La situazione in Medio Oriente diventa sempre più critica per gli americani di stanza lì: due Navy SEAL sono morti dopo essersi dispersi in mare al largo delle coste della Somalia mentre perquisivano una barca che presumibilmente trasportava armi dirette allo Yemen. E molte truppe statunitensi hanno subito traumi cerebrali e altre lesioni negli attacchi missilistici in Iraq e Siria. Joe Biden e i suoi consiglieri sarebbero convinti che sia solo questione di tempo prima che le truppe americane vengano uccise direttamente e questo non darà loro altra scelta se non quella di effettuare attacchi diretti contro l’Iran: esattamente l’approccio che Biden stesso ha ammesso non funziona contro lo Yemen. Qual è, quindi, lo scopo di un’eventuale missione “piedi a terra” in Medio Oriente? Far impantanare gli USA in una guerra che non vinceranno mai e farli continuare a spendere dal punto di vista fiscale, visto che dal punto di vista monetario la FED ha tirato il freno a mano, e rallentare la contrazione del mercato degli eurodollari. Anche perché, come verrà spiegato ulteriormente nell’articolo di oggi, non è una questione energetica: gli USA sono adeguatamente isolati da questo punto di vista. Questo all’estero, in patria invece l’obiettivo della cricca di Davos è quello di dividere gli Stati Uniti, perché divisi, in questo momento, appariranno come se stessero cadendo a pezzi dal punto di vista politico. L’obiettivo finale è quello di minare la validità dei mercati del debito statunitense e la capacità di Washington di bilanciare i propri conti. Non esiste un Grande Reset con gli Stati Uniti perfettamente funzionanti.

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di David Stockman

Ci risiamo. Joe Biden ha dato il via a un’altra guerra nello Yemen senza una dichiarazione costituzionalmente conforme da parte del Congresso e lo ha fatto contro una tribù disordinata di ribelli che non può assolutamente danneggiare la libertà o la sicurezza della patria americana.

Dopotutto il missile più temibile posseduto dagli Houthi è il Burkan-3, il quale ha una gittata massima di 750 miglia. Eppure l’ultima volta che abbiamo controllato, la distanza dallo Yemen a Washington DC era di 7.200 miglia. Allora perché il ramo repubblicano acclama Sleepy Joe per la sua decisione?

Leader repubblicano al Senato, Mitch McConnel: “Accolgo con favore le operazioni degli Stati Uniti e della coalizione contro i terroristi Houthi sostenuti dall’Iran, responsabili di aver interrotto violentemente il commercio internazionale nel Mar Rosso e di aver attaccato navi americane. La decisione del presidente Biden di usare la forza militare contro questi delegati iraniani è arrivata in ritardo”.

Il presidente repubblicano della Camera, Johnson: “Questa azione da parte delle forze statunitensi e britanniche era attesa da tempo, e dobbiamo sperare che queste operazioni indichino un vero cambiamento nell’approccio dell’amministrazione Biden nei confronti dell’Iran e dei suoi delegati che stanno provocando solo caos. Devono capire che c’è un prezzo alto da pagare per i loro atti di terrorismo e per i loro attacchi al personale e alle navi commerciali statunitensi. L’America deve sempre mostrare forza, soprattutto in questi tempi pericolosi”.

No, Presidente Johnson, l’America non deve andare all’estero alla ricerca di mostri da distruggere, come affermò anche il nostro sesto presidente, John Qunicy Adams, quasi 203 anni fa, nel Giorno dell’Indipendenza. Il Mar Rosso non è il Golfo del Messico, Long Island Sound, o il Golfo di Catalina, il che significa che il blocco degli Houthi sulle navi dirette a Israele come rappresaglia per l’assalto di quest’ultimo a Gaza è affare di Gerusalemme, non di Washington.

Inoltre la Marina americana non è stata incaricata dalle Nazioni Unite o da qualsiasi altro organismo globale di salvaguardare ogni rotta marittima del pianeta. Né dovrebbe accettare l’incarico se offerto, perché la sicurezza interna dell’America non dipende dal fatto che Washington funzioni come gendarmeria del mondo.

