Le meccaniche alla base di una crsi del credito

 

 

di Alasdair Macleod

Gli squilibri nel sistema mondiale del credito fiat sono enormi. Nel frattempo le speranze keynesiane e monetariste, che si possano abbassare i tassi d’interesse per mantenere le cose a galla, stanno accecando gli investitori rispetto ai rischi reali.

Quasi tutti credono erroneamente che tassi d’interesse più bassi siano in arrivo e rimarranno bassi. A parte il fatto che un lieve calo non è una profezia che si autoavvera, in pratica la riluttanza delle banche a concedere prestiti alle imprese manterrà i tassi elevati. E il reindirizzamento del credito bancario verso il governo degli Stati Uniti, che finanzia i suoi enormi deficit di bilancio attraverso l’emissione di titoli di stato, è altamente inflazionistico.

Ciò è destinato a portare nel tempo a tassi d’interesse significativamente più alti, cosa che minaccerà di far crollare l’intero sistema creditizio.

Potrebbe entrare in gioco anche il collateral doom-loop di Irving Fisher, per cui il calo dei valori delle garanzie porta a un’ulteriore liquidazione delle stesse. Gli scambi regolamentati a bassa capitalizzazione costituiranno un punto debole, richiedendo che l’intero registro DTC venga bloccato per mantenerli in funzione. Niente sarà più una certezza.

E coloro che pensano di potersi proteggere acquistando ETF sull’oro probabilmente scopriranno che i lingotti sottostanti vengono dirottati “nell’interesse dello stato”, lasciandoli con vacue promesse cartacee come unico conforto.

Non c’è da stupirsi se tutti pensino che i tassi d’interesse debbano scendere. Se non accade, il risultato è troppo orribile da contemplare.

La dinamica alla base del valore del dollaro

Nei mercati di oggi è difficile per i non addetti ai lavori comprenderne il funzionamento. Si è sempre trattato di credito bancario, sia a livello di banche centrali che di banche commerciali, e non deve mai essere confuso con il denaro reale, che fin dagli albori della storia è stato il metallo fisico. Oggi possiamo dire che si tratta quasi principalmente di oro, ma questo è il mezzo di scambio di ultima istanza, temuto dai singoli individui e, negli ultimi decenni, sempre più dalle banche centrali e dagli interessi asiatici.

Inoltre la differenza tra credito e denaro reale è ulteriormente minata dalla propaganda statale che possiamo far risalire alla sospensione del gold standard in America nel 1933, che de facto durava sin dal 1850 e de jure sin dal 1900. A ciò fece seguito il tentativo palese di espellere completamente l’oro dal sistema monetario ponendo fine all’accordo di Bretton Woods nel 1971. Gli eventi successivi hanno intensificato la disinformazione monetaria, portando a un sistema monetario fiat mondiale basato sul dollaro ma completamente svincolato dall’oro in termini di valore.

Per dare a tutti noi l’illusione della stabilità dei prezzi, l’accordo di Breton Woods era stato concepito per promuovere il dollaro come sostituto dell’oro per tutte le altre valute. Dopo la sua sospensione per preservare la credibilità del dollaro, il governo statunitense ha fatto sempre più ricorso alla manipolazione dei mercati. In primo luogo, all’inizio degli anni settanta tentò di vendere l’oro che fu prontamente acquistato e non riuscì a fermarne il continuo aumento del prezzo. Il tentativo successivo fu quello di creare una domanda artificiale di dollari per sostenerne il potere d’acquisto, misurato rispetto alle materie prime e ad altre valute. Ciò portò all’espansione dei mercati dei derivati, che deviarono la domanda speculativa dalle materie prime, sopprimendone così i prezzi al di sotto dei livelli che altrimenti sarebbero emersi. Facevano parte dell’inganno anche l’espansione del mercato dei lingotti a Londra, che creò oro sintetico, e la domanda di dollari non solo per regolare il commercio transfrontaliero e i prezzi delle materie prime, ma anche per sostituire l’oro nelle riserve delle banche centrali.

Nel corso dei cinquantadue anni trascorsi dalla sospensione di Bretton Woods, si sono accumulati enormi squilibri. Di seguito è riportata una tabella delle recenti stime dei saldi in dollari delle banche e delle banche ombra, onshore e offshore.

