Il modello di business unico del settore bancario e perché il capitale non è un “fondo per le emergenze”

 

 

di Jane L. Johnson

Le banche sono attività altamente regolamentate, come ci si aspetterebbe da entità a cui affidiamo il nostro denaro e dalle quali un giorno potremmo accendere in prestito per acquistare una casa o avviare un’impresa.

I banchieri interagiscono quotidianamente con le autorità di regolamentazione e quegli investitori che desiderano costituire una banca devono prima ottenere impegni di capitale dai futuri azionisti e richiedere uno statuto bancario alle autorità di regolamentazione.

Una volta in attività, una banca è supervisionata da uno o più dei seguenti regolatori statali e federali: una commissione bancaria statale se è una banca riconosciuta dallo stato, l’Ufficio del controllore della valuta se è riconosciuta a livello federale, la Federal Reserve se è membro di tale sistema e/o una holding bancaria, la National Credit Union Administration (NCUA) se è una cooperativa di credito, la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), il Consumer Financial Protection Bureau (CFPB), la Securities and Exchange Commission (SEC) e il Federal Financial Institutions Examination Council.

Sebbene questa struttura normativa possa imporre un intervento eccessivo nell’economia privata e creare indubbiamente una certa ridondanza, la natura unica del sistema bancario suggerisce che la regolamentazione bancaria, almeno in un certo senso, è giustificata, dato che le banche operano a riserva frazionaria.

La caratteristica peculiare del modello di business bancario

L’attività bancaria è unica nella sua dipendenza dalla “leva finanziaria”, cioè l’utilizzo del denaro di qualcun altro per realizzare un profitto per sé stessi. Il settore bancario è unico anche nel suo ruolo di intermediario tra i depositanti e i mutuatari, dato che utilizza i fondi dei primi per concedere prestiti ai secondi. L’utilizzo dei fondi dei depositanti, inoltre, è spesso a breve termine poiché i proprietari dei conti bancari possono ritirare i propri fondi su richiesta, mentre i prestiti ai mutuatari sono tipicamente a lungo termine, come i mutui trentennali. Tutte queste caratteristiche uniche del settore bancario possono renderla un’attività intrinsecamente rischiosa, come ha dimostrato la storia.

Le banche sono redditizie quando pagano ai depositanti un tasso d’interesse e poi ne addebitano ai mutuatari uno più elevato. Come dice un proverbio, i banchieri vivono secondo la Regola del 5-4-3: addebitare il 5% ai mutuatari, pagare ai depositanti il 4% ed essere sul campo da golf entro le tre.

Molte altre attività, alcune ad alta intensità di capitale, non utilizzano la leva finanziaria. Ad esempio, un produttore che gestisce una catena di montaggio con macchinari pesanti non è un intermediario come lo è una banca, e non si verificano prestiti a leva come nel settore bancario. La maggior parte delle imprese di servizi operano in modo simile, anche se senza proprietà immobiliari ad alta intensità di capitale. Queste attività senza leva non richiedono la supervisione normativa sul capitale tipica delle banche.

Requisiti patrimoniali giustificati per quelle attività che sfruttano la leva finanziaria

È nella natura delle banche, in quanto imprese a leva, essere sottocapitalizzate perché non esserlo le vincolerebbe ad avere fondi per concedere prestiti o coprire le spese operative. Il capitale bancario dovrebbe essere considerato un cuscinetto in grado di assorbire le perdite tra uno o più asset bancari, come prestiti in sofferenza o cali del valore di mercato nel portafoglio titoli.

Il conto capitale di una banca è costituito da fondi investiti dagli azionisti originali, aumentati dagli utili non distribuiti nel corso della vita della banca. Il capitale viene normalmente investito in titoli del Tesoro statunitense e non è disponibile per concedere prestiti o coprire le spese operative. Non costituisce né un attivo né una passività nel bilancio; si tratta piuttosto di una voce sequestrata separatamente sul lato destro (passivo) del bilancio. Il capitale può essere calcolato come la differenza tra gli attivi e le passività bancarie. Con una corretta gestione bancaria, questa differenza è positiva; se negativa, la banca sarebbe considerata insolvente.

