La schiavitù del debito non porta ad alcuna prosperità

 

 

di David Stockman

Di recente il debito federale è aumentato di $1000 miliardi ogni 100 giorni; sono $10 miliardi al giorno, $416 milioni all’ora.

Infatti il debito dello Zio Sam è aumentato di $470 miliardi nei primi due mesi di quest’anno, raggiungendo i $34.500 miliardi e si appresta a superare i $35.000 miliardi in poco più di un mese, i $37.000 miliardi ben prima della fine dell’anno e i $40.000 miliardi nel 2025. Si tratta di circa due anni in anticipo rispetto alle attuali previsioni del CBO (Congressional Budget Office).

Secondo il percorso attuale, inoltre, il debito pubblico raggiungerà i $60.000 miliardi entro la fine del periodo di bilancio decennale. Ma anche questo dipende dall’ultima versione dello scenario roseo del CBO, che non prevede alcuna recessione, un’inflazione al 2% e tassi d’interesse reali di appena l’1%. E questo per non parlare delle migliaia di miliardi in falsi tagli alla spesa e di aumenti fiscali a fine anno che sono incorporati nella linea di base del CBO, ma che il Congresso non permetterà mai che si materializzino.

Quando si arriva alla proiezione che il debito nel 2034 ammonterà a soli $60.000 miliardi, è solamente un pio desiderio. Il fatto che sarà probabilmente molto più elevato significa anche che il percorso di politica fiscale prevalente dell’Unipartito a Washington porterà il debito pubblico a $100.000 miliardi nei primi anni del 2040. Ciò significa, a sua volta, che la spesa annuale per interessi sarà quindi maggiore dell’intero bilancio federale del 2019.

Inutile dire che Biden non ha detto niente riguardo a questa calamità imminente. Sleepy Joe ha avuto anche l’audacia di vantarsi di aver ridotto il deficit federale di oltre la metà.

D’altra parte il punto di partenza di questa ridicola affermazione è il disastro alimentato dai lockdown e dagli stimoli fiscali, quando il deficit aveva raggiunto un sorprendente 16% del PIL. Tale cifra rappresentava un peso maggiore per l’economia statunitense rispetto al picco di deficit della Seconda Guerra Mondiale, quando l’America stava effettivamente combattendo due veri nemici in contrapposizione alla super-influenza pubblicizzata dal dottor Fauci.

Sin dalla decisione di Nixon a Camp David, quando il legame del dollaro americano con l’oro fu cancellato, il debito pubblico e la sua quota del PIL hanno avuto una tendenza costante verso il cielo.  Ora, però, sta letteralmente diventando parabolica.

Nel 1970 la cifra ammontava a $378 miliardi e rappresentava il 34,9% del PIL. Quest’ultima percentuale aveva raggiunto il picco di circa il 120% alla fine della Seconda guerra mondiale, ma nel quarto di secolo successivo aveva continuato a scendere costantemente.

Da quando l’ancoraggio del dollaro all’oro è stato reciso, la corsa al debito è diventata inarrestabile. La massiccia e persistente monetizzazione del debito pubblico da parte della FED ha causato una profonda repressione e falsificazione dei tassi d’interesse, trasformando così le battaglie partigiane sul debito pubblico che avevano contenuto i deficit fiscali prima del 1971 in un compiacente consenso unipartitico secondo cui i numeri del debito pubblico non contano.

Da allora il debito pubblico (linea viola) è aumentato di 90 volte fino al livello attuale di $34.500 miliardi, un aumento di gran lunga superiore alle 25 volte del PIL negli ultimi 53 anni. L’onere sul PIL (linea nera), quindi, è tornato ai livelli massimi visti nella Seconda Guerra Mondiale.

Debito pubblico in % del PIL, dal 1970 al 2023

Ma la vecchia idea che circola a Washington, secondo cui abbiamo vissuto per raccontarlo una volta in modo da poterlo fare di nuovo, è una totale sciocchezza. La grande differenza è che nel 1945 non c’erano praticamente beni di consumo o servizi da acquistare, a causa della totale mobilitazione dell’economia americana per la guerra. Infatti il razionamento in tempo di guerra e la conversione dell’industria alla produzione militare determinarono un’impennata del tasso di risparmio delle famiglie che raggiunse il 25% del reddito disponibile durante gli anni di punta della guerra.

Quello che è successo, quindi, è che il debito dei consumatori è stato ripagato, diminuendo di due terzi nel corso della guerra; anche il debito delle imprese è stato drasticamente ridotto. Di conseguenza l’America si è sostanzialmente salvata grazie all’enorme spesa pubblica e agli aumenti d’indebitamento generati dallo sforzo bellico.

