Le criticità che stanno affossando l’Eurosistema
Quali sono le vere minacce che l’Europa deve affrontare? Non c’è bisogno di un’analisi eccessivamente approfondita, sono anche disponibili nei libri di storia e possono essere ridotte a due principali: guerra e bancarotta (inflazione). Fare la guerra richiede nemici, che alla fine ti umiliano e la spesa in eccesso, nel frattempo, distrugge la tua economia. Le guerre costano denaro e devono essere finanziate in qualche modo: tasse, prestiti e inflazione. I deficit diventano una routine per rendere più facile agli stati accedere ai prestiti e gli investitori, temendo l’inflazione e desiderosi di trarre vantaggio dai tassi più alti nell’economia reale, si ritirano dalle aste del debito pubblico. Ciò lascia la banca centrale come unica fonte di finanziamenti e la stampante monetaria come l’unico modo per ottenerli.
Il punto centrale di avere decisori è che esse possano (presumibilmente) prendere decisioni migliori, per conto del pubblico, rispetto alla gente comune. Hanno dimostrato la loro superiorità diventando più ricchi e più potenti, più istruiti, con posizioni di maggiore responsabilità rispetto al resto di noi. Il grande economista italiano, Vilfredo Pareto, lo spiegò chiaramente: decide il 20% più ricco,l’80% più povero si adegua. Sempre.
Le élite vengono elette e nominate a vari incarichi nella burocrazia. Sono anche nei consigli di amministrazione di grandi aziende, insegnano in prestigiose università e scrivono articoli su riviste e libri in cui dicono al resto di noi cosa pensare. Ecco perché sono loro a decidere. Ma perché, allora, hanno preso alcune delle peggiori scelte della storia? Avrebbero potuto semplicemente decidere di fare quello che fa ogni capofamiglia: pareggiare il bilancio. Niente più deficit, limitare la spesa in rapporto alle entrate, ecc. Queste due semplici cose avrebbero ammansito il problema del debito oggi e non si dovrebbero accendere prestiti solo per pagare gli interessi su di esso, senza contare che non ci troveremmo di fronte ad una catastrofica crisi del debito.
Un’economia sana/onesta funziona quando le persone scambiano beni e servizi con denaro e poi usano quest’ultimo per acquistare beni e servizi da altri. Si tratta di un sistema in cui i vantaggi sono reciproci: stanno tutti meglio. Per quanto possa sembrare innocuo distorcere un singolo elemento di questa semplice equazione, il denaro, invece questa azione apparentemente superficiale ha un effetto domino devastante, andando a incrinare il rapporto tra acquirenti e venditori. Alcune persone non devono più dare per avere, devono solo mettere le mani su questo “nuovo denaro” a buon mercato. Non sorprende quindi che dal 2009 al 2023 il tizio con un hedge fund, una IPO, una SPAC, un capitale di rischio, o semplicemente un portafoglio d’investimenti abbia visto le sue azioni aumentare dell’87% al netto dell’inflazione. Il povero lavoratore, invece, ha depositato i suoi risparmi su un conto bancario, non ha incassato quasi alcun interesse e il suo valore reale è crollato del 45%.
E ora i lavoratori di tutto il mondo stanno perdendo la fiducia nei loro leader. Non c’è da sorprendersi se in prossimità delle elezioni europee ritornano storielle già confutate riguardo i presunti “bot russi”, o l’arruolamento di clown nel mondo della musica per spingere i giovani a votare. Perché? Perché le decisioni prese dalle élite si sono rivelate un fallimento dietro l’altro: Iraq, Afghanistan, Patriot Act, salvataggi bancari, tassi a zero per 10 anni, incentivi verdi, lockdown, piani parlamentari per ridurre l’inflazione, DSA, DMA, regolamentazione pervasiva in ogni angolo del commercio, ecc. Non fare nulla sarebbe stato di gran lunga preferibile. Le élite sono stupide? Perché hanno preso così tante decisioni sbagliate? Ho battuto su questo punto molte volte, ma eccone un altro: sebbene il futuro sia imprevedibile, le cose seguono degli schemi. Il potere corrompe, come ci ricorda Lord Acton, e c’è sempre un’élite che prende il controllo di una società. Nel corso del tempo questi “decisori” presumibilmente più intelligenti trovano il modo di rendere la propria vita più ricca, più sicura, o più illustre. Le guerre sono una perdita per la gente comune, non solo dal punto di vista economico ma soprattutto dal punto di vista delle vite umane perse… la maggior parte, se non tutte, sono quelle di coloro nei loro ranghi. Sono invece molto amate dall’industria bellica: piovono soldi nel loro settore e le loro azioni in borsa volano. Non solo, sono anche un ottimo modo per riciclare denaro. Regalie e sprechi fanno ben poco per aiutare la gente comune, ma sono ottimi per i parassiti, i truffatori e gli addetti ai lavori.