Infatti ci sono solo due modi in cui la nostra libertà e sicurezza potrebbero essere minacciate nel mondo di oggi: o tramite il ricatto nucleare, o tramite un’invasione militare convenzionale e l’occupazione del territorio statunitense. Nessuna delle due ipotesi è nemmeno lontanamente possibile; e, in ogni caso, la garanzia di tale impossibilità non richiede portaerei e basi militari sparse in tutto il pianeta.

Per quanto riguarda il ricatto nucleare, non esiste nazione sulla Terra che disponga di qualcosa di simile alla forza necessaria per sopraffare totalmente la deterrente nucleare americana ed evitare un annientamento in ritorsione. Gli Stati Uniti hanno 3.800 testate nucleari attive e sono sparse sotto il mare in silos rinforzati e in una flotta di bombardieri 66 B-2 e B-52, tutti fuori dal rilevamento o dalla portata di qualsiasi altra potenza nucleare.

Ad esempio, i sottomarini nucleari della classe Ohio hanno 20 tubi missilistici, ciascuno dei quali trasporta in media quattro testate. Si tratta di 80 testate per nave puntabili in modo indipendente e in qualsiasi momento; 12 dei 14 sottomarini nucleari di classe Ohio vengono schierati attivamente e sparsi negli oceani del pianeta entro un raggio di tiro di 4.000 miglia. Quindi ci sono 960 testate nucleari da trovare e neutralizzare prima ancora che qualsiasi ricattatore possa iniziare la sua sfida.

E poi ci sono le circa 1.200 armi nucleari a bordo dei 66 bombardieri strategici, che non sono seduti su un singolo aeroporto in stile Pearl Harbor in attesa di essere distrutti, ma sono costantemente in movimento. Allo stesso modo, i missili da 400 minutemen sono sparsi in silos estremamente resistenti nelle profondità sotterranee; ogni missile trasporta 3 testate, fornendo altre 1.200 testate nucleari che dovrebbero essere eliminate dai ricattatori.

Inutile dire che non esiste alcun modo o forma in cui il deterrente nucleare americano possa essere neutralizzato da un ricattatore, e la cosa migliore è che mantenerla costa solo $65 miliardi all’anno, comprese le indennità per aggiornamenti periodici.

L’altra potenziale minaccia militare alla sicurezza interna dell’America è l’invasione da parte di una massiccia armata convenzionale di forze terrestri, aeree e marittime molte, molte volte più grandi del colosso militare che è ora finanziato da Washington: il budget per la difesa è di $900 miliardi. L’infrastruttura logistica necessaria per controllare i vasti fossati dell’Atlantico e del Pacifico che circondano il Nord America e per sostenere un’invasione e una forza di occupazione nel continente nordamericano è così incredibilmente vasta da essere difficilmente immaginabile.

Per sostenere una cosa del genere ci vorrebbe almeno un PIL da $50.000 miliardi. E se ovviamente non si tratta dei soli $2.000 miliardi del PIL della Russia, o addirittura dei $18.000 miliardi del PIL cinese, esattamente di quale lontano dominio interstellare dell’universo conosciuto staremmo parlando?

Inoltre non è che in un’epoca in cui il cielo è pieno di mezzi di sorveglianza ad alta tecnologia, un’armata di forze convenzionali così massiccia potrebbe essere segretamente ammassata, testata e radunata per un attacco a sorpresa senza essere notata a Washington. Non può esserci ripetizione delle  forze d’attacco Akagi, Kaga, Sōryū, Hiryū, Shōkaku e Zuikaku che attraversarono il Pacifico verso Pearl Harbor.

In pratica, la Russia ha una sola portaerei e la Cina ne ha solo tre, due delle quali risalgono alla vecchia Unione Sovietica, e non dispongono nemmeno di moderne catapulte per lanciare i loro aerei d’attacco.

Allo stesso modo, gli idioti neoconservatori come Nikki Haley hanno chiacchierato della crescita della Marina cinese, che conta 400 scafi rispetto alle 305 navi della flotta della Marina americana. Ma quello che non dice è che la maggior parte di queste unità cinesi sono motovedette costiere, che probabilmente non potrebbero nemmeno raggiungere la costa della California.