In totale, durante i cinque bilanci di guerra dal 1942 al 1946, il governo federale spese $370 miliardi principalmente in spese belliche, di cui quasi la metà, ovvero $180 miliardi, furono finanziati da un enorme aumento del risparmio forzato (noto anche come tassazione federale). Nel corso della guerra il prelievo fiscale federale sul reddito nazionale venne triplicato, passando dall’8% del PIL al 24%.

Oltre a ciò, altri $110 miliardi vennero finanziati dall’enorme aumento dei risparmi privati ​​illustrato di seguito e che vennero incanalati in vendite di titoli di guerra al pubblico. Di conseguenza solo $80 miliardi, ovvero il 21% degli ingenti budget di guerra, furono effettivamente monetizzati dalla FED.

Risparmio delle famiglie in percentuale del reddito disponibile, dal 1939 al 1945

Come risultato di questi fattori, l’aumento di $180 miliardi del debito di guerra tra il 1939 e il 1946 fu accompagnato da un virtuale miracolo finanziario: il rapporto tra debito pubblico e privato e PIL era pari al 210% nel 1938, ma alla fine della guerra si era ridotto considerevolmente fino a raggiungere appena il 190% del PIL.

Proprio così. La più grande ondata d’indebitamento statale della storia fino ad allora era stata realizzata con una effettiva riduzione del peso del debito sull’economia statunitense!

Ciò che è accaduto, ovviamente, è stato che i controlli economici in tempo di guerra causarono il ripagamento di enormi quantità di debito privato, lasciando un immenso margine per l’assorbimento del debito pubblico da parte dei risparmiatori privati.

Nello specifico il debito delle famiglie si contrasse dal 60% del PIL nel 1938 ad appena il 20% nel 1945, mentre il debito delle imprese scese da circa il 90% del PIL al 40%. Nel complesso, quindi, il debito privato lasciò uno spazio enorme nel bilancio nazionale, scendendo dal 150% del PIL nel 1938 a solo il 60% alla fine della guerra.

E così fu finanziato il debito di guerra, senza una massiccia monetizzazione del debito pubblico. Fu un’impresa unica nel suo genere, del tutto irrilevante nel contesto finanziario odierno.

Crescita del debito federale durante la Seconda guerra mondiale

Rispetto al risparmio nella Seconda Guerra Mondiale, l’attuale economia americana è in realtà costruita sul contrario: un accumulo incessante e crescente di debito in tutti i settori economici. Tra le famiglie, ad esempio, il tasso di risparmio è ora al livello più basso del dopoguerra, pari ad appena il 2,9% del PIL.

A parte l’aberrazione del periodo 2020-2021, quando le famiglie erano inondate di denaro pubblico ma avevano luoghi limitati per spenderlo, l’attuale tasso di risparmio è appena un terzo del livello prevalente prima del 1980.

Tasso di risparmio netto delle famiglie, dal 1970 al 2023

Inutile dire che quando i risparmi privati ​​diminuiscono e i deficit pubblici sono continui e in aumento, non si può sfuggire alla devastazione economica. In altre parole, il tasso di risparmio nazionale netto (risparmio privato meno indebitamento pubblico) è stato negativo negli ultimi tre trimestri e probabilmente peggiorerà molto da qui in poi, poiché i deficit pubblici annuali torneranno ancora una volta verso la soglia dei $3-4.000 miliardi.

In altre parole, a differenza della Seconda Guerra Mondiale, nel bilancio nazionale non vi è alcun margine disponibile per far fronte a ulteriori aumenti cronici e su larga scala del debito pubblico. E a differenza dei primi anni del dopoguerra, quando il tasso di risparmio nazionale netto era del 10-12%, e quindi consentiva robusti aumenti degli investimenti privati ​​e della crescita del PIL reale, non c’è alcuna possibilità di “risolvere” gli attuali deficit e debiti alle stelle.

Invece ciò che abbiamo equivale a un circolo vizioso finanziario caratterizzato da una crescita economica sempre più bassa e da debito pubblico crescente da cui non c’è via di scampo. Ciononostante questa è la politica fiscale implicita dell’Unipartito a Washington.

Tasso di risparmio nazionale netto, dal 1965 al 2023

Naturalmente i politici presuppongono che esista una via di fuga attraverso la ripresa della monetizzazione del debito pubblico da parte della FED. Come mostra il grafico qui sotto, questo è esattamente ciò che ha ritardato il giorno della resa dei conti negli ultimi dieci anni, quando il bilancio della FED è passato dallo storico 5% del PIL a oltre il 25%.

Ahimè, i sostenitori del denaro sano/onesto avevano avvertito già da tempo che un simile esperimento sarebbe sicuramente fallito. Sia l’inflazione dei prezzi degli asset a Wall Street che quella dei beni/servizi a Main Street ce l’hanno ricordato.

