhio il modo in cui venivano utilizzati i fondi, avevano sempre il diritto di ispezionare il conto del mutuatario presso la banca e avevano l’autorità d’intervenire in qualsiasi momento.

Nelle prove fornite ad una commissione della Camera dei Comuni nel 1826, quasi un secolo dopo che la Royal Bank of Scotland aveva creato crediti in contanti, un testimone citava il caso di una modesta banca di campagna che offriva facilitazioni di credito in contanti e che in ventuno anni avevano fruttato più di £90.000.000 e solo perdite per £1.200. Si trattava di un’innovazione notevole che era stata ormai ampiamente adottata.

Prima dell’esistenza delle banche che offrivano crediti in contanti, la Scozia era un Paese arretrato la cui popolazione era più impiegata nel furto di bestiame e nelle guerre con i vicini che nell’agricoltura pacifica. Soprattutto mancava il credito e la popolazione viveva solo di sussistenza. La creazione del sistema di credito in contanti insieme alla circolazione delle banconote della Bank of Scotland e della Royal Bank, accettate come se fossero denaro, portarono ad un enorme progresso sociale ed economico. E quando venne istituito il sistema del credito in contanti, esso fu ampliato per finanziare progetti più grandi. Ad esempio, il Forth e Clyde Canal che collegava Edimburgo con Glasgow fu costruito con un credito in contanti di £40.000, concesso dalla Royal Bank. Ferrovie, banchine e porti, strade e persino edifici pubblici vennero finanziati con crediti in contanti.

Come esempio tra tanti, Henry Menteith iniziò la sua attività come commerciante-tessitore con un modesto credito in contanti, acquisendo la propria fabbrica nel 1785. E nel 1826 Menteith impiegava 4.000 uomini e donne; servì due volte come Lord Provost di Glasgow e successivamente come membro del Parlamento per Linlithgow.

L’Illuminismo scozzese del XVIII secolo, che ci ha dato David Hume, Adam Smith, Robert Burns e molte altre figure eminenti, deve la sua esistenza alla trasformazione della Scozia da nazione arretrata attraverso i crediti in contanti. In soli cinquant’anni la Scozia avanzò commercialmente come nazione più di quanto avesse fatto in tutta la sua storia e questo nonostante lo sconvolgimento politico della ribellione giacobita del 1745.

Il successo dei crediti in contanti e la più ampia adozione del loro equivalente da parte delle cooperative di credito e di altre organizzazioni su base locale in Inghilterra e Galles, divennero successivamente non solo la base di alcune notevoli fortune, ma anche il fondamento su cui prosperarono molte attività più modeste. Non c’è dubbio che l’evoluzione del credito bancario grazie al sistema di credito in contanti scozzese sia stata vantaggiosa non solo per la Scozia, ma per il Regno Unito in generale. Infatti rivoluzionò il sistema bancario anche in Inghilterra e Galles, portando i benefici del credito alla gente comune; e l’adozione globale della legge bancaria inglese trasmise benefici anche ad altre nazioni.

Chiaramente l’espansione del credito presenta enormi vantaggi, ma il problema sono i cicli destabilizzanti di espansione e contrazione del credito bancario, non l’esistenza del credito bancario stesso. Questo sarà il nostro prossimo argomento.

L’effetto dirompente dei cicli del credito bancario

Abbiamo ormai stabilito che l’espansione del credito e del debito del settore privato è una cosa positiva, poiché aumenta la ricchezza nazionale. Abbiamo visto che il sistema di credito in contanti ideato dalla Royal Bank of Scotland portò il credito a tutti e che l’impiego del debito nel settore privato è fondamentale per il progresso economico. L’unico neo è il comportamento dei banchieri. Un ciclo di espansione imprudente e successiva contrazione del credito bancario, evidente fin da quando sono disponibili statistiche credibili, ha portato a un ciclo di boom/bust.