In termini di capacità di proiezione della potenza navale, la misura corretta della letalità non è il numero di scafi, ma il tonnellaggio totale. A questo proposito la Marina americana dispone di 4,6 milioni di tonnellate da dislocare, con una media di 15.000 tonnellate per nave. Al contrario la Marina cinese ha solo 2 milioni di tonnellate da dislocare, con una media di sole 5.000 tonnellate per imbarcazione. Vale a dire, la Marina cinese è totalmente visibile, valutabile e tracciabile, e non ha nemmeno lontanamente le dimensioni e la letalità che renderebbero remotamente plausibile un’invasione dell’America.

In altre parole, tutte le chiacchiere di McConnell e Johnson riportate sopra hanno senso solo se le si guarda attraverso la falsa lente di un egemone globale con sede a Washington. Quindi, sì, se quest’ultima è obbligata a mantenere la pace ovunque sul pianeta e a salvaguardare tutte le rotte marittime e tutto lo spazio aereo del mondo, allora lasciamo che i legislatori riuniti indichino una votazione e dichiarino l’ennesima guerra, come fece Woodrow Wilson nell’aprile del 1917, il cui unico risultato fu l’ascesa al potere di Hitler, Stalin, la Seconda Guerra Mondiale, l’Olocausto e la Guerra Fredda.

Ma la verità è che le guerre locali, come quella tra Israele e i suoi vicini musulmani, non minacciano né la pace né il commercio del globo. Se così fosse, le parti più immediatamente colpite sarebbero i trasportatori più pesanti e i vicini del Mar Rosso.

Ad esempio, l’Arabia Saudita vive sul Mar Rosso, con i principali porti di Jeddah, Yanbu, Jubail e i massicci investimenti futuristici a Neom. Allo stesso modo, la Cina invia di gran lunga più merci tramite portacontainer attraverso il Mar Rosso rispetto a qualsiasi altra nazione.; e l’Egitto riscuote i pedaggi dal Canale di Suez attraverso il quale transita il traffico del Mar Rosso.

Quindi l’Arabia Saudita, la Cina e l’Egitto si sono uniti alla coalizione di Washington per bombardare gli Houthi?

…Hmmmm, no. (Ma guarda un po’ il caso, eh?)

Ma ciò che è particolarmente significativo sono tutte le lamentele dei neoconservatori a Washington riguardo al 9% del traffico mondiale di petrolio via mare che attraversa la rotta Mar Rosso/Suez. Il fatto è che ora gli Stati Uniti sono un esportatore di energia, quindi un aumento dei prezzi del petrolio rappresenterebbe in realtà un vantaggio economico.

Ma nonostante tutto il caos sull’interdizione da parte degli Houthi al traffico diretto verso Israele, non c’è stato alcun impatto visibile sui prezzi del petrolio, anche se si utilizza una lente d’ingrandimento. Allora di cosa diavolo stanno parlando esattamente?

Prezzo giornaliero del greggio Brent da ottobre 2021

Sì, finché Israele non scenderà a patti con i suoi vicini, il traffico marittimo proveniente dalla Cina e dall’Estremo Oriente potrebbe essere dirottato sulla rotta più lunga attorno al Capo di Buona Speranza. E allora? La distanza da Shanghai a Rotterdam attraverso il Mar Rosso è poco meno di 6.000 miglia contro le 9.400 miglia attorno al Capo di Buona Speranza. Un terzo in più alla rotta normale, ma tutte le lamentele di Washington sui costi aggiuntivi sono troppe.

I costi aggiuntivi sono costi variabili derivanti da un numero leggermente maggiore di giorni in acqua, ma non sono vicini ad essere proporzionati al chilometraggio aggiuntivo. E in secondo luogo, stiamo parlando del traffico commerciale cinese verso l’Europa, non verso la California.

Il fatto è che gli Stati Uniti non hanno bisogno di nessuna delle loro 700 basi globali, né di 100.000 militari in Europa e di circa 100.000 in Corea, Giappone e altrove in Asia. E soprattutto non hanno bisogno di portaerei nel Mar Mediterraneo e nel Golfo Persico e di 50.000 soldati americani in Siria, Iraq, Kuwait, Bahrein ecc.