Alla luce di tutto ciò, perché la gente comune dovrebbe continuare ad andare d’accordo con le élite? Perché dovrebbe continuare credere a una sola parola di gente come la Von der Leyen? In particolar modo sulla scia della torbida questione che ruota attorno alla sua persona riguardo il caso Pfizergate. Anche ammettendo che esistano questi “bot russi”, davvero sono loro il problema alle prossime elezioni europee o lo scetticismo montante tra la gente comune dovuto al comprovato fallimento di politici, ammanicati, burocrati e addetti ai lavori a più livelli?
Ognuno, poi, recita il suo ruolo nel glorioso teatro della storia. Anche la gente comune, in un impero tardo e degenerato, ha le sue piccole parti: può ammutinarsi di fronte ai suoi generali incompetenti, o portarli in “trionfo”. Nel caso specifico rieleggere politici idioti, esultare per la propria distruzione e baciare gli stivali che li hanno presi a calci.
LA CRISI (MAI SOPITA) EUROPEA
Non c’è fallimento più grande, poi, di quello mostrato dalle regole di Maastricht in termini di sostenibilità economica e fiscale. Anzi, la situazione attuale richiederebbe ristrettezza fiscale e di bilancio, mentre invece ciò che abbiamo visto è un continuo emendare le regole del patto di stabilità. Senza un approvazione all’unanimità non si può cambiare il Trattato di Maastricht e sostituirlo con uno nuovo, ciononostante siamo stati abituati, soprattutto negli ultimi 4 anni, a vedere un aggiramento di quelle norme auto-imposte quando non erano più in sintonia con la realtà economica. Sin dal primo referendum in Irlanda per la sua adesione all’UE, il motto è stato “le regole sono sacrosante… finché non cozzano con i nostri obiettivi reali”. E infatti le leggi economiche, per quanto possano essere aggirabili, lavorano in background per ricordare la loro apoditticità. Leggiamo da Eurointelligence:
Nel nostro ultimo briefing prima della pausa pasquale vorremmo allertare i nostri lettori su un tema che ci preoccupa da tempo: la possibilità di un’altra crisi finanziaria in Europa. In generale siamo stati moderati nel lanciare segnali di tal genere. La principale eccezione è stata la crisi finanziaria mondiale e la sua cugina, la crisi del debito sovrano dell’Eurozona. Circa quindici anni dopo qui in Europa assistiamo a un’altra crisi finanziaria: una crisi del modello sociale e politico europeo con profonde conseguenze per la stabilità fiscale e finanziaria.
Il canarino nella miniera è il superamento dei deficit di bilancio in Francia e Italia, rispettivamente superiori al 7% e al 5% per il 2024. Questi numeri sono un sintomo, non una causa. Dietro a tutto ciò c’è la mancanza di crescita economica necessaria per sostenere il modello sociale europeo. La politica fiscale della Germania non potrebbe essere più diversa da quella di Francia o Italia, eppure la Germania è afflitta dallo stesso identico problema. […]
Il modello europeo è stato alimentato da aziende oligopolistiche, fortemente sostenute dallo Stato attraverso una regolamentazione che ha inclinato la parità di condizioni a loro favore. L’industria automobilistica tedesca è un classico esempio e tutti lo hanno seguito. […]
Ciò che sta uccidendo questo modello è un cambiamento nella tecnologia e nella frammentazione geopolitica. Tra i due diremmo che il primo è il più importante. Sempre più funzioni della nostra vita, che prima erano riservate a processi puramente meccanici, sono completamente o parzialmente digitalizzate. Le barriere all’ingresso sono crollate. La Cina è passata da zero a leader mondiale delle auto elettriche.
Le aziende europee non generano più profitti sufficienti per alimentare il modello sociale e per finanziare la ricerca a lungo termine. […] Non sorprende che l’Europa abbia solo pochissime aziende tecnologiche.
In breve, il modello oligopolistico della vecchia tecnologia europea non funziona più in un mondo digitale. Abbiamo parlato dei tentativi dell’UE di contrastare gli sviluppi tecnologici attraverso la regolamentazione, ma questo è un modo per affrontare i sintomi, non le cause.