Le banche non fanno altro che concedere il credito, creando prestiti e abbinando depositi allo stesso tempo. Il motore della loro attività è la creazione di prestiti e poiché il credito è lo scambio di un diritto presente a un pagamento futuro, non hanno bisogno d’impiegare il proprio capitale per la creazione di prestiti. Pertanto il rapporto tra il capitale proprio di una banca e il suo bilancio complessivo è una questione di prudenza percepita nelle circostanze economiche prevalenti.

Naturalmente la percezione del rischio cambia nel tempo e, poiché un gruppo cospicuo di banchieri utilizza modelli di analisi del rischio simili, viene coinvolto una sorta di pensiero di gruppo. Questo è il motivo per cui quando le condizioni economiche sono giudicate sfavorevoli i banchieri cercano di proteggersi riducendo la loro esposizione creditizia, e quando poi sembrano migliorare diventano più rilassati riguardo alla creazione di prestiti.

Quando le condizioni commerciali migliorano, i banchieri riducono addirittura i loro margini per attirare attività di prestito, aumentando la leva finanziaria tra bilancio e capitale per compensare e garantire il mantenimento della redditività complessiva. In sostanza, i prestiti bancari diventano inflazionistici perché i tassi scendono in un momento di crescente domanda di credito. L’eccessivo credito a buon mercato nei periodi buoni mette in moto un boom insostenibile, che se non assorbito da ulteriori risparmi da parte dei consumatori porta a prezzi più alti e speculazione finanziaria. Mentre tutti festeggiano, compresi i banchieri, arriva un punto in cui i piani aziendali vanno male a causa dei colli di bottiglia dell’offerta, dell’inflazione salariale e dell’aumento dei prezzi delle materie prime. Troppo credito insegue troppo pochi beni.

I banchieri si rendono poi conto che le basi su cui prestavano credito sono cambiate in peggio e, trovandosi sovraindebitati, diventano cauti e iniziano a limitare le loro attività di prestito. Le imprese sovraindebitate e quelle che fanno affidamento su linee di credito continuative si trovano a dover tagliare le proprie attività commerciali, o andare in bancarotta. In alcuni casi potrebbero essere in grado di prendere in prestito importi ridotti a costi d’interesse più elevati. La disoccupazione inizia ad aumentare e con essa la spesa dei consumatori diminuisce. E quanto più entusiasti erano i banchieri nei periodi buoni, tanto maggiore sarà il crollo successivo; e quanto più restringeranno l’offerta di credito, tanto più aumenteranno i tassi dei prestiti.

A volte sono le banche stesse a lasciarsi coinvolgere in speculazioni eccessive, lo abbiamo visto con i fallimenti della crisi Lehman nel 2008-2009 ed è anche il caso attuale. Causarono la crisi dell’Overend Gurney nel 1866 e la crisi della Baring nel 1890. Due secoli di statistiche finanziarie confermano che si tratta di un ciclo ripetitivo, con una durata media di circa dieci anni anche se può variare notevolmente.

L’effetto di questo ciclo creditizio sul livello generale dei prezzi è meno certo. Agli albori del gold standard britannico, era considerevole ma diminuì nel tempo, come illustra il grafico seguente.

Un’indagine sul motivo per cui le fluttuazioni del livello dei prezzi al consumo sono diminuite nel tempo getta notevoli dubbi sulla teoria quantitativa della moneta, che propriamente detta è la teoria quantitativa del credito. La natura boom/bust del credito bancario è ovvia, ma con il progredire della Rivoluzione Industriale il credito bancario si espanse massicciamente per finanziarla. Prendendo le stime della Banca d’Inghilterra sull’aggregato monetario più ampio e sottraendovi la base monetaria, i prestiti bancari aumentarono di circa l’800% tra il 1830 e il 1911, quando il livello generale di aumento dei prezzi era pari a zero.

La spiegazione del calo della volatilità dell’inflazione era che nel corso del tempo il sistema bancario aveva migliorato le strutture di compensazione e i mercati interbancari divennero sempre più efficienti. E nonostante battute d’arresto sotto forma d’importanti fallimenti come quello di Overend Gurney e Barings e la sospensione degli impegni di cambio dell’oro da parte della Banca d’Inghilterra per tre volte in seguito al Bank Charter Act nel 1847, 1857 e 1866, questa tendenza al miglioramento dell’inflazione progredì con una diminuzione delle perturbazioni.

