Non c’è bisogno di alcun taglio dei tassi

Un disclaimer è sempre d’obbligo quando leggete pezzi del genere su queste pagine: non c’è alcuna simpatia per le banche centrali. In questo modo evitiamo che Rothbard si rigiri nella tomba. Detto ciò bisogna essere pragmatici e analizzare la situazione per quello che è e per quello che sta facendo la FED: da due anni a questa parte ha abbandonato la “coordinated central banking policy” nata sulla scia del rialzo dei prezzi dell’oro nel 2011 e la perdita della tripla AAA dei bond statunitensi, normalizzando ora i tassi e mandando nel panico il resto dei suoi pari dopo anni di ZIRP. La FED è stata costretta a farlo a causa dell’enorme quantità di leverage creata dallo zero bound, che ora sta velocemente invertendo. Se infatti si guarda la situazione dalla prospettiva di Powell e delle sistema bancario commerciale che rappresenta, la loro scelta era duplice: avere come punto di riferimento la formazione pubblica del capitale secondo le linee del WEF e la fusione banche commerciali-banca centrale, oppure far sopravvivere l’attuale sistema in cui le forze di mercato hanno ancora una leggera voce in capitolo nella formazione del capitale. Non un mondo perfetto e ideale, ovvio, ma rispetto all’alternativa decisamente meglio. Prima che avviasse il facility della FED legato ai pronti contro termine inversi (impedendo ai tassi della nazione di finire in negativo) e canalizzasse lì i player statunitensi, l’era Bernanke-Yellen aveva messo su un percorso auto-distruttivo sia la nazione che la FED stessa. La normalizzazione dei tassi, l’esclusione dei player stranieri (soprattutto europei) dai fondi monetari statunitensi e la contrazione del mercato degli eurodollari sono state tutte mosse intraprese per permettere alla FED di riprendere in mano la politica monetaria. La propaganda “taglio dei tassi” era tutta una storia gonfiata dai mass media finanziari, e partita dall’Europa, in modo da forzare la mano a Powell portando come giustificazione “lo vogliono i mercati per rimanere stabili”. Il tentativo è fallito e così ha dovuto fare marcia indietro anche chi ha davvero disperatamente bisogno di un taglio dei tassi ma non può operarlo per mantenere le apparenze: la BCE.

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di David Stockman

Jerome Powell non è l’idiota che alcuni vogliono far sembrare che sia. Ricoprire il ruolo di presidente della nostra agenzia di pianificazione monetaria centrale avrebbe fatto una cosa simile a chiunque, anche a Einstein.

Dopotutto, qui stiamo parlando di una Mission Impossible monetaria: in America esiste un’economia infinitamente complessa e opaca da $26.000 miliardi, profondamente e intricatamente intrecciata con un PIL mondiale da $105.000 miliardi. In quanto tale, l’economia americana opera molto, molto al di là della portata di qualsiasi aspirante amministratore statale, pianificatore, o zar dell’economia.

In parte ciò è dovuto al fatto che i “dati economici in entrata” sono inaffidabili, incompleti, pieni di rumore e spesso indecifrabili. Allo stesso modo, gli strumenti di attuazione e controllo delle linee di politica della FED sono rozzi, traballanti e generalmente inadatti allo scopo.

Quindi è lieta di fingere di perseguire in modo preciso e scientifico “obiettivi” macroeconomici per quanto riguarda inflazione, piena occupazione e massimizzazione generale della prosperità, conferendo così il bene superiore a Main Street… ma è uno stratagemma. In realtà ciò che fa è piegarsi periodicamente quando Wall Street gli porge la proverbiale saponetta.

Di recente s’è verificato l’ennesimo e ignominioso episodio di questa prostituzione monetaria, quando è circolata la voce sulla carta stampata che ci sarebbero stati nuovi tagli dei tassi. Ma l’inflazione non è stata sconfitta, i tassi d’interesse reali sono ancora profondamente al di sotto della norma e $8.000 miliardi in nuovo denaro fiat sin dal 2008 sono più che sufficienti per i decenni a venire. Da cosa sarebbero, quindi, giustificati nuovi tagli?