L’elemento offshore è considerevolmente maggiore di quello registrato nei numeri TIC del Tesoro statunitense per i titoli onshore, il che di per sé ci dice che l’interesse estero negli investimenti onshore in dollari e nei saldi bancari supera il PIL statunitense. L’elemento offshore si basa sull’analisi della Banca dei Regolamenti Internazionali dei depositi in dollari e delle obbligazioni a breve termine al di fuori del sistema finanziario statunitense, a cui possiamo far riferimento come mercato dell’eurodollaro. Si tratta principalmente di contratti a termine e swap su valuta in cui una gamba è in dollari. Al contrario gli asset in valuta estera dei residenti negli Stati Uniti sono notevolmente minori, ma questo accade perché i titoli a lungo termine sono detenuti prevalentemente sotto forma di ADR: essi sono denominati in dollari e le loro vendite da parte degli investitori statunitensi non danno luogo ad esposizione in valuta estera.

Ora che la bolla finanziaria gonfiata da tassi d’interesse a zero e negativi comincia a dare segni di cedimento, questi equilibri sono destinati a diminuire. Ai titoli onshore a lungo termine dobbiamo aggiungere i $10.700 miliardi stimati di obbligazioni a lungo termine in eurodollari, si tratta di $35.000 miliardi in investimenti a lungo termine di proprietà straniera in obbligazioni e azioni che sovrastano i mercati finanziari statunitensi, i cui valori sono a rischio a causa dei rendimenti obbligazionari più elevati. Includendo ulteriori depositi offshore a breve termine e posizioni in valuta estera in dollari, il totale di $127.700 miliardi è 175 volte le valute estere detenute dai residenti statunitensi.

L’importanza di questa sbilanciamento non potrà mai essere sottolineata abbastanza. Una crisi bancaria, un mercato ribassista nei titoli, sviluppi geopolitici o, più probabilmente, una sorta di combinazione dei tre potrebbero portare ad un rapido collasso dell’intero sistema creditizio. Il futuro di questa struttura dipende dal fatto che i tassi d’interesse e i rendimenti obbligazionari scendano rispetto ai livelli attuali, e che l’inflazione rimanga contenuta.

Questa è fantasia, non la realtà.

Le prospettive per i tassi d’interesse

Come se fossero consapevoli di questo pericolo, quasi tutte le analisi dei broker prevedono tassi d’interesse più bassi. Questa è una visione comune basata sulla teoria macroeconomica keynesiana e monetarista a fronte di una recessione economica ampiamente anticipata. I keynesiani sostengono che il calo della domanda dei consumatori porta a prezzi più bassi – un eccesso generalizzato – ignorando il fatto che la produzione diminuisce sempre per prima; i monetaristi collegano la contrazione dell’offerta di denaro ai futuri tassi d’inflazione dei prezzi. Queste teorie matematiche dominano il pensiero contemporaneo e in una certa misura possono agire come profezie a breve termine che si auto-avverano, almeno finché le contraddizioni economiche non le correggono, di solito violentemente.

Entrambe le discipline ignorano il fattore soggettività, che è inerente al valore di qualsiasi valuta fiat e dipende interamente dalla fiducia che hanno in esse coloro che le utilizzano. Non riescono a comprendere la realtà del mercato legata alla contrazione del credito delle banche commerciali, che anche in un gold standard costituisce la maggior parte del mezzo circolante. E commettono il semplice errore di non capire che in una recessione non è la domanda di credito a diminuire, portando a tassi d’interesse più bassi, ma i banchieri che percepiscono un aumento del rischio di prestito e limitano la disponibilità di credito, portando a tassi di prestito più alti.

La realtà è semplice: se le banche limitano l’espansione del credito, i mutuatari si troveranno a dover pagare di più per ottenerlo. E per far fronte all’aumento del rischio di prestito, le banche ampliano i propri margini facendo salire il meno possibile gli interessi pagati ai depositanti. Questo non descrive le attuali condizioni del credito bancario? Finché le cose stanno così, qualunque cosa gli investitori e i loro broker desiderino, i tassi d’interesse rimarranno ostinatamente alti.

Tuttavia la situazione relativa al credito bancario richiede un esame più approfondito, in parte perché i cambiamenti normativi hanno distorto le statistiche sull’offerta di denaro.