La chiave per la stabilità dei prezzi è semplice: tutto il credito, qualunque sia il rischio della controparte, deve trarre il suo valore dal denaro reale, ovvero l’oro. Finché esisterà un gold exchange standard credibile, tenendo conto del rischio di controparte, il valore del credito in termini di potere d’acquisto sarà mantenuto durante i cicli dirompenti di boom/bust. Come abbiamo visto nelle tre occasioni in cui il Bank Charter Act venne sospeso e la Banca d’Inghilterra venne autorizzata a emettere banconote senza espandere le riserve monetarie, la tendenza verso una diminuzione della volatilità dei prezzi è continuata ed è stato possibile contenere le crisi.

L’intervento dello stato nei mercati del credito è sempre fallimentare

Il ciclo dei prestiti bancari è economicamente distruttivo. Prima degli anni ’20, in comune con quella del Regno Unito, la politica del governo statunitense era quella di non intervenire in una crisi economica, sapendo per esperienza che, lasciato a sé stesso, il ciclo del credito si sarebbe invertito e il progresso economico si sarebbe ripreso. La profonda crisi del 1920-1921, che non vide alcun intervento centrale, fu breve e la ripresa rapida. Quella fu l’ultima crisi degli Stati Uniti che non vide alcuna ingerenza dello stato.

Ma quando Benjamin Strong, presidente del neo costituito Federal Reserve Board, adottò misure per espandere il credito a livello di banca centrale, questa nuova forma di sperpero creditizio alimentò il boom, popolarmente noto come i Ruggenti anni venti. Verso la fine di quel decennio il boom portò a un’eccessiva speculazione sul mercato azionario, segno sicuro di un eccesso di credito, e la depressione che ne seguì fu profonda.

Sfortunatamente quella crisi divenne lo spunto per l’intervento del presidente Hoover seguito a ruota poi dal presidente Roosevelt, interventi che nella migliore delle ipotesi prolungarono la depressione e, nel peggiore dei casi, l’aggravarono. La professione economica si è sempre più schierata con l’intervento dello stato, attribuendo la colpa del fallimento economico agli attori del settore privato, quando avrebbero dovuto riconoscere che il ciclo del credito bancario era stato stimolato dalla creazione di credito da parte della FED nel decennio precedente.

L’incapacità di comprendere il credito era e rimane al centro dei tentativi falliti d’intervento economico della classe politica. Sfortunatamente gli economisti di oggi consigliano agli stati di gestire il libero mercato: sia i keynesiani che i monetaristi sono colpevoli di questo errore.

I keynesiani raccomandano deficit di bilancio, che portano alla creazione di una domanda artificiale. Se gli stati si attenessero al principio secondo cui la sostituzione della contrazione del credito delle banche commerciali dovesse avvenire solo con un’eguale espansione del credito della banca centrale, si potrebbe pensare che ci sia una logica in questo approccio. Ma questo modo di pensare porta a due errori: il primo è supporre che, data la licenza di emettere credito in eccesso, la classe politica desista dall’usarlo per altri scopi, il che è il trionfo del pio desiderio sull’esperienza; il secondo è che la spesa pubblica in eccesso rispetto alle entrate è improduttiva, dato che i ministri del governo sono incapaci, a causa delle loro priorità politiche e della mancanza di una vera motivazione commerciale, di applicare questo credito a effetti produttivi.

I principi keynesiani sono del tutto in contrasto con le condizioni alle quali il credito nell’economia può espandersi nel tempo senza compromettere il potere d’acquisto della valuta. Questo è il motivo per cui, dopo il crollo di Wall Street e la successiva depressione, l’America ha trovato sempre più difficile mantenere il gold standard, prima di abbandonarlo completamente nel 1971.

