Biden ha torto: la spesa militare non crea ricchezza

 

 

di Mihai Macovei

Finora la Casa Bianca ha giustificato il suo incrollabile sostegno all’Ucraina con motivazioni nobili come la difesa della democrazia e della libertà, sia in Ucraina che in Occidente. Tuttavia, con l’opinione pubblica americana – che sostiene i costi della guerra in Ucraina – che si rivolta contro questa linea di politica, anche diversi legislatori repubblicani ne mettono in dubbio lo scopo e la convenienza; e con le elezioni che si avvicinano, l’amministrazione Biden ha cambiato il messaggio sulla guerra. La sua nuova linea è che l’invio di armi all’Ucraina è in realtà un investimento nell’industria americana, che rafforza l’economia domestica e crea nuovi posti di lavoro.

La nuova tesi di Joe Biden si adatta bene alla logica keynesiana della “Bidenomics”, in cui la prosperità economica si basa su una generosa spesa pubblica per infrastrutture, semiconduttori ed energia pulita piuttosto che sul libero mercato. Non solo è immorale pensare che un Paese debba sfruttare le guerre e la sofferenza umana per rilanciare la propria economia, ma è anche sbagliato dal punto di vista economico. Non è possibile aumentare la ricchezza facendo donazioni, ovvero l’aiuto militare degli Stati Uniti all’Ucraina. Inoltre se la spesa militare e le guerre sono così positive per l’economia in generale, allora l’economia americana dovrebbe scoppiare di salute dopo le migliaia di miliardi di dollari spesi per questo scopo negli ultimi due decenni. Invece è vero il contrario.

Una spinta alla produzione americana?

Quando nel 1989 cadde la cortina di ferro e il socialismo sembrò sconfitto, il mondo passò a una fase “unipolare” con gli Stati Uniti come leader incontrastato, suscitando grandi aspettative per un lungo periodo di pace e prosperità mondiale. Invece di essere tagliata drasticamente, la spesa in eccesso per le forze armate negli Stati Uniti – più grande di quelle dei successivi dieci eserciti del mondo messi insieme – è stata mantenuta pressoché stabile a circa $300 miliardi per un decennio. Dopo gli attacchi dell’11 settembre e il coinvolgimento degli Stati Uniti in innumerevoli guerre e operazioni militari, il bilancio della difesa è salito a oltre $800 miliardi nel 2023.

Secondo la tesi del presidente Biden, questo ingente investimento nell’industria della difesa avrebbe dovuto portare ad una ripresa della produzione. Non è andata così: il settore manifatturiero statunitense ha vissuto un incubo tra il 2000 e il 2010, quando il numero di posti di lavoro, che era rimasto relativamente stabile a circa diciotto milioni sin dal 1965, è sceso di un terzo, sotto i dodici milioni, mentre la produzione del settore in percentuale del prodotto interno lordo (PIL) è calata anch’essa (Grafico 1). Ciò non era dovuto agli aumenti di produttività e all’automazione, ma alla perdita di competitività causata dalle bolle finanziarie e immobiliari, le quali hanno fatto lievitare i costi statunitensi. Le aziende americane hanno accelerato la delocalizzazione mentre i posti di lavoro si sono spostati verso i servizi, l’edilizia e il settore finanziario.

Grafico 1: Occupazione e valore aggiunto nel settore manifatturiero. Fonte: “All Employees, Manufacturing (MANEMP)” e “Value Added by Industry: Manufacturing as a Percentage of GDP (VAPGDPMA)”, FRED, Federal Reserve Bank di St. Louis, ultimo aggiornamento 1 ottobre 2023 e 1 gennaio 2023. Dati del Bureau of Labor Statistics, “Current Employment Statistics”, aggiornati al 14 novembre 2023 e del Bureau of Economic Analysis, “GDP by Industry”, aggiornati al 30 novembre 2023.

Lavori più retribuiti e meglio retribuiti?

Con il declino della produzione americana sono scomparsi anche i posti di lavoro ben retribuiti per le persone con competenze inferiori, riducendone gli incentivi a lavorare. Insieme a un aumento esponenziale dei programmi di assistenza sociale e dell’intervento pubblico nell’economia, il calo di tali incentivi ha contribuito a un costante calo della partecipazione degli americani al mercato del lavoro. Sia la partecipazione alla forza lavoro che i tassi di occupazione sono in calo ormai da quasi tre decenni (Grafico 2). Sebbene gli esperti attribuiscano il declino a lungo termine della partecipazione al mercato del lavoro ai cambiamenti demografici, questa non può essere la spiegazione principale, come dimostrato dal tasso di partecipazione molto basso e in calo degli uomini in età pre-adulta. Solo l’Italia, tra i Paesi sviluppati, ha registrato un calo maggiore rispetto agli Stati Uniti nella partecipazione al mercato del lavoro degli uomini di età compresa tra i 25 e i 54 anni a partire dal 1990.