Quest’ultimi in particolare sono tutti bersagli facili in attesa di rimanere intrappolati nel fuoco incrociato dei conflitti locali sciiti/sunniti, o nel conflitto perpetuo tra Israele e i suoi vicini arabi e musulmani.

Inoltre l’Iran non rappresenta affatto una minaccia per la sicurezza interna dell’America. Non ha missili in grado di raggiungere gli Stati Uniti e non ha armi nucleari, e non ne avrebbe mai ottenute se Trump non avesse cancellato l’accordo nucleare del 2015 che Teheran stava pienamente rispettando.

Il fatto è che, anche se tutte queste basi e le forze navali statunitensi nella regione del Medio Oriente non sono di alcun beneficio per la sicurezza interna dell’America, in realtà costituiscono un profondo disservizio per la sicurezza di Israele. Questo perché il presunto scudo militare statunitense nella regione ha incoraggiato i fanatici religiosi di destra guidati da Netanyahu che controllano il governo israeliano a combattere una guerra senza informare l’elettorato israeliano delle vere implicazioni.

Vale a dire, se Israele volesse schermare in modo sicuro e permanente la Striscia di Gaza e i suoi 2,3 milioni di abitanti, allora avrebbe non solo bisogno dell’Iron Dome per proteggere la popolazione israeliana dai razzi di Hamas, ma anche di un’intera struttura presidio lungo il confine per reprimere qualsiasi breccia nel Muro, e quindi prevenire qualcosa di lontanamente simile alla catastrofe del 7 ottobre.

Per dirla in breve, la Striscia di Gaza è lunga 25 miglia, o 131.000 piedi. Se si mette un soldato dell’IDF ogni 6 piedi, il fabbisogno è di 22.000 uomini. E su quattro turni 24 ore su 24, 7 giorni su 7, si tratta di 88.000 soldati in totale, con un costo medio di $40.000 per soldato più $20.000 per le spese generali e i generali. Nel complesso si tratta di una spesa di $5 miliardi per rendere Gaza a prova di rottura, il che equivale a circa l’1% dei $550 miliardi del PIL di Israele.

Ciò avrebbe significato tasse più alte per i cittadini israeliani, ma la violazione sanguinosa e barbara del 7 ottobre non sarebbe mai avvenuta.

In verità, Israele non ha mai nemmeno preso in considerazione l’idea di stringere la propria cintura economica per finanziare la politica di guerra su cui insiste il suo governo estremista, militarista e religioso. Netanyahu ha condotto per decenni una campagna elettorale per conto di una politica di sicurezza nazionale, finanziata però attraverso un livello di spesa per la difesa quasi pacifista.

Proprio così. Le spese militari di Israele sono crollate da oltre il 20% del PIL al momento dell’ultima crisi durante la guerra dello Yom Kippur nel 1973 ad appena il 5% del PIL alla vigilia degli attacchi dello scorso 7 ottobre. Infatti Netanyahu ha falsamente detto agli elettori israeliani che sarebbe stato aperto a una soluzione a due Stati, ma allo stesso tempo avrebbero potuto anche evitare di essere tassati fino al midollo per pagare l’alternativa: uno Stato costoso e pesantemente militarizzato.

Questa falsa soluzione era una spietata volontà di tenere sotto controllo Hamas “falciando l’erba” ogni tot. anni a Gaza, come sta facendo ancora una volta un governo israeliano disperato.

Quindi, ancor più del fallimento delle decantate operazioni d’intelligence di Israele nel periodo precedente ai massacri del 7 ottobre, il vero fallimento politico è la flaccida linea blu nel grafico qui sotto, che si inclina verso il 5,0% dopo l’arrivo della coalizione di Netanyahu negli anni ’90. Non si può avere una linea di politica da prigione a cielo aperto (nessun negoziato con i palestinesi, nessuna soluzione a due Stati, nessuna continuazione del processo di Oslo o di altri negoziati internazionali e la quarantena di 2,3 milioni di palestinesi in gran parte indigenti in una striscia di terra congestionata e disfunzionale) con un budget per la difesa pari al 5% del PIL.