Dopo i molteplici shock mondiali di questo decennio, le conseguenze del declino tecnologico dell’Europa si traducono in tassi di crescita potenziale più bassi. L’Italia è arrivata prima: la crescita della sua produttività è stata vicina allo zero da quando ha aderito all’euro. La crescita della produttività del Regno Unito è crollata dopo la crisi finanziaria mondiale e da allora non si è più ripresa. È improbabile che la crescita della produttività tedesca si riprenda; il Consiglio tedesco degli esperti economici prevede una crescita potenziale di circa lo 0,5% fino alla fine di questo decennio. Con una crescita della produttività così bassa, il modello europeo è diventato finanziariamente insostenibile. Non sorprende che il sistema politico si stia frammentando ovunque. La tesi a favore dei deficit in Francia, ad esempio, è che sono necessari per mantenere Marine Le Pen fuori dai posti di comando. Ciò significa che persisteranno.
Ci aspetta una crisi fiscale, causata da una combinazione di calo della crescita della produttività e stallo politico. La tecnologia è la causa principale del declino; la geopolitica è ciò che l’ha accelerato. Le soluzioni che abbiamo sostenuto nel corso degli anni – una capacità fiscale comune, un’unione dei mercati dei capitali, appalti congiunti per la difesa per neutralizzare l’aumento della spesa per la difesa – sono più lontane che mai. A meno che uno di questi parametri non cambi, una crisi finanziaria è uno scenario molto plausibile.
In breve, l’UE è disfunzionale e questo è il VERO problema, non la tecnologia di per sé. L’euro stesso, con un tasso d’interesse comune, è fondamentalmente difettoso. Aziende come Alphabet, Meta, Microsoft e Apple non potrebbero esistere nell’UE perché, in nome della concorrenza e della diversità, essa le ucciderebbe prima che diventino abbastanza grandi da avere importanza. Le norme dell’UE rendono impossibile risolvere il problema di fondo e la tecnologia, inclusa l’intelligenza artificiale, e la geopolitica lo stanno semplicemente aggravando: l’UE è disfunzionale per sua natura. Senza risorse energetiche in grado di fornirle indipendenza energetica, senza capitali finanziaria in grado di fornirle indipendenza finanziaria, senza indipendenza tecnologica in grado di fornirle un bacino di valore aggiunto da cui attingere nei momenti di stress industriale. Se la BNS non avesse abbassato simbolicamente i tassi di recente, avanzando la scusa di voler anticipare le altre banche centrali in modo da non far apprezzare troppo il franco svizzero, la BCE sarebbe stata travolta entro giugno da un selloff senza precedenti sull’euro. Tra la BNS che abbassa i tassi e l’attacco speculativo allo yen, dove gli speculatori (sono pronto a scommettere europei) credono poco alla temerarietà della BOJ, la Lagarde può tirare (temporaneamente) un sospiro di sollievo nonostante la linea di politica di Powell sui tassi.
Lei stessa, in una delle ultime relazioni della Banca centrale europea, non può far altro che ammettere la debolezza dell’economia europea nel suo complesso… e in base a quanto descritto finora “debolezza” è un eufemismo. Inoltre non possiamo dimenticare l’assenza di risorse militari in grado di fornire indipendenza militare all’UE. Senza mezzi termini, l’Europa è disarmata e non è in grado di fronteggiare eventuali minacce solo con le proprie forze. L’emissione di bond di guerra mira, tra le altre cose, a mettere una toppa a questa mancanza fatale. L’obiettivo è quello di creare un esercito europeo e cestinare la NATO, che attualmente è solamente un’appendice degli USA e grazie a ciò colpire ulteriormente la credibilità di quest’ultimi. Non dimentichiamo, infatti, l’attuale guerra intestina in Occidente tra USA ed Europa.
Date queste premesse, Powell non ha fretta e nemmeno la Russia ha fretta, soprattutto perché l’Europa stessa sta facendo un buon lavoro per auto-distruggersi. Nel frattempo la Russia acquisisce esperienza militare sul campo, a costo di qualche unità persa o mezzo perso; invece l’Europa non ha guadagnato nulla dalla sua campagna a sostegno della guerra in Ucraina. Nessuna esperienza sul campo, nessun ritorno economico dai soldi gettati in quel buco nero e nessun risultato concreto.