I requisiti patrimoniali sono espressi come rapporti capitale/asset e che i regolatori bancari tengono d’occhio. I rapporti variano tipicamente dal 6 al 10%, a seconda della rischiosità imputata agli asset di una banca. Qualsiasi deficit nel rapporto capitale/patrimonio di una banca è motivo di seria preoccupazione e dev’essere corretto il prima possibile, magari anche con un’offerta di ulteriori azioni bancarie agli azionisti esistenti o nuovi.

Una nota sulle riserve bancarie e sui contanti nei caveau

“Capitale” e “riserve” sono spesso facilmente confusi, quindi è importante utilizzare i termini correttamente. Molti giornalisti finanziari, che dovrebbero saperle le cose, a volte scambiano “capitale” e “riserve” riferendosi anche in modo approssimativo a uno o entrambi come “liquidità”. Di recente uno scrittore finanziario del New York Times ha ammesso di aver travisato per molti anni il capitale bancario, paragonandolo a un “fondo di emergenza”.

Le “riserve” bancarie, un termine dal significato molto specifico, sono calcolate come percentuale (normalmente il 10% o meno) dei depositi. Se una banca detiene $1 milione in depositi, ad esempio, è tenuta a trattenere $100.000 (10%) in riserve, fondi sotto forma di contanti nel caveau e/o riserve nel proprio conto presso la banca distrettuale locale Federal Reserve. Entrambe le forme sono considerate attivi per la banca. I restanti $900.000 sono disponibili per creare nuovi prestiti.

Una banca che non è in grado di soddisfare i propri obblighi di riserva può sempre prendere in prestito le “riserve di riserva” (chiamate “fondi federali”) da altre banche che le hanno in eccesso, o in caso di necessità richiedere alla Federal Reserve un prestito a breve termine. Il mancato mantenimento delle riserve minime richieste è considerato un’anatema nel mondo bancario ed esistono opzioni per ottenere riserve aggiuntive, se necessario.

“Liquidità” è un altro termine bancario che deve essere utilizzato correttamente. Sebbene non siano monitorate dalle agenzie di regolamentazione, le banche mantengono contanti nel caveau (banconote della Federal Reserve e monete del Tesoro) per soddisfare le richieste di prelievo allo sportello o ai bancomat. Conservare contanti è una spesa per le banche, perché non frutta interessi e dev’ssere conservato in depositi sicuri. Le banche assorbono queste spese, ma sarebbero giustificate nel chiedere ai clienti di coprire il costo della gestione del contante (e in effetti alcune banche addebitano i prelievi ai bancomat).

Sebbene il capitale sia considerato un segno della salute finanziaria di una banca, né le riserve bancarie né i contanti nel caveau forniscono in alcun modo tale indicatore.

Le recenti richieste di requisiti patrimoniali più elevati

In seguito ai problemi di liquidità dello scorso anno tra la Silicon Valley Bank (SVB), la Signature Bank e la First Republic Bank, molte agenzie di regolamentazione e politici (mi ripeto) hanno chiesto requisiti patrimoniali più elevati alle banche. È chiaro, tuttavia, che l’insufficienza di capitale non è stata una delle principali cause delle difficoltà di queste banche.

SVB, ad esempio, ha subito una corsa agli sportelli dell’era moderna in cui i depositanti (alcuni dei cui conti superavano i limiti assicurativi della FDIC) hanno improvvisamente richiesto ingenti prelievi online.