In breve, il bilancio della difesa da $25 miliardi di Israele è una miseria rispetto alla sua economia nazionale in forte espansione, tecnologicamente avanzata e robusta da $550 miliardi. Quest’ultima, a sua volta, è 20 volte più grande dei $28 miliardi di PIL che passano per un’economia nel caos di Gaza – finanziato principalmente da filantropi stranieri e dai cosiddetti attori malevoli nella regione.

Anche se si contano alcune centinaia di milioni di aiuti all’anno provenienti dall’Iran e da altri Paesi che affluiscono ad Hamas attraverso il Qatar, non c’è assolutamente apragone. Israele è un Golia economico rispetto all’apparato terroristico di Hamas e non ha bisogno dello scudo militare statunitense nella regione per garantirsi la sopravvivenza. C’è solo bisogno di un governo che dica agli elettori la verità sul costo reale della politica di guerra perpetua di Netanyahu.

Inutile dire che Bibi Netanyahu e la sua coalizione di partiti di destra probabilmente non sarebbero mai rimasti al potere se avessero parlato apertamente all’opinione pubblica riguardo all’immenso aumento delle spese militari e delle tasse richieste per sostenerlo.

Ma anche questa non è nemmeno la metà della storia. La verità è che Netanyahu è un megalomane che ha avuto la sconsiderata audacia di perseguire una strategia machiavellica assolutamente pericolosa di promozione e finanziamento di Hamas al fine di sabotare qualsiasi prospettiva di un accordo a due Stati.

Entrate fiscali israeliane in percentuale del PIL, dal 1995 al 2021

La documentazione pubblica rende assolutamente chiaro che questo è ciò che Netanyahu ha fatto. A scanso di equivoci, i fatti sono questi: tra il 2012 e il 2018 Netanyahu ha dato l’approvazione al Qatar per trasferire una somma complessiva di quasi un miliardo di dollari a Gaza sotto forma di valigie piene di contanti. E si stima che almeno la metà abbia raggiunto Hamas, compresa la sua ala militare.

Ecco il Jerusalem Post a riguardo:

[…] in un incontro privato con i membri del suo partito Likud l’11 marzo 2019, Netanyahu ha spiegato il suo passo sconsiderato: il trasferimento di denaro è parte della strategia per dividere i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania. Chiunque si opponga alla creazione di uno Stato palestinese deve sostenere quel trasferimento di denaro dal Qatar a Hamas. In questo modo sventeremo la creazione di uno Stato palestinese (come riportato nel libro in lingua ebraica “Neged Haruach” dell’ex-membro del gabinetto Haim Ramon, p. 417).

In un’intervista con il sito web di notizie Ynet il 5 maggio 2019, Gershon Hacohen, associato di Netanyahu, un generale maggiore delle riserve, ha dichiarato: “Dobbiamo dire la verità. La strategia di Netanyahu è quella d’impedire l’opzione dei due Stati, così da trasformare Hamas nel suo partner più vicino. Hamas è apertamente un nemico; di nascosto, è un alleato”.

Infatti all’inizio di quella primavera lo stesso Netanyahu era stato citato per aver affermato, durante il suddetto incontro dei parlamentari del Likud, che:

“Chi si oppone a uno Stato palestinese deve sostenere la consegna di fondi a Gaza (contanti in valigie dal Qatar), perché mantenere la separazione tra l’Autorità Palestinese in Cisgiordania e Hamas a Gaza impedirà la creazione di uno Stato palestinese”.

Così la fazione governativa israeliana composta da estremisti religiosi, militaristi, coloni messianici e ideologi di Eretz Yisrael ha scelto di vivere in uno “Stato Guarnigione” e di essere periodicamente costretta a “falciare l’erba” a Gaza. Tuttavia, se i suoi governi di destra vogliono gestire una Sparta moderna, devono prima attingere ai propri contribuenti.

Nel frattempo Washington ha bisogno di tornare fiscalmente sobrio. Il conto corrente dello zio Sam è enormemente scoperto. Ora non è il momento di finanziare guerre che non fanno nulla per la sicurezza interna dell’America (Ucraina), o dichiarare un’altra guerra per conto di un alleato che non è disposto a pagare per lo “Stato Guarnigione” richiesto dalle sue linee di politica di guerra.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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