LO SNODO DEGLI EURODOLLARI
Potremmo definire i keynesiani come individui la cui pretesa di conoscenza li porta a pensare che essi, con le loro soluzioni, siano in grado di rompere, finalmente, l’annoso ciclo economico che da sempre ha attanagliato le economie mondiali. Soprattutto negli ultimi 100 anni con una maggiore frequenza rispetto al passato. Questa presunzione li porta anche a sostenere una dimensione della politica fuori dalla realtà: manipolare l’arte della retorica per condurre la società verso un futuro colmo di prosperità e benessere. Inutile dire che il loro comando è critico affinché possano verificarsi entrambe le cose. Ecco quindi che abbiamo una leadership in Europa che pretende di avere soluzioni percorribili a una situazione insostenibile, come quella del debito pubblico ad esempio, attraverso la loro guida lungimirante. Il percorso sarà pieno di ostacoli, ma sono altresì convinti di poter arrivare a una conclusione in cui tutti vincono. Per quanto riguarda l’Europa, però, la soluzione propugnata è una in cui il comando/controllo sono pervasivi, permettendo in questo modo a una tecnocrazia “illuminata” di avere sempre e comunque “dati disponibili” in modo da aggiustare capillarmente tutte quelle storture che potrebbero emergere lungo la strada. L’essenza del piano della cricca di Davos per rimediare ad anni di lassismo fiscale e monetario è sostanzialmente questo, rendendo l’UE sulla scia dello stesso un blocco monopsonico che prenderebbe in mano le redini della leadership mondiale.
Le valute fiat digitali sono il manifesto di questa volontà ed è per questo stesso motivo che gli Stati Uniti si sono sganciati da questo treno diretto verso la loro distruzione a vantaggio invece dell’UE. I pianificatori centrali europei stessi sanno che un apparato burocratico come lo intendono loro ha bisogno di energia a basso costo e finanziamenti corposi, l’unico modo per ottenerli sarebbe stato quello di far fluire la prima da Est e far fluire i secondi da Ovest. Come unico blocco politico rimanente, e come unico blocco economico affidabile, avrebbe dovuto “sobbarcarsi” l’onere di prendere per mano il mondo e condurlo verso uno “nuovo”.
La connivenza degli Stati Uniti è terminata con la fine della presidenza Obama e della fine delle presidenze Bernanke/Yellen. Nel 2019 la crisi dei pronti contro termine ha segnato un punto di svolta e l’inizio di una guerra finanziaria tra Stati Uniti ed Europa: garanzie extra USA non erano più eligible nel mercato dei finanziamenti a termine. Lo shock che si è generato è stato tale da far ricordare il momento in cui il proverbiale “zio ricco” dice ai nipoti, avidi e succhia-soldi, di andare a cercarsi un lavoro, perché lui non pagherà più per i loro bagordi. Per quanto bistrattati, vituperati e declassati, i titoli del Tesoro statunitensi avrebbero rappresentato la chiave per accedere ai finanziamenti a termine negli USA, diradando la nebbia della confusione generata dalle società di rating. Ricordate, infatti, che esiste la realtà percepita (influenzabile attraverso narrative concorrenti) e la realtà reale, e quest’ultima ci stava suggerendo che garanzie di alta qualità erano solamente i bond statunitensi. Inutile ricordare che da lì s’è scatenato il pandemonio della “crisi sanitaria” e tutte le risposte distopiche che l’hanno caratterizzata. Un assaggio, potremmo chiamarlo, del mondo “nuovo” immaginato dai tecnocrati europei.
Davvero questo singolo atto ha scatenato il finimondo? No. Quello che si stava già subodorando era la volontà degli Stati Uniti di staccarsi dalla “soluzione” alla crisi del debito pubblico e dello stato sociale ideata dalla cricca di Davos. Breve digressione: quando pensate a questi personaggi dovete immaginare che esiste una cupola mafiosa al di sopra della testa della gente comune e, come ogni cupola mafiosa che si “rispetti”, essa è composta da varie cosche inclini a tradimenti, scissioni e guerre intestine. I confini nazionali, l’appartenenza a una nazione, non sono altro che strumenti di propaganda per giustificare agli occhi degli sprovveduti il continuo salasso, economico ed energetico, che permette a tale cupola di sopravvivere alla prova del tempo. In che modo? Per quanto possa essere fastidioso, antipatico e inconcludente, la maggior parte delle persone crede fermamente nel mantra/illusione “bisogna pagare le tasse”. Che sia per i servizi, le pensioni, o lo stato sociale, questa idea instillata sin da bambini accompagna la vita della maggior parte delle persone che cedono volontariamente i frutti del proprio lavoro e la propria energia a suddetta cupola mafiosa. Di conseguenza ogni cosca può usare come scudo umano la sua porzione di popolazione contro le altre cosche. In caso di guerra è un utile elemento di sopravvivenza e persuasione.
Attualmente i tecnocrati europei, come abbiamo visto nelle sezioni precedenti in questo saggio, stanno usando i contribuenti europei come mezzo per sopravvivere alla tempesta scatenata dall’emancipazione statunitense dal piano precedentemente concordato. Tale emancipazione è avvenuta per capriccio? Nient’affatto. Gli Stati Uniti si sono accorti che i tecnocrati europei avevano come sottoprodotto della loro campagna di risoluzione dei problemi una scalata ostile nei confronti dello zio Sam. C’è voluto del tempo, ma infine la confusione riguardo il dramma economico che hanno subito gli USA nel corso del tempo è diventato chiaro: gli eurodollari.