Dobbiamo iniziare con una semplice definizione di offerta di denaro: è costituita da credito sotto forma di passività creditizie delle banche centrali e commerciali verso individui e imprese. Ma di recente la FED ha preso credito da fondi monetari che altrimenti sarebbero registrati come depositi bancari in circolazione pubblica. Ciò è avvenuto perché, secondo le regole di Basilea 3 sul finanziamento stabile, i depositi di grandi dimensioni devono affrontare un haircut del 50% allo scopo di finanziare gli attivi di bilancio, rispetto a solo il 5% per i piccoli depositi assicurati. E le banche commerciali non sono comunque disposte a tagliare i margini sui tassi d’interesse per competere per questi depositi.

Di conseguenza la FED ha esteso la possibilità di accedere al mercato pronti contro termine inverso ai fondi monetari: ha usato i suoi titoli del Tesoro USA e le garanzie collaterali delle agenzie governative in cambio dei depositi di fondi monetari. Ciò ha avuto l’effetto iniziale di ridurre la crescita apparente dell’offerta di denaro al di sotto di quanto sarebbe stato altrimenti, e poi di accelerarne il declino quando i fondi monetari hanno ridotto le loro posizioni di riacquisto a favore dei titoli del Tesoro USA. Per cogliere la vera situazione, dobbiamo considerare i depositi bancari e i saldi pronti contro termine in modo olistico: la somma dei depositi bancari e dei pronti contro termine è illustrata nel grafico seguente.

Tra il 2020 e la fine del 2022 l’aumento dei pronti contro termine è servito a nascondere un tasso di crescita molto più elevato del credito bancario. Nella convinzione che la crisi fosse temporanea, e avendo comunque poche opzioni, le banche concessero enormi quantità di credito, maggiori di quelle indicate dalle stesse statistiche sui depositi bancari.

Gran parte del successivo calo era dovuto al calo dei pronti contro termine, che sono scesi da $2.240 miliardi nel dicembre 2022 a $681 miliardi di recente, mentre M2 è calato di soli $340 miliardi nello stesso periodo. Da allora i fondi vincolati in pronti contro termine sono migrati verso il mercato dei titoli del Tesoro USA, attratti dalle scadenze a 1 mese con un rendimento del 5,4%. In sostanza sono scomparsi nelle finanze del governo federale, senza dubbio ulteriormente rafforzati dalle banche che hanno convertito i propri portafogli di prestiti e obbligazioni in titoli del Tesoro USA a breve scadenza in fuga dal rischio di prestito. Inoltre i fondi monetari totali sono aumentati di circa $1.400 miliardi sin dallo scorso marzo fino a quasi $6.000 miliardi, tutti finiti nei titoli del Tesoro USA.

La misura in cui l’amministrazione Biden sta risucchiando credito dal sistema finanziario statunitense è davvero notevole. Pur indicando che le sue finanze sono in crisi, mostra che il livello di avversione al rischio da parte del sistema bancario nei confronti del settore privato è notevolmente maggiore di quanto generalmente previsto.

Sebbene la carenza di credito per il settore privato sia acuta, una combinazione di flussi dai fondi monetari e di riduzione del rischio nei bilanci delle banche ha consentito al governo degli Stati Uniti di prendere in prestito $2.600 miliardi l’anno scorso. Questi fondi ritornano nell’economia attraverso la spesa pubblica. In altre parole, lungi dall’essere deflazionistico come suggeriscono i monetaristi, essendo tolto dal sistema bancario commerciale e reindirizzato nelle mani del governo federale, l’apparente contrazione dei depositi bancari e dei pronti contro termine è in realtà un utilizzo del credito in modo più inflazionistico.

Ciò spiega anche perché il PIL nominale non sta diminuendo nella misura indicata da rapporti aneddotici.

Queste sono precisamente le dinamiche creditizie che alimentarono le condizioni di stagflazione negli anni ’70. A quel tempo l’establishment macroeconomico non riusciva a trovare una spiegazione e oggi è altrettanto all’oscuro. Pertanto lungi da una prospettiva di tassi d’interesse e rendimenti obbligazionari stabili e più bassi, si prospetta il contrario. E con il peggioramento delle prospettive economiche, si prospettano condizioni di credito ancora più restrittive per imprese e consumatori e una spesa pubblica maggiore. Queste condizioni di stagflazione porteranno sicuramente a tassi d’interesse e rendimenti obbligazionari più elevati, al fallimento di società zombi, a rischi sistemici che diventeranno evidenti nell’intero sistema bancario e a un grave mercato ribassista anche per le azioni.