Variazione annua dell’IPC 16% trimmed mean, dal 1991 al 2023: al 4,0% il tasso di tendenza è ancora il più alto in 32 anni

Tasso di riferimento della FED aggiustato all’inflazione, dal 1984 al
2023: i tassi reali sono stati negativi per il 95% del tempo sin dalla
Grande Crisi Finanziaria

Wall Street vuole un altro giro di prezzi al rialzo delle azioni e l’unico modo per far sì che ciò accada è attraverso l’ennesimo ciclo di espansione del rapporto PE.

E quando si tratta di quest’ultimo, i trader pavoloviani e i robo-trader a Wall Street hanno già superato l’apprendimento dell’IA:

• Taglio dei tassi

• Comprare azioni

• Incassare i guadagni

• Ripartire d’accapo!

Quanto sopra è l’unica giustificazione per abbassare i tassi d’interesse. Il motivo è semplice: l’unico strumento attraverso il quale tassi più bassi rispetto agli attuali livelli aggiustati all’inflazione potrebbero avere un impatto sulla crescita del PIL, dell’occupazione, della spesa e dei redditi è attraverso l’incentivazione di ulteriori prestiti da parte sia del governo federale che del settore privato.

Dopotutto i tagli dei tassi sono l’unico strumento nel kit di strumenti della FED e far sì che gli attori economici prendano in prestito e spendano più di quanto farebbero di loro spontanea volontà è il suo unico vero canale di trasmissione della politica monetaria.

Ma ecco il punto: è mai venuto in mente agli idioti keynesiani che quando si arriva all’infinito accumulo di debito si potrebbe anche arrivare a una situazione di rendimenti decrescenti? O che più debito oggi garantisce meno prosperità domani? O che nello schema fondamentale della vita economica si contrappone al conto economico e ai flussi di cassa la questione delle condizioni di bilancio e le loro relative ripercussioni?

Ebbene, ecco il debito pubblico e privato dell’economia statunitense (linea nera) rispetto al reddito o al PIL (linea rossa) sin dal 1949, con la linea viola tratteggiata che rappresenta l’ammontare del rapporto della leva finanziaria aggregato. Quest’ultimo è rimasto stabile a circa  il 150% del rapporto debito/PIL dal 1950 al 1970, riflettendo una costante storica rimasta in tale intervallo per la maggior parte dei 100 anni successivi al 1870.

Tuttavia, una volta liberato dal suo ancoraggio all’oro nel 1971, il dollaro ha cominciato a correre . Il reddito collettivo, o PIL, è ora più alto del 2.300%, mentre il debito collettivo è aumentato del 5.600%. Di conseguenza il rapporto della leva finanziaria dell’economia statunitense è salito al 357% a partire dal 2022.

Tuttavia in questo grafico c’è molto di più che semplici numeri. I due giri extra di leva finanziaria sul reddito nazionale rappresentati dalla linea viola tratteggiata, incarnano $53.000 miliardi di debito incrementale che non sarebbe esistito con il rapporto di leva pre-1971. Vale a dire, l’attuale livello di debito aggregato degli Stati Uniti ammonterebbe a $41.000 miliardi e non a $94.000 miliardi.

Rapporto tra debito, reddito e leva finanziaria dell’economia statunitense, dal 1949 al 2022

Pertanto ciò che i ricorrenti “tagli dei tassi” hanno effettivamente prodotto sono stati aumenti temporanei nell’indebitamento e nella spesa, intasando il PIL con il picco del debito e una capacità di crescita sempre minore.

Infatti un esame del grafico suggerisce che il vero punto di svolta è stato raggiunto alla vigilia della Grande Crisi Finanziaria del 2007. Durante i 58 anni terminati con il primo Picco del Debito nel 2007, il PIL reale è cresciuto in media del 3,53% annuo; da allora l’aumento è stato solo dell’1,76% annuo, ovvero appena il 50% del suo tasso storico.