Cerchiamo di spiegare un attimo cosa sono, visto che è un tema alquanto ostico da comprendere per la maggior parte dei lettori. Nessuno sa di preciso quando sia venuto in essere questo sistema, c’è chi ipotizza negli anni ’50 del secolo scorso sulla scia del Piano Marshall per aiutare l’Europa a riprendersi attraverso prestiti agevolati in dollari. Tali prestiti ovviamente sono stati trasformati in depositi presso banche commerciali locali e quindi trasformati in valuta locale. C’è chi sostiene, invece, che sia venuto in essere sulla scia delle linee di politica di Johnson e la Great Society, fattori che alimentarono il deficit pubblico americano e la stampa monetaria. Sta di fatto che il sistema eurodollaro non rappresenta altro che un prestito in dollari depositato all’estero e di conseguenza al di fuori della giurisdizione della Federal Reserve. E come ogni prestito del mondo moderno, esso si basa sulla riserva frazionaria. Il tasso di riferimento è il LIBOR e i più grandi depositi di eurodollari si trovano a Londra. Potremmo dire, quindi, che la City di Londra ha governato la politica monetaria statunitense attraverso il sistema bancario ombra, manovrando le leve dei dollari offshore o “ombra”. L’ipertrofia di questo sistema ha iniziato a mostrare criticità alla fine degli anni ’60, quando i dollari “ombra” venivano incassati in oro e mandare all’aria il Gold Pool di Londra. All’epoca c’era ancora in piedi Bretton Woods quindi erano gli Stati Uniti il riferimento a livello di standard aureo del mondo e la corsa all’oro, che portò alla crisi con la Francia e la portaerei di De Gaulle fatta salpare per rimpatriare l’oro francese depositato presso Fort Knox, spinse Nixon a chiudere definitivamente la finestra dell’oro. C’era confusione riguardo le criticità emerse “dal nulla” e che travolsero gli Stati Uniti, ciononostante la scelta di abbandonare l’oro e abbracciare il petrolio, la cui offerta è molto più flessibile rispetto a quella del metallo giallo, servì a far guadagnare tempo agli Stati Uniti e replicare gli standard di Bretton Woods con l’oro nero.
Per quanto gli USA potessero guadagnare tempo, la scelta di un asset più flessibile nell’offerta non fece altro che acuire i problemi visto che da lì a poco avremmo assistito al più grande scoppio finanziarizzazione nella storia economica. Gli eurodollari non sarebbero stati usati solo come prestiti, ma anche come modo per finanziare la cartolarizzazione di titoli e alimentare il mercato dei derivati over the counter. Nel 1997 si stimava che quasi il 90% del totale dei prestiti internazionali passasse attraverso il mercato degli eurodollari. I depositi in eurodollari erano una fonte più economica di fondi perché erano liberi degli obblighi di riserva e delle valutazioni di assicurazione dei depositi. In sintesi, non c’era responsabilità davanti a qualsiasi agenzia governativa e la sua crescita era difficile da stimare. Infatti ancora oggi si parla di stime, con la BRI che parla di circa $100,000 miliardi. Se poi ci aggiungiamo anche la valanga di derivati OTC superiamo i $600.000 miliardi. Insomma un mercato andato fuori controllo e che avvantaggiava tutti tranne gli Stati Uniti. Per quanto i Titoli di stato statunitensi rappresentassero la garanzia ideale in tale schema, la spiralizzazione della finanziarizzazione ha incorporato anche altri tipi di collaterale in grado di funzionare lo stesso come base per accedere al mercato degli eurodollari. Questo per dire che in realtà il denaro non era più la valuta fiat, così come non lo è più neanche adesso, ma le garanzie collaterali e per la precisione i Titoli di stato statunitensi tra quelle migliori. È per questo motivo che il dollaro è rimasto, di facciata, la valuta di riserva mondiale: faceva comodo a tutti coloro che hanno usato per i propri scopi l’eurodollaro, dato che in caso di criticità chi subiva i peggiori danni erano gli Stati Uniti, anche se loro non avevano crisi sul territorio. Infatti possiamo affermare che la maggior parte delle crisi del secolo scorso erano sostanzialmente tutte importate dallo zio Sam.
Ecco perché, ad esempio, la Cina ne ha fatto incetta nel corso del tempo: se l’Europa godeva della propria affidabilità a livello internazionale, un player come la Cina avrebbe dovuto sgomitare (data la sua storia) per essere accettata e quindi porre garanzie di qualità.