Queste condizioni diventeranno sicuramente sempre più evidenti nei prossimi mesi. Meno ovvio è il ruolo delle garanzie senza le quali l’intera struttura creditizia crolla. Vale la pena dedicare un po’ di tempo a considerare la minaccia derivante da significative cadute nel valore degli asset finanziari.

Il ruolo delle garanzie nella crisi degli LDI

Ciò che generalmente i non addetti ai lavori non comprendono è che gli investimenti con valori gonfiati sono alla base di molte posizioni in derivati over-the-counter fungendo da garanzia. Un problema sorge inevitabilmente quando il valore di tali garanzie diminuisce, innescando richieste di garanzie aggiuntive. Il sistema bancario statunitense si trova attualmente ad affrontare un incidente di percorso nel settore immobiliare, in cui il valore dell’equity viene spazzato via dalle attuali diminuzioni di valore e le banche si ritrovano per le mani garanzie invendibili. Il problema è ormai noto, ma non finisce qui.

Il problema delle garanzie ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica nel Regno Unito quando l’aumento dei rendimenti dei titoli di stato inglesi ha minacciato i cosiddetti LDI (liability driven investment), un esempio che possiamo utilizzare per migliorare la nostra comprensione del ruolo delle garanzie nei contratti derivati e dei pericoli presentati da un collasso del sistema delle garanzie stesse.

Gli LDI venivano utilizzati dai fondi pensione britannici per aumentare i propri rendimenti. I sistemi a benefici definiti, dovendosi confrontare con costosi oneri finali nei confronti dei loro beneficiari, non sono stati in grado di far fronte a essi quando le banche centrali hanno azzerato i tassi d’interesse e, attraverso il QE, i rendimenti obbligazionari sono stati ridotti a livelli minimi. L’unica soluzione per questi schemi pensionistici era aumentare i loro rendimenti attraverso la leva finanziaria.

In genere ciò avveniva attraverso uno schema LDI fuori bilancio, permettendo a un fondo pensione di proteggersi dal calo dei tassi d’interesse e aumentandone le passività future attraverso il calcolo del valore attuale netto. Uno schema LDI forniva leva finanziaria, in modo che il reddito su un titolo di stato inglese venisse moltiplicato fino a cinque o sei volte, consentendo a un fondo pensione di dimostrare una copertura attuariale per le sue passività future.

Un fondo pensione che investe in uno schema LDI stipula di fatto uno swap sui tassi d’interesse a leva con il fornitore dell’LDI. Un tasso d’interesse in aumento conferisce un valore negativo allo swap e il flusso di reddito fisso diventa inferiore al rendimento offerto sul mercato. Ciò richiede che il fondo pensione fornisca ulteriori garanzie al fornitore dell’LDI e la leva finanziaria moltiplica la quantità di garanzie richieste. Ma i fondi pensione tendono a essere completamente investiti e, non avendo liquidità a portata di mano, sono esposti a un aumento radicale dei rendimenti obbligazionari.

La crisi è stata innescata quando i mercati sono stati spaventati dalla proposta di budget di Liz Truss nel settembre 2022. Durante il suo mandato i rendimenti del decennale inglese salirono rapidamente dal 3,88% al 4,5% e per quelli con scadenza a 30 anni dal 2,7% al 4,8%. In quest’ultimo caso il suo valore è crollato del 13% in pochi giorni.

Ciò ha costretto i fondi pensione a liquidare gli attivi, compresi i loro titoli di stato inglesi, motivo per cui la Banca d’Inghilterra è dovuta intervenire per sostenere il mercato obbligazionario. E solo quando è diventato evidente che le autorità stavano acquistando titoli di stato per stabilizzarne i prezzi, il panico tra i gestori dei fondi pensione e i fornitori di LDI si è calmato.

Successivamente i rendimenti dei Gilt sono saliti a livelli ancora più alti, con il rendimento del decennale che ha toccato il 4,75% lo scorso agosto e il rendimento di quello a 30 anni al 5,07%. Ovviamente questo episodio ha messo in guardia i gestori dei fondi pensione e hanno messo in atto tentativi per mettersi al riparo; lo stesso non si può dire per l’uso più ampio delle garanzie sui mercati internazionali, per i quali i decennali americani rappresentano il parametro “privo di rischio”.