In breve, non c’è via d’uscita dall’attuale calamità fiscale a meno che l’Impero non venga riportato a casa e il dominio del capitalismo clientelare non venga definitivamente messo a tacere.

Debito pubblico detenuto dalla Federal Reserve in percentuale del PIL, dal 1955 al 2023

La recente notizia che i prezzi delle case negli Stati Uniti sono aumentati del 6,1% su base annua è solo l’ennesimo promemoria del motivo per cui le politiche pro-inflazione della FED sono risultate insidiose: danno vita ad una battaglia continua tra i prezzi degli asset e i salari, e i primi vincono a mani basse.

Indice del prezzo medio delle case rispetto al salario orario medio, dal 1970 al 2023

Abbiamo indicizzato il prezzo medio di vendita delle case in America e il salario orario medio ai loro valori del primo trimestre del 1970, la vigilia di tutti i conseguenti eccessi e metastasi monetarie da allora in poi.

I dati non lasciano spazio a dubbi: i prezzi delle case oggi ammontano a 18,2 volte il loro valore nel primo trimestre del 1970, mentre i salari orari medi sono solo a 8,7 volte il loro valore di 54 anni fa.

Espresso in termini più pratici, il prezzo medio di vendita di quelle case da $23.900 nel primo trimestre del 1970 rappresentava 7.113 ore di lavoro al salario orario medio. Supponendo un anno lavorativo standard di 2.000 ore, i lavoratori salariati dovevano lavorare 3,6 anni per pagare una casa a prezzo medio.

Con il passare del tempo le politiche pro-inflazione della FED hanno fatto molto per abbassare i prezzi degli asset piuttosto che i salari. Pertanto, al momento dell’arrivo di Greenspan alla FED, dopo il secondo trimestre del 1987, erano necessarie 11.350 ore per acquistare una casa media, cifra salita a 12.138 ore nel primo trimestre del 2012, quando la FED rese ufficiale il suo obiettivo d’inflazione al 2,00%. E dopo ancora un altro decennio di politica monetaria inflazionistica, ora si attesta a poco meno a 15.000 ore.

Il prezzo medio di oggi di una casa, pari a $435.400, richiede 7,5 anni di lavoro standard al salario orario medio, il che significa che i lavoratori ora faticano ben più del doppio rispetto al 1970 per permettersi il sogno di possedere una casa.

Perché mai i nostri stimati banchieri centrali vorrebbero impoverire i lavoratori americani raddoppiando le ore lavorative necessarie per acquistare una casa a prezzo medio? E sì, l’assalto alla classe media è un fenomeno monetario. Non è stato causato dalla monopolizzazione del prezzo delle nuove case da parte dei costruttori, né dalla carenza di terra, legname, vernici o manodopera edilizia durante l’ultimo mezzo secolo.

Al contrario, quando la FED inflaziona il sistema monetario, gli effetti negativi che ne derivano si ripercuotono in modo disomogeneo sui mercati finanziari e sull’economia reale. I prezzi, compresi quelli del lavoro e degli asset, non si muovono di pari passo, perché la concorrenza estera mantiene bassi alcuni prezzi e salari, mentre il calo dei tassi d’interesse reali e i multipli di valutazione più elevati causano di per sé un aumento sproporzionato dei prezzi degli asset finanziari.

Pertanto il tasso di riferimento per tutti i prezzi di quest’ultimi – i titoli del Tesoro statunitense (UST) a 10 anni – è sceso drasticamente in termini reali durante gli ultimi quattro decenni. I tassi reali superiori al 5% durante gli anni ’80 scesero al range del 2-5% durante l’era Greenspan, per poi precipitare ulteriormente, fino allo zero o al di sotto, sulla scia della stampa monetaria dei suoi successori.

Rendimento aggiustato all’inflazione del decennale statunitense, dal 1981 al 2023

Lo scopo dichiarato della tendenza al denaro facile sopra descritta era quello di stimolare maggiori investimenti nel settore immobiliare in particolare, ma ciò non è avvenuto. Il rapporto investimenti immobiliari residenziali/PIL è sceso dalla zona storica del 5-6% prima del 1965 a una media del 4,5% durante il periodo del picco della bolla immobiliare nel 2005. Dopo il crollo durante la Grande Crisi Finanziaria si è attestato ad appena il 3% del PIL prima di rimbalzare irregolarmente al 3,9% nel 2023.

Comunque la si consideri, l’aggressiva espansione monetaria successiva al 1987 non ha stimolato investimenti incrementali nel settore immobiliare su base sostenibile. Invece ha portato a una speculazione alimentata dal debito sul patrimonio immobiliare esistente, facendo salire i prezzi molto più velocemente e più in alto della crescita del reddito e dei salari delle famiglie.