Il dollaro digitale avrebbe definitivamente escluso qualsiasi tentativo futuro di bloccare questa fonte di finanziamenti praticamente infinita, non più legata alle decisioni della FED di chiudere un occhio di fronte a tale caos ma all’impossibilità di agire in qualsiasi modo per contrarlo. Un dollaro digitale avrebbe soprattutto sottratto potere al sistema bancario commerciale statunitense, la cui radicalizzazione territoriale rappresenta ancora un punto di forza dello stesso. Ed è stata tale radicalizzazione che ha impedito il disastro. Infatti l’esclusione delle garanzie collaterali extra USA nel mercato dei pronti contro termine statunitensi è arrivata proprio dalle grandi banche americane, o almeno una parte di loro, che ha iniziato il ciclo di smantellamento controllato del mercato degli eurodollari. Ricordiamo che i vari giri di QE successivi al primo erano tutti direzionati a salvare entità al di fuori degli USA, così come la Grande Crisi Finanziaria ha colto di sorpresa tutti. Infatti l’estate prima che scoppiasse il caos per la Lehman, il suo Ad, Dick Fuld, venne premiato come miglior banchiere del momento. Poi l’ottobre successivo il pandemonio. L’interconnessione del sistema finanziario è talmente intricata e aggrovigliata anche a causa del sistema bancario ombra che la fragilità dello stesso non ha fatto altro che incrementare con l’uso sconsiderato della leva tramite il mercato degli eurodollari. Ma chi avrebbe pagato per gli errori altrui? Gli Stati Uniti.
Il consenso delle grandi banche americane ha quindi deciso di darci un tagli avendo, infine, individuato il nodo gordiano di tutta questa storia. Powell è stato insediato nella sua posizione proprio per portare a termine tale operazione e non sorprende se, dovendo affrontare una rielezione nel 2021, abbia dovuto assecondare i mercati internazionali nel 2020 con l’aumento gigantesco del bilancio della FED. Non si era mai visto che la rielezione di un presidente della FED impiegasse 6 mesi e infatti c’è stata bagarre al Congresso su questo punto. Se fosse succeduta a lui la Brainard a quest’ora staremmo parlando di un storia diversa.
Il primo passo che ha fatto per guadagnare tempo è stato quello di rialzare i tassi nel mercato americano dei pronti termine fornendo un rendimento positivo di 5 punti base, placando la fame per rendimenti decenti alimentata da anni di ZIRP della coordinate central banking policy. Come già detto, chi poteva accedere a questo mercato erano principalmente istituti statunitensi che ponevano come garanzia titoli di stato americani; tutti gli altri sono stati esclusi. Il secondo passo è stato quello di sganciarsi dal LIBOR introducendo un nuovo tasso di riferimento per l’indicizzazione dei debiti statunitensi. Queste due mosse sono servite a schermare gli istituti finanziari americani da contagi sistemici esterni e ad aumentare il costo dei finanziamenti su tutta la linea. Il rialzo dei tassi da parte della FED nel 2022, arrivato guarda caso con l’inaugurazione del SOFR e l’abbandono del LIBOR, ha detto al mondo che la banca centrale americana si sarebbe ripresa il controllo della propria politica monetaria non appaltandola più ad agenti esterni che potevano fare il bello e il cattivo tempo con la credibilità degli USA. Se prima l’atteggiamento lassista da parte delle varie banche centrali incentivava prestiti/finanziamenti sconsiderati e l’uso della leva finanziaria senza alcun controllo nei mercati finanziari, un rialzo dei tassi e quindi un atteggiamento restrittivo nei confronti della politica monetaria rende più difficoltoso perseguire suddette azioni sconsiderate. Infatti alla FED importa poco contrarre i bilanci interni, quanto invece contrarre i mercati offshore del dollaro.
Da qui si capisce perché gli inglesi hanno lasciato che gli USA avessero la meglio a Bretton Woods, facendo prendere a pesci in faccia Keynes, e perché nel 1925 la FED assecondò la BoE nell’inflazionare il dollaro e quindi invertire il deflusso d’oro dalla Perfida Albione. Non c’era stata alcuna indipendenza dell’America dall’Inghilterra, solo a livello ufficioso. Con il rialzo dei tassi del 2022 possiamo dire che l’indipendenza degli USA dall’Inghilterra è infine completa.