Il problema delle garanzie sta diventando globale

I contratti LDI sono essenzialmente swap sui tassi d’interesse: scambiano un tasso variabile (nel nostro caso i rendimenti volatili dei titoli di stato inglesi) con un tasso fisso, solitamente potenziato attraverso la leva finanziaria. Queste caratteristiche sono simili a quelle del mercato globale degli swap sui tassi d’interesse, che è enorme. Secondo la Banca dei regolamenti internazionali, a metà del 2023 ammontava a un valore nominale di $465.900 miliardi, di cui $167.800 miliardi in dollari e $129.300 miliardi in euro.

Fino al recente calo dei rendimenti obbligazionari, aveva il potenziale per innescare una grave crisi che probabilmente avrebbe richiesto molto più dell’intervento delle banche centrali, come quello messo in atto dalla Banca d’Inghilterra nel 2022. Si stava rapidamente trasformando in un circolo vizioso, simile a quello messo in luce dalla crisi LDI del Regno Unito, ma che avrebbe coinvolto il dollaro, l’euro e tutte le altre principali valute. Le banche statunitensi si stavano dirigendo verso migliaia di miliardi in perdite mark to market sulle loro posizioni obbligazionarie, e poiché i costi di finanziamento continuavano ad aumentare, anche il danno ai loro conti profitti/perdite stava aumentando.

Forse questo ha convinto la FED ad andarci piano con la sua linea di politica riguardo i tassi d’interesse, dato che il FOMC ha segnalato che la sua lotta contro l’inflazione è finita ed è iniziata quella per preservare i valori delle garanzie. Ma come notato sopra, la ridistribuzione di massicce quantità di fondi monetari e credito bancario dal settore privato a quello pubblico è altamente inflazionistica e indebolisce il potere d’acquisto di una valuta. I tassi d’interesse dovranno salire nuovamente, altrimenti il dollaro si indebolirà, o al limite accadranno entrambe le cose. Ma tassi d’interesse più elevati mineranno il valore dei titoli e porteranno a una nuova crisi delle garanzie e sistemica nelle banche. E con gli Stati Uniti e altre economie che si trovano ad affrontare una recessione, l’equilibrio tra la lotta all’inflazione e il mantenimento del valore degli asset non potrà durare a lungo. Sebbene i tassi d’interesse e i rendimenti obbligazionari pare abbiano arrestato la loro salita, allentando la pressione sulle valute e sui valori degli asset finanziari, ciò si rivelerà temporaneo.

Nella loro pianificazione a lungo termine le autorità hanno previsto una possibile crisi delle garanzie di questo tipo e hanno intrapreso azioni anticipate per affrontarla nel caso in cui diventasse realtà? La risposta sembra essere affermativa. Tale domanda, ma forse non la motivazione, è affrontata in un recente libro di David Rogers Webb intitolato The Great Taking.

La ridistribuzione dei titoli in una crisi sistemica

L’analisi di Webb si concentra sulla dematerializzazione dei titoli dalla forma di certificato alla scrittura contabile sul Depository Trust and Clearing Corporation (precursore di Clearstream ed Euroclear in Europa). Si tratta di depositari centrali di titoli, strettamente collegati alle controparti centrali di compensazione. Senza che la popolazione degli investitori sia a conoscenza delle implicazioni, la proprietà certificata dei titoli è stata sostituita da un “diritto al titolo”.

Il Depository Trust and Clearing Corporation dispone inoltre di una struttura di compensazione di quelle transazioni alla cui base ci sono finanziamenti tramite titoli. Dal suo sito web leggiamo che:

Il servizio di compensazione SFT [Securities Financing Transaction] introduce la compensazione centrale per le transazioni alla cui base c’è un finanziamento tramite titoli azionari, inclusi prestiti e pronti contro termine, per:

• Supportare la compensazione centralizzata delle SFT azionarie dei clienti istituzionali intermediate dai membri sponsor.

• Supportare la compensazione centralizzata delle SFT azionarie tra i membri NSCC.

• Massimizzare l’efficienza del capitale e mitigare i rischi sistemici introducendo più adesioni e opportunità di transazioni autorizzate per i partecipanti al mercato.

Ciò conferma che il bacino di garanzie è messo a disposizione dell’intero sistema. Generalmente presupponiamo che questa disponibilità richieda l’accordo di coloro che hanno un diritto sugli asset finanziari, ma non è chiaro se sia così. Inoltre la stragrande maggioranza dei titoli è gestita e amministrata da entità regolamentate su cui le autorità possono fare affidamento in caso di crisi. La posizione non viene certamente resa chiara alla popolazione degli investitori.