Investimenti in edilizia residenziale in % del PIL, dal 1950 al 2023

Una misura alternativa dell’impatto del denaro facile sugli investimenti immobiliari può essere vista nell’indice del completamento delle abitazioni rispetto alla popolazione statunitense. Dall’inizio degli anni ’70 tale rapporto ha avuto una tendenza costantemente al ribasso e ora si attesta solo al 45% del suo valore di 50 anni fa.

Inutile dire che se il credito ipotecario a basso costo fosse l’elisir che si dice che sia, suddetta tendenza avrebbe dovuto essere verso l’alto. In realtà si tratta di un ripudio dell’essenza stessa della tesi a favore di bassi tassi d’interesse.

Il sistema bancario centrale keynesiano ha sostanzialmente trasformato la classe media americana in schiavi del debito. Per sostenere il proprio tenore di vita a fronte dell’incessante e persistente deprezzamento del potere d’acquisto del proprio denaro e dei propri risparmi, la classe media ha accesso sempre più prestiti in risposta alla falsificazione dei tassi d’interesse da parte della FED.

Indice del completamento delle unità abitative private per la popolazione degli Stati Uniti, dal 1972 al 2023

Nel 1970 il debito ipotecario totale delle famiglie (linea viola) ammontava a $278 miliardi, che rappresentavano solo il 51% del reddito salariale.

Nel corso dei successivi 53 anni il debito ipotecario residenziale ha raggiunto le stelle, a un totale sbalorditivo di $13.000 miliardi nel terzo trimestre del 2023. Sebbene anche i redditi da lavoro salariato siano aumentati considerevolmente durante tale intervallo di tempo, l’aumento del reddito non ha nemmeno lontanamente tenuto il passo con l’aumento del debito.

Sebbene il debito ipotecario sia aumentato di 47 volte durante il periodo sopraccitato – da $550 miliardi nel 1970 agli $11.950 miliardi attuali – i salari sono aumentati solo di 22 volte. Di conseguenza il rapporto tra debito ipotecario delle famiglie e reddito da salario è ora pari al 108%, ben più del doppio del 51% dell’inizio del 1970.

Il problema con i prestiti usati per raggiungere la prosperità è che alla fine diventa una strada senza uscita. In primo luogo entra in scena la Legge dei rendimenti decrescenti derivanti dall’indebitamento e alla fine gli oneri del servizio del debito diventano decisamente debilitanti.

Fattori, i suddetti, sempre più caratterizzanti la storia dei bilanci delle famiglie in America, dove l’esplosione del debito ipotecario sopra descritta è stata aggravata dall’impennata del debito per auto, carte di credito, studenti e altri tipi di consumi. Nel complesso il debito totale delle famiglie ammonta ora a poco meno di $20.000 miliardi.

Debito delle famiglie e reddito da salari e stipendi, dal 1970 al 2022

Inutile dire che ciò rappresenta uno sbalorditivo multiplo di 42 volte rispetto ai $467 miliardi di debito totale delle famiglie (area viola) nel 1970. Allora i salari e gli stipendi delle famiglie (area nera) ammontavano a $560 miliardi, il che significa che il debito di tutti i tipi ammontava a solo l’83% dei guadagni.

Quando Greenspan subentrò alla FED nel 1987, la percentuale era già salita al 120% e da allora non si è più guardata indietro. Attualmente (2022) il debito delle famiglie, pari a $19.400 miliardi, rappresenta  il 171% degli $11.300 miliardi in salari e stipendi registrati.

Il problema con questo aumento nel rapporto di leva delle famiglie (debito rispetto al reddito) è che è stato imposto in modo disonesto. I capi della FED hanno incoraggiato la popolazione a credere che i tassi d’interesse sub-mercato e falsificati degli ultimi decenni fossero sostenibili indefinitamente e che l’inarrestabile aumento del rapporto di leva finanziaria delle famiglie non fosse nulla di cui preoccuparsi.

Ma, ahimè, invece lo è. Adesso l’aumento di 300 punti base (3,00%) dei tassi d’interesse medi già avvenuto da marzo 2022 equivale a $600 miliardi di maggiori spese per interessi delle famiglie, che a loro volta equivalgono a circa il 60% dell’attuale crescita annuale dei salari e degli stipendi. E questo presuppone l’assenza di una recessione. Nel caso di un’inevitabile contrazione il dolore economico sarebbe davvero schiacciante.

Oltre a un calo di $400 miliardi nei salari e negli stipendi in condizioni di recessione, si aggiungerebbero altri $600 miliardi in pagamenti di interessi. Nel complesso le famiglie si stanno dirigendo verso uno shock annuo da $1.000 miliardi o più per il loro tenore di vita.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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