Incapaci di attingere ad asset che tradizionalmente fornirebbero fondi per i prelievi — contanti dal caveau, asset in portafoglio come investimenti a breve termine, o strutture di prestito della Federal Reserve — la FDIC e il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti sono intervenuti per onorare i saldi dei depositanti di SVB al di sopra della normale assicurazione di $250.000 per conto. Il colpevole qui era il portafoglio di SVB contenente titoli del Tesoro il cui valore di mercato era diminuito quando la Federal Reserve ha iniziato a rialzare i tassi d’interesse nel 2022, causandone un calo dei prezzi mark-to-market al di sotto della base di costo pagata da SVB.

Una successiva analisi dei suoi problemi ha rivelato che non era sottocapitalizzata e che il suo rapporto capitale/patrimonio era del 10,4%, ben al di sopra del requisito normativo del 7%. E se avesse incluso le perdite non realizzate sul suo portafoglio titoli nei calcoli del suo capitale regolamentare, il rapporto capitale/attivi sarebbe stato ancora più alto, ottenendo buoni risultati negli stress test bancari della Federal Reserve.

Il problema principale di SVB non era l’insufficienza del capitale, ma piuttosto l’incapacità di raccogliere liquidità vendendo i titoli in portafoglio senza subire grandi perdite sugli investimenti. Come ha concluso la relazione della Federal Reserve sul crollo di SVB e Signature Bank “[…] la sua leadership non è riuscita a gestire il tasso d’interesse di base e il rischio di liquidità […] e le autorità di vigilanza della Federal Reserve non sono riuscite ad intraprendere azioni sufficientemente energiche […]”. La relazione ha poi evidenziato come criticità la “[…] crescita rapida e sfrenata […] attraverso un’eccessiva dipendenza da depositi non assicurati […] e l’incapacità di comprendere il rischio della loro associazione con l’industria delle criptovalute”. Il capitale non è stato citato come fattore del fallimento di queste banche.

Considerazioni conclusive sul modello di business e sul capitale delle banche

Idealmente le banche ben gestite (e i loro depositanti) dovrebbero essere libere di determinare il livello di capitale adeguato al loro modello di business, ma l’unicità del settore ha indotto le autorità di regolamentazione a far rispettare i requisiti patrimoniali. Negli anni successivi alla creazione della FDIC, sia le banche che i depositanti sono diventati indifferenti all’importanza del capitale bancario perché la FDIC copre le perdite sui depositi fino a un limite noto e in alcuni casi anche oltre tale limite, come con SVB ad esempio.

L’esistenza di questa generosa copertura assicurativa è un esempio di ciò che gli economisti chiamano “azzardo morale”, quando gli attori economici (le banche e i loro depositanti in questo caso) sono incentivati ​​a correre rischi più grandi perché non ne sopportano tutti i costi. Nel salvataggio dei depositanti di SVB da parte della FDIC, un costo maggiore è sostenuto da tutte le altre banche (e dai loro depositanti), che pagano direttamente o indirettamente i premi assicurativi sui depositi, socializzando così quello che avrebbe dovuto essere un costo privato e che sarebbe dovuto gravare totalmente sulle spalle del management di SVB. 

Un’ultima osservazione è che i fallimenti bancari del 2023 potrebbero riflettere lo stato di paura che affliggeva gli Stati Uniti durante la crisi sanitaria del 2020-23 e che ora sta finalmente iniziando a dissiparsi mentre gli americani ritornano a una relativa normalità. Le agenzie di regolamentazione bancaria, chiedendo alla FDIC una copertura estesa delle perdite sui depositi e raccomandando poi requisiti patrimoniali più elevati per le banche, potrebbero aver reagito in modo eccessivo al fallimento di SVB, temendo un contagio simile a un virus in tutto il settore bancario. Alcuni hanno ipotizzato che le misure di lockdown fossero una prova generale di qualcosa di ancora più controverso e distruttivo; forse gli storici futuri analizzeranno con successo e descriveranno gli effetti collaterali attuali e postumi di quest’epoca.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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