I monetaristi raccomandano di controllare l’offerta di denaro (con cui intendono il credito) mediante linee di politica sui tassi d’interesse, che secondo loro regolano la domanda di credito. Ma come abbiamo visto dal grafico sulle aspettative dell’inflazione dei prezzi a breve termine, il credito ha bisogno dell’ancoraggio a un gold standard per garantire il suo valore attraverso i vari cicli del credito bancario. La convinzione che quest’ultimo possa essere gestito regolando l’offerta di credito totale si basa quindi su un’idea sbagliata.

Questa teoria è stata scoperta dal Paradosso di Gibson, il quale ha dimostrato che non esiste alcuna correlazione tra i tassi d’interesse e l’inflazione dei prezzi. La correlazione è tra i tassi d’interesse e il livello generale dei prezzi, che non è la stessa cosa del tasso di variazione di questi ultimi. La vera relazione fu osservata in Gran Bretagna nel corso di due secoli tra il 1730 e il 1930. La ragione del Paradosso è che le imprese che investono il proprio capitale e il credito ottenuto dagli investitori e dalle banche fanno sempre riferimento ai valori di produzione nei loro calcoli economici per determinare la redditività di un investimento. Se il valore del credito è solido, i valori della produzione tra cinque o dieci anni saranno simili a quelli di oggi. Un uomo d’affari può quindi avere fiducia nei suoi calcoli, conoscendo il livello d’interesse che può pagare ottenendo un profitto ragionevole.

Questo è il motivo per cui i tassi d’interesse generalmente sono correlati al livello generale dei prezzi.

Senza capire il perché ciò accada, gli economisti moderni sostengono che il Paradosso di Gibson si applicava solo durante il gold standard e che oggi non si applica più. Ma il motivo per cui oggi non sembra essere applicabile è l’assenza di stabilità dei prezzi, cosa che corrompe la base dei calcoli aziendali. Non è un argomento valido affermare che con le valute fiat i tassi d’interesse ora sono correlati al tasso d’inflazione dei prezzi e quindi possono essere utilizzati per controllarlo.

Senza considerare poi che ci sono i valori delle preferenze temporali, particolarmente importanti per i detentori esteri di qualsiasi valuta.

Secondo la teoria della preferenza temporale, un creditore esaminerà tre cose: la perdita del possesso del suo credito che viene novato a un altro soggetto, il rischio che il credito non venga rimborsato e le variazioni del valore di tale credito prima del rimborso. Se gli interessi su un prestito non riescono a soddisfare questi obiettivi, il prestito non verrà erogato. In questi tempi di valute fiat e i loro valori futuri incerti, gli stranieri prenderanno in considerazione i potenziali cambiamenti nel potere d’acquisto della valuta – un fattore che generalmente non si applica quando essa è legata al denaro reale, ovvero l’oro.

Come alternativa al gold standard, la gestione dei tassi d’interesse è un pessimo sostituto. L’instabilità economica e finanziaria che affrontiamo oggi nasce dal distacco dei valori creditizi dal denaro reale. Le crisi finanziarie periodiche di solito comportano ulteriori emissioni di valuta o di credito da parte della banca centrale, minando ulteriormente il potere d’acquisto del credito. Questo è ciò che porta a tassi d’interesse più alti nel tempo e a costi più elevati per finanziare i deficit pubblici.

Senza la conoscenza sulla corretta distribuzione del credito e in possesso solo di teorie incomplete, a partire dalla seconda guerra mondiale gli stati e i loro economisti sono andati alla cieca. Ora hanno completamente abbandonato la corretta distinzione tra denaro e credito, sostituendo il primo con il credito della banca centrale. Per loro, il credito bancario trae il suo valore dalle banconote e non dall’oro e il deragliamento della situazione attuale non è un caso.

Il valore del credito si trova ad affrontare la sua crisi più profonda

Secondo l’FMI nel 2022 i Paesi del G7 avevano un rapporto debito pubblico/PIL del 128%. In testa alla classifica troviamo il Giappone con il 260,1%, seguito dall’Italia con il 144%, gli Stati Uniti con il 121,3%, la Francia con il 111,8%, il Canada con il 107,4%, il Regno Unito con il 101,9% e la Germania con il 61,8%. L’FMI presuppone che molti di questi Paesi faranno crescere il loro PIL più velocemente del loro debito, riducendo questi rapporti, mentre il debito pubblico continuerà a crescere a un ritmo più lento.