Da quando è stato introdotto l’Uniform Commercial Code negli Stati Uniti, che ha adottato questi cambiamenti, altre giurisdizioni come l’Unione Europea e il Regno Unito hanno seguito l’esempio. Oltre all’erosione dei diritti dei proprietari di titoli, l’obiettivo sembra essere quello di garantire alle istituzioni e agli hedge fund il più ampio accesso agli asset finanziari a fini collaterali. E in caso di perdite, ad esempio in caso di fallimento sistemico, invece di farsi carico delle perdite il depositario centrale potrebbe scaricarle su di voi.

Indubbiamente gli autori dell’Uniform Commercial Code avevano in mente la protezione delle borse a bassa capitalizzazione nei mercati regolamentati, ma in una crisi finanziaria che porta al fallimento di numerose controparti, essi non possono estendere questa protezione. La soluzione sembra essere quella di togliere loro questo rischio e trasferirlo ai depositari centrali di titoli, dando loro il potere di utilizzare il bacino di titoli sotto il loro controllo per garantire che le consegne possano continuare in tutte le circostanze. Ciò non solo facilita il prestito di titoli, ma trasferisce il rischio sistemico dagli scambi regolamentati ai bacini di diritti sui titoli.

Sembra che la corruzione dei diritti dei detentori di titoli non si fermi qui, poiché può applicarsi anche la clausola Safe Harbor contenuta nella legislazione statunitense sui fallimenti. Ciò è possibile grazie al rapporto tra depositari centrali di titoli, come il Depository Trust and Clearing Corporation, e controparti centrali di compensazione, come una banca d’importanza sistemica.

In un caso da manuale a New York tra i creditori di Lehman Brothers e JPMorgan Chase, che agiva come agente di compensazione della Lehman, i creditori cercarono di recuperare $8,6 miliardi da JPMorgan Chase. Questo era l’importo che, nei giorni precedenti al fallimento della Lehman, fu sequestrato dalla banca nonostante non fosse una garanzia. Prima del sequestro si trattava di un obbligo nei confronti della Lehman sotto forma di depositi e titoli senza pegno. Nelle 92 pagine della sentenza, infatti, vi erano molti riferimenti allo status giuridico di tali obblighi. Tecnicamente JPMorgan non ha adempiuto ai propri obblighi nei confronti dei creditori della Lehman.

Chiaramente senza le disposizioni sulla clausola Safe Harbor previste dalla legge fallimentare statunitense, il sequestro di questi beni sarebbe stato illegale. Questa è la situazione dimostrata dalla legge britannica, quando nel giugno 2010 l’ufficio londinese di JPMorgan è stato multato di £33,32 milioni dalla Financial Services Authority per non aver garantito che il denaro dei clienti, in altre parole i fondi depositati, non fosse adeguatamente separato dalle passività della banca.

Impariamo due cose da queste diverse sentenze. La prima è che, seguendo il precedente del tribunale americano di New York, JPMorgan ha il potere d’ignorare la distinzione tra asset detenuti come garanzia e asset che la banca ha l’obbligo di liberare dal depositante. E in secondo luogo, questa banca statunitense, che risulta essere la più grande e il canale principale della FED nel settore bancario commerciale, non è riuscita a distinguere tra tale relazione nella legge statunitense e i suoi obblighi legali e normativi in altre giurisdizioni, come il Regno Unito.

Tutto questo è fondamentale quando si tratta della custodia del denaro reale, ovvero l’oro, e potrebbe risucchiare in questo pantano anche il più grande ETF sul metallo giallo (GLD).

Il rapporto di JPMorgan con l’oro

Innanzitutto vale la pena di ricordare che gli organismi di regolamentazione tendono a concedere alle grandi banche il beneficio del dubbio, esaminando attentamente i loro asset di conformità solo quando queste non possono più essere ignorati. Di conseguenza è noto che le grandi banche agiscono come se le normative non esistessero. L’esempio di cui sopra, in cui era assolutamente chiaro che JPMorgan Chase violava le norme relative alla custodia del denaro dei clienti a Londra, potrebbe essere stato un’eccezione, ma abbiamo il diritto di presumere che alcuni degli avvocati e dei responsabili della conformità fossero impiegati da JPMorgan Chase e che, quindi, avessero la facoltà di muoversi tra le pieghe del sistema.