Inutile dire che il risultato di cui sopra non è dovuto esclusivamente all’evidente esplosione del debito pubblico, né il crollo della crescita del PIL è attribuibile solo al fatto che la stragrande maggioranza di questo debito pubblico/spesa pubblica è stata incanalata verso le spese militari e lo stato sociale.

Non si può quindi negare che il settore statale sia responsabile del rallentamento della crescita e la continua promozione dei tassi subeconomici da parte della FED infetta anche il settore privato.

Pertanto l’esplosione del debito delle famiglie e del rapporto della leva finanziaria è stata ancora più drammatico per l’economia americana nel suo insieme. Tra il 1960 e il 2022 il debito totale delle famiglie è aumentato da $213 miliardi a $19.021 miliardi, ovvero di uno sbalorditivo 8.830%. Ciò si confronta con la principale fonte di reddito delle famiglie – salari e stipendi – che sono cresciuti da $274 miliardi a $11.115 miliardi, o solo del 3.950%.

Per una questione aritmetica, quindi, il rapporto della leva finanziaria delle famiglie rispetto al reddito da lavoro è passato dal 78% nel 1960 al 171% nel 2022; e, ancora una volta, è evidente che con 2,2 ulteriori giri di leva finanziaria, la capacità del settore delle famiglie di spendere e investire è stata gravemente compromessa.

Rapporto tra debito, reddito e leva finanziaria delle famiglie, dal 1960 al 2022

Non sorprende se le stesse tendenze valgano anche per quanto riguarda la leva finanziaria del settore delle imprese non finanziarie, tranne per il fatto che l’esplosione del debito qui è ancora più esagerata: tra il 1955 e il 2022 il debito delle imprese statunitensi è salito da $131 miliardi a $20.434 miliardi.

Proprio così. Il debito delle imprese (linea nera) è aumentato dell’incredibile cifra del 15.500% sin dal 1955. Purtroppo i mezzi per onorare tutto questo debito – valore aggiunto generato dalle operazioni commerciali (linea rossa) – sono aumentati solo del 5.930% durante lo stesso intervallo di 67 anni.

Ancora una volta, i conti non mentono. Il rapporto della leva finanziaria implicito per il settore imprenditoriale statunitense è più che raddoppiato, passando dal 40% nel 1955, al culmine della prosperità americana del dopoguerra, al 104% nel 2022.

Rapporto tra debito, reddito e leva finanziaria del settore aziendale, dal 1955 al 2022

Inutile dire che il punto zero per l’esplosione del debito e della leva finanziaria successiva al 1971 sono stati i settori finanziari nazionali. Le banche, le compagnie assicurative, i broker, le imprese parastatali e i conglomerati di Wall Street sono diventati gli LBO definitivi.

Pertanto il livello del debito di tale settore (linea nera) è aumentato da $140 miliardi nel 1970 a $18.770 miliardii nel 2022, o del 13.200%; e ciò in un contesto di crescita del PIL cresciuto del già citato 2.300%.

Il livello d’indebitamento del settore finanziario nazionale è effettivamente esploso, passando dal 12%  del PIL nel 1970 al 73% attuale. Naturalmente i libri di testo affermano che il settore finanziario dovrebbe occuparsi dell’intermediazione e della distribuzione del debito, ma quasi $19.000 miliardi di emissioni di debito sui propri conti dicono il contrario… a voce alta.

Rapporto tra debito, reddito e leva finanziaria del settore finanziario interno, dal 1970 al 2022

Quindi eventuali tagli dei tassi risulteranno controproducenti e sfoceranno nell’ennesimo ciclo di repressione finanziaria: i bilanci americani sono ingolfati e l’unica via che dovrebbero percorrere sarebbe quella dell’inadempienza.

Solo il libero mercato può scoprire il vero livello economico e sostenibile dei tassi d’interesse, del debito e della leva finanziaria nelle condizioni attuali. E prima Mr. Market inizia questa missione, meglio è.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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