Inutile dire che tutti loro sono finiti in una trappola del debito e i problemi più acuti ce li ha il Giappone, dove la banca centrale si rifiuta ostinatamente di portare i tassi sui depositi in territorio positivo.

Mentre si nasconde dietro le sue credenze keynesiane, la Banca del Giappone ha un enorme problema: ha manipolato i suoi mercati finanziari sin dal 2000 acquistando titoli di stato giapponesi, debito societario e persino azioni attraverso gli ETF. Con l’aumento dei rendimenti obbligazionari, il suo bilancio è ora profondamente negativo: tecnicamente la banca centrale è fallita e se fosse un’azienda nel settore privato i suoi direttori sarebbero già stati tutti incarcerati per frode. Ma si tratta di un’organizzazione controllata dallo stato, proprio come tutte le altre principali banche centrali del G7 che senza rifinanziamento sono tecnicamente fallite.

Sono queste le organizzazioni su cui facciamo affidamento per sottoscrivere l’intero sistema creditizio del G7. E ora che il credito in valute fiat è completamente staccato dal denaro reale e fa affidamento sulla fiducia delle persone in esso, la situazione non è felice. Inoltre il sistema finanziario del G7 si è basato su tassi d’interesse pari a zero e negativi e deve adattarsi ora a tassi d’interesse e rendimenti obbligazionari nettamente più elevati. In precedenza ho descritto il ciclo del credito bancario, e da ciò ora dovrebbe essere ovvio il motivo per cui il credito bancario si sta contraendo in alcune di queste giurisdizioni: le banche commerciali sono ora sempre più consapevoli del crollo dei valori delle obbligazioni e delle garanzie, e di un’ondata di debiti inesigibili in un momento in cui i loro bilanci sono terribilmente sovraindebitati.

Il grafico qui sopra mostra la correlazione negativa tra il rendimento delle obbligazioni a lungo termine e l’indice S&P 500. Dopo la crisi della Lehman, il calo dei rendimenti obbligazionari ha portato l’indice S&P al rialzo, fino a raggiungere un’estrema divergenza nel luglio 2020. Da allora la divergenza si è invertita, indicando che l’indice S&P è ora ampiamente sopravvalutato rispetto ai rendimenti obbligazionari e un orte calo delle azioni è quasi certo. Su questa base un obiettivo per l’indice S&P (attualmente 4.240) dovrebbe essere compreso tra i 500 e i 1.000 se si vuole colmare questo divario di valutazione e se il rendimento delle obbligazioni a lungo termine rimane ai livelli attuali.

Conclusione

Non è mai stato così importante comprendere il credito e il fatto che dal 1971 esso è stato totalmente separato dal denaro reale, ovvero l’oro fisico. È un errore madornale pensare che il dollaro abbia sostituito l’oro: forse è la forma di credito più alta, ma non è denaro reale.

La fine del sistema creditizio basato sulle valute fiat è ormai in vista, un’inevitabilità che era del tutto prevedibile. Da un valore equivalente di $20,67 l’oncia, confermato giuridicamente nel 1900 ma esistente de facto sin dal 1850, il dollaro ha già perso quasi il 99% del suo valore. La maggior parte di questa perdita risale al 1971, come mostrato nell’ultimo dei nostri grafici.

Inoltre ci sono prove che Cina e Russia si siano preparate per una crisi del credito accumulando notevoli quantità di lingotti, che possono utilizzare per sostenere le loro valute. Nel momento in cui si attiverà questa opzione, l’intero sistema creditizio basato sulle valute fiat sarà minacciato di collasso, se non altro perché tutti si renderanno conto del fatto che è giuridicamente vera una cosa fin dalle prime leggi di Roma nelle Dodici Tavole e confermata da John Pierpont Morgan in una sua testimonianza del 1912 di fronte al Congresso: l’oro è denaro, tutto il resto è credito.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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