Questa mancanza di rispetto per la legge è stata dimostrata in un caso importante nel mercato dell’oro, quando il capo del trading desk associato ai metalli preziosi di JPMorgan Chase, e membro del consiglio della London Bullion Market Association, venne dichiarato colpevole di tentata manipolazione dei prezzi, frode sulle materie prime, frode telematica e falsificazione dei prezzi dei futures su oro, argento, platino e palladio. E non si tratta di un caso isolato: andava avanti da otto anni con migliaia di operazioni commerciali illecite. E anche un altro suo collega a capo del Gold Desk a New York venne giudicato colpevole. Ciò accadde nel luglio 2019, poi alla fine del 2020 la banca stessa si dichiarò colpevole di commercio illegale sui mercati dei futures sui metalli preziosi e fu pesantemente multata.

Con questo background alle sue spalle, JPMorgan Chase Bank è stata di recente nominata depositaria congiunta di SPDR Gold Shares (GLD) insieme a HSBC. Questo ETF è di gran lunga il più grande esistente e il suo sponsor è una filiale del World Gold Council. È un mistero il motivo per cui il WGC abbia sancito la nomina di una banca i cui senior dealer in metalli preziosi sono stati giudicati colpevoli di aver manipolato i prezzi dell’oro e incarcerati. Inoltre HSBC conserva tutti i lingotti GLD nei suoi caveau di Londra, in modo che siano soggetti alla legge inglese sulla proprietà e sulla regolamentazione dei titoli.

Si dice che JPMorgan Chase stia considerando il trasferimento dei lingotti GLD nei suoi depositi a New York. A quanto pare il suo caveau è collegato sottoterra a quello della FED, con quest’ultima sul lato nord di Liberty Street e la Chase Bank dall’altra parte della strada. È in questo contesto che torniamo all’analisi di David Webb delle controparti centrali, la proprietà di titoli che viene sostituita con un “diritto sulla garanzia” e il libero utilizzo della garanzia depositata all’insaputa degli aventi diritto. E secondo la sentenza del tribunale di New York che estende di fatto questa struttura a JPMorgan Chase come controparte centrale di compensazione, potremmo mettere insieme un quadro che le consentirà di utilizzare i lingotti di GLD come garanzia, o forse di affittarli o scambiarli, o in alternativa disporne in cambio di un credito a livello contabile.

I nostri sospetti aumentano se consideriamo le implicazioni della vicinanza del caveau di JPMorgan Chase a quello della FED e le prove circostanziali di un tunnel di collegamento tra i due. Conservato nel caveau della banca centrale americana c’è l’oro per conto della FED di New York, destinato alle banche centrali estere. E quando ricordiamo le difficoltà incontrate dalla Germania nel convincere la FED di New York a restituire le sue misere 300 tonnellate, senza dubbio i nostri sospetti diventano ancora più fondati.

Indubbiamente il fiduciario del GLD, la Bank of New York Mellon e il World Gold Council, hanno diverse domande a cui rispondere sul motivo per cui JPMorgan Chase è stata nominata custode. Eccone alcune:

• Il fiduciario del World Gold Council ha subito pressioni da parte di qualche organizzazione governativa, o autorità monetaria, affinché nominasse JPMorgan Chase custode dell’SPDR Trust?

• Il fiduciario e il Consiglio non erano a conoscenza del fatto che JPMorgan Chase ha una storia di manipolazione del mercato sintetico dell’oro e che la banca si era dichiarata colpevole? Secondo l’Office of Public Affairs del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti: “Nel settembre 2020 JPMorgan ha ammesso di aver commesso una frode telematica in relazione a: (1) commercio illegale nei mercati dei contratti futures sui metalli preziosi; (2) negoziazione illegale nei mercati dei contratti futures del Tesoro statunitense e nel mercato secondario delle obbligazioni del Tesoro statunitense. JPMorgan ha stipulato un accordo di prosecuzione differita di tre anni attraverso il quale ha pagato più di $920 milioni a titolo di sanzione pecuniaria penale e risarcimento delle vittime, con risoluzioni parallele della Commodity Futures Trading Commission (CFTC) e della Securities Exchange Commission annunciate lo stesso giorno”.