Disperazione e panico si sono impossessati di coloro che fino al 2022 hanno approfittato degli eurodollari per vivere di pasti gratis, mentre adesso devono mettere in ordine la “propria casa” se vogliono sopravvivere alla tempesta finanziaria scatenata dalla volontà degli USA di riprendersi in mano il proprio destino monetario. Adesso il dollaro come riserva mondiale è davvero un vantaggio per gli USA e l’euro è scivolato addirittura al di sotto dello yuan come valuta di saldo commerciale internazionale. I guai socio-economici dell’Europa sono sostanzialmente auto-inflitti, dettati dalla sconsideratezza con cui ha sfruttato il mercato degli eurodollari. Le provocazioni deliberate degli ultimi anni alla Russia e l’essere guerrafondaia non servivano altro che a impantanare gli USA nelle paludi della guerra e spingerli a spendere più di prima. Dove credete che vengano riciclati i dollari inviati in Ucraina? Ecco perché il mantra del giorno è che senza gli Stati Uniti l’Ucraina è persa. In realtà, senza i dollari degli Stati Uniti l’Europa è persa. Paradossalmente per quanto costino di meno i titoli di stato statunitensi, essi sono più preziosi che mai al giorno d’oggi perché gli unici in grado di far accedere al mercato dei finanziamenti americano. Ecco perché la Yellen sta spingendo sul pedale fiscale e perché la FED sta anche cercando di restringere il suo spazio di manovra. Non solo, ma in questi periodi di risk-on su tutti i mercati, gli unici che ancora sono accettati come collaterale per avere accesso ai mercati ombra rimangono i titoli sovrani statunitensi. Questa percezione di sicurezza sta facendo contrarre non solo l’offerta di dollari “ombra”, ma anche di titoli tossici ombra che sono nati sulla scia dell’ipertrofia di tale mercato. Ciò per dire che i titoli europei non li vuole nessuno.
Ed ecco perché la line d’azione della cricca di Davos prevede di andare in default per il debito esistente, ripulire i bilanci ed emettere i cosiddetti perpetual bond come immaginati da Soros. Cosa sono? Niente di nuovo, visto che ricordano molto i Consol inglesi. Detto in poche parole, cancellazione del capitale dovuto per le obbligazioni attuali e concessione di una annualità (circa 2%) in interessi da pagare agli investitori. Per avviare questa transizione l’UE avrà bisogno di integrazione fiscale e di una tassazione diretta sui contribuenti degli stati membri; le prove di ciò vengono portate avanti con i recenti bond di guerra. Di certo sarà un grave danno di reputazione, ma quest’ultima può sempre essere ricostruita, mentre invece i bilanci devono essere ripagati e uscire da questa crisi con bilanci puliti è vitale per la sostenibilità di lungo periodo dell’UE. Da qui la volontà di trasferire poteri di spesa e tassazione a un governo centrale europeo e qualunque ostacolo sulla strada deve essere eliminato (es. Orban).
Durante il periodo della ZIRP mondiale e NIRP europea, i titoli trattati in Europa avevano raggiunto interessi negativi su quasi tutto lo spettro delle scadenze obbligazionarie sovrane. Addirittura il decennale italiano! Col rialzo dei tassi quei titoli hanno sommerso i bilanci in cui sono tenuti (prevalentemente banche commerciali europee) e succhiano fondi da quegli stati che li devono emettere. Non solo, anche il debito privato rappresenta un punto critico perché in Europa non esiste un commercial market come invece c’è negli Stati Uniti. Tutti gli snodi finanziari in UE passano attraverso il sistema bancario commerciale e questo lo rende un singolo punto di fallimento che non solo sta erodendo la capacità di finanziamento delle imprese, ma anche la solvibilità di quelle banche che sono arrivate in passato a concedere addirittura prestiti a tassi reali negativi. In breve, il debito pubblico/privato, per quanto possa essere più grande negli USA rispetto all’UE, è più gestibile nei primi piuttosto che nel secondo. Quindi abbiamo di fronte due realtà: gli Stati Uniti che stanno rimpatriando la politica monetaria, che sono indipendenti dal punto di vista energetico, che vedono capitale finanziario/sociale/economico che vola sui loro lidi; l’Europa che sta finendo i soldi degli altri, che è incapace di risolvere i propri problemi economici/finanziari senza il vantaggio di un mercato ombra che scarichi le responsabilità su altri, che ha una sistema bancario commerciale la cui unica salvezza è quello d’essere inglobato in quello centrale.