• Il fiduciario e il Consiglio non erano a conoscenza del fatto che due dei dipendenti senior di JPMorgan Chase erano sotto processo quando quest’ultima è stata nominato custode, uno dei quali faceva parte del consiglio di amministrazione della LBMA e gestiva il dipartimento metalli preziosi di JPMorgan, mentre l’altro era direttore esecutivo del dipartimento metalli preziosi a New York? Non erano neanche a conoscenza che entrambi sono stati successivamente incarcerati e multati per manipolazione del mercato in agosto?

Quasi certamente il fiduciario e il management del World Gold Council non saranno chiamati a rispondere a queste domande, ma la posizione giuridica dei beni sottostanti degli azionisti GLD sembra essere compromessa stando a questi sviluppi. Finora solo 1.824 lingotti LBMA da 400 once su un totale di 34.818 lingotti GLD sono in possesso presso JPMorgan (15 gennaio), ma se il totale inizierà ad aumentare materialmente sarà interessante osservare la misura in cui verranno aggiunti alla custodia di JPMorgan e la misura in cui tale accumulo finirà nel suo caveau a New York.

Inoltre i partecipanti autorizzati possono prendere in prestito le loro azioni da un depositario centralizzato di titoli e convertirle in oro fisico. Coprendo la loro posizione nei futures o nei mercati a termine di Londra, non hanno alcuna pressione per restituire l’oro e chiudere il prestito. Data questa struttura, e lungi dall’essere un investimento sicuro in lingotti d’oro, il GLD viene già utilizzato come fonte di liquidità per le bullion bank.

Come si svilupperà la fine dei giochi

Una crisi del credito è incombente: per il momento rinviata dalle speranze diffuse che i tassi d’interesse scendano quest’anno, consentendo ai rendimenti obbligazionari di stabilizzarsi. Nel momento in cui ci si renderà conto che non vi sarà alcun ulteriore ribasso nei tassi d’interesse e nei rendimenti obbligazionari, ne deriverà una crisi nei mercati azionari.

Il grafico seguente illustra la disparità che si è accumulata tra i rendimenti obbligazionari e quelli azionari. Il rapporto è già molto teso ed è improbabile che sopravviva alla prospettiva che i rendimenti dei titoli a lungo termine non scendano.

L’uscita dalle azioni potrebbe iniziare con la vendita all’estero dei circa $14.500 miliardi investiti in azioni statunitensi. Ed è improbabile che si tratti solo di un brutto mercato ribassista a causa del ruolo che le garanzie finanziarie svolgono nel sistema bancario e della massiccia struttura dei derivati.

Abbiamo avuto un assaggio di ciò che potrebbe accadere quando i programmi d’investimento LDI nel Regno Unito sono stati indeboliti dall’aumento dei rendimenti, costringendo i fondi pensione a liquidare le loro partecipazioni in Gilt. Si tratta di un problema globale, che quasi certamente tornerà a perseguitarci quando i tassi d’interesse ricominceranno a salire.

Il modo in cui le autorità affronteranno la situazione richiederà il massimo livello d’immaginazione mai raggiunto finora. In nome della protezione di tutti noi, una possibilità è quella di isolare le borse regolamentate e i loro utenti istituzionali da una crisi sistemica dando loro accesso a garanzie aggiuntive, in definitiva il possesso degli investitori ordinari – cioè voi e io. E sembra non fermarsi qui. Chiunque acquisti ETF sull’oro, in particolare GLD, potrebbe pensare di avere un’assicurazione contro una crisi del credito. Non è così. Sembra che, attraverso JPMorgan e la vicinanza del suo caveau di New York a quello della FED di New York e la nomina a sorpresa della prima come secondo custode, le autorità statunitensi avranno accesso ai lingotti della GLD detenuti per conto dei suoi azionisti.

E, infine, fu Irving Fisher che negli anni ’30 sottolineò che il calo dei valori delle garanzie porta alla liquidazione del credito e a ulteriori cali dei valori degli asset, in quello che diventa un circolo vizioso indistruttibile. Questo è il caos che potremmo dover affrontare, aggravato dall’elevata leva finanziaria, dai prestiti improduttivi agli stati e alle aziende zombi, dall’eccessivo debito al consumo e da una montagna di proprietà estera di dollari e asset denominati in dollari. Eppure siamo diventati collettivamente così illusi da non comprendere l’importanza di possedere, a livello fisico, la riserva di valore per eccellenza e senza rischio di controparte: l’oro.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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