La soluzione statunitense, quindi, è stata quella di regionalizzare i guai economici e cercare di gestirli attraverso un soft landing basato sulla resilienza dei bilanci interni alla nazione. Per quanto si possa sperare che la (cosca a supporto della) FED possa avere la meglio sugli altri, ciò non toglie che Main Street rimane pur sempre la proverbiale “carne da cannone” usata per sostenere questa guerra. Il dolore economico sopportato, è questa la scommessa, sarà gestibile dalla popolazione americana, a differenza di quella europea che finirà tutte le frecce al suo arco ben prima. Di conseguenza l’occhio di bue sarà costantemente fisso sul contribuente europeo i guai dei relativi governi, lasciando più respire alla controparte statunitense. Senza dimenticare, poi, che a differenza del piano della cricca di Davos per l’UE, quello americano presuppone un minimo di credibilità aggiuntiva: cedole dei titoli sovrani parzialmente redimibili in oro.
It won’t surprise me if she will follow Powell as next FED Chairmen. Expect this as a bigger plan to repay US government debt (or at least make it more manageable), with government bonds partially redeemable in gold. https://t.co/FRbnM4jSk0
— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) April 2, 2024
Detto in parole povere, o l’Eurosistema viene lasciato disgregarsi oppure dovrà consolidarsi in un apparato di maggiore comando/controllo per sopravvivere; questo significa anche che l’UE sta cercando qualsiasi scusa per scatenare una crisi mondiale, facendo leva sulla guerra in Ucraina, e realizzare il proprio piano. Ne va della propria esistenza. Infatti la BCE è in una posizione in cui non può difendere sia l’euro che gli spread creditizi, soprattutto con l’energia che spinge verso movimenti di prezzo più alti. Se il petrolio dovesse raggiungere i $100 al barile, ad esempio, l’euro dovrebbe arrivare a 1.15 sul dollaro per non essere travolta, in particolar modo in questo momento storico in cui, per giustificare la moria di aziende, impone criteri ESG fuori di testa. Ecco perché la BCE ha disperatamente bisogno di tagliare i tassi; ecco perché Arabia Saudita e Russia sanno cosa sta succedendo e stanno approfittando di questa debolezza.
CONCLUSIONE
Le soluzioni “collettiviste” non funzionano e il motivo per cui non funzionano non è perché implicano un’azione collettiva. In fin dei conti lavoriamo tutti “collettivamente” – insieme, in una forma o nell’altra. Una società è un’impresa collettiva, così come una famiglia, una tribù o una città. Tutti coinvolgono gruppi di persone che lavorano più o meno insieme, seguendo determinate regole, con più o meno obiettivi comuni e guidati dal libero mercato che ci dice quanto valgono veramente le cose. E anche il prodotto più semplice, come una comune matita, impiega fino a un milione di persone diverse – da chi pianta l’albero a chi mette la vernice – con centinaia di competenze, macchinari, linguaggi e credenze diverse. L’essere umano è un animale sociale. Non può esistere a meno che due della sua specie non si uniscano e non può prosperare a meno che non lavori con gli altri per cacciare, raccogliere, costruire., scambiare i frutti di uno con i servizi di un altro. Il capitalismo è un’impresa collettiva: richiede scambi e interscambi pressoché costanti tra persone che non sono mai del tutto indipendenti le une dalle altre.
La differenza tra il capitalismo e il collettivismo è che il primo è volontario, mentre il secondo no.
L’élite collettivista – di cui molti pezzi grossi si trovano a Davos – non produce matite e, spesso, proprio niente. Non abbiamo scelta, siamo costretti a seguire le loro regole e linee di politica, che lo vogliamo o no. Tali linee di politica – che hanno sempre favorito gli addetti ai lavori a scapito di tutti gli altri – hanno rovinato l’Argentina per un periodo di 80 anni e ucciso circa 100 milioni di persone, in tutto il mondo, nel XX secolo. Anche il capitalismo ha le sue élite, i suoi capitani d’industria, ma sono élite solo finché forniscono beni e servizi a tutti gli altri. Quando falliscono vengono rapidamente messi da parte. Al contrario è quasi impossibile liberarsi delle élite collettiviste, una volta che hanno ottenuto il potere. Il vantaggio reciproco diventa il vantaggio per alcuni e non per altri (somma zero) e la gente comune diventa sempre più povera.
È importante ricordare che questa terribile situazione arriva sulla scia di stimoli monetari e fiscali senza precedenti imposti con la foglia di fico “ridistribuzione e aiuto alla classe media”, quando la realtà mostra che la repressione finanziaria, l’ipertrofia dello stato e il debito l’hanno devastata. Linee di politica che non hanno mai funzionato vengono perseverate e lo stato incolpa chiunque tranne se stesso per questi risultati nefasti. Per quanto si vogliano sbandierare numeri e previsioni ottimistiche del PIL, questa è l’opposto di un’economia forte o in ripresa. Deficit e debito si sono tradotti in più tasse, meno opportunità, meno risparmi, salari reali più deboli e una crescita assente.
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