Grafico 2: Partecipazione alla forza lavoro e occupazione. Fonte: “Labor Force Participation Rate (CIVPART)”, FRED, Federal Reserve Bank di St. Louis, ultimo aggiornamento 1 ottobre 2023. Dati del Bureau of Labor Statistics, “Current Employment Statistics”, ultimo aggiornamento 14 novembre 2023.

Inoltre salari e redditi hanno subito un duro colpo a causa del rallentamento della crescita della produttività e del calo del settore manifatturiero. Il salario medio dei diplomati delle scuole superiori poco qualificati è diminuito dal 1990 al 2022 di circa il 10% non solo in termini reali, ma anche in termini nominali. Nonostante alcuni alti e bassi, i salari reali medi negli Stati Uniti hanno mantenuto più o meno lo stesso potere d’acquisto negli ultimi quattro decenni, con un aumento appena inferiore al 10%.

Crescita della produttività e investimenti in difficoltà

La ragione principale della scarsa creazione di posti di lavoro e della quasi stagnazione dei salari reali è la debole crescita della produttività e la diminuzione degli investimenti. Nonostante i grandi progressi nella tecnologia digitale, la crescita della produttività è rallentata fino a raggiungere solo l’1,4% negli ultimi quindici anni, ben al di sotto della media a lungo termine del 2,2% dalla Seconda Guerra Mondiale. Poiché la crescita della produttività è una funzione sia del progresso tecnologico che dell’accumulo di capitale, ciò significa che il problema risiede principalmente nell’insufficienza degli investimenti. Infatti il tasso d’investimento statunitense ha registrato una chiara tendenza al ribasso sin dal 1980 (Grafico 3). Poiché gli investimenti residenziali sono rimasti quasi costanti a circa il 4% del PIL nel periodo succitato, significa che il calo degli investimenti ha avuto luogo in attrezzature, proprietà intellettuale e strutture industriali, i quali sono i principali contributori alla produttività del lavoro. Inoltre questi tassi d’investimento sovrastimano la quantità d’investimenti produttivi che portano a uno solido accumulo di capitale, perché i due principali cicli di espansione e contrazione che si sono verificati a partire dai primi anni ’90 sono stati accompagnati anche da significativi investimenti improduttivi.

Grafico 3: Tasso d’investimento. Fonte: “Gross capital formation (% of GDP)—United States”, World Bank Open Data, World Bank Group, 4 dicembre 2023. Dati tratti dai conti nazionali della Banca Mondiale e dai dati dei conti nazionali dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

Aumento del debito e crisi economica

Un fattore che è decollato nell’economia americana insieme all’aumento della spesa militare è stato l’ammontare del debito pubblico. Il costo di bilancio delle guerre successive all’11 settembre in Iraq e Afghanistan, nonché delle operazioni correlate in Somalia, Libia e Siria, è stimato a circa $8.000 miliardi. Ciò ha avuto un significativo contributo diretto all’aumento del debito pubblico statunitense, da $6.000 miliardi nel 2001 a $33.000 miliardi nel 2023. In percentuale del PIL, il debito pubblico statunitense è salito dal 55% nel 2000 al 123% nel 2023. Gli Stati Uniti oggi sono tra i dodici Paesi più indebitati al mondo, superando di gran lunga il debito pubblico dell’area Euro pari a circa il 90% del PIL.

Si prevede che l’indebitamento degli Stati Uniti cresca ulteriormente: secondo il recente World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, il deficit di bilancio degli Stati Uniti è destinato a esplodere all’8,2% del PIL quest’anno e in media a circa il 7% del PIL fino al 2028. Parallelamente il debito pubblico totale aumenterà ulteriormente fino a quasi il 140% del PIL. In confronto i deficit di bilancio dell’area Euro, secondo le proiezioni, saranno probabilmente in media intorno al 2,5% del PIL e il suo debito pubblico scenderà a circa l’85% del PIL entro il 2028.

Secondo Ryan McMaken, gli Stati Uniti potrebbero essere entrati in una spirale del debito a causa del forte aumento del suo costo e gli esperti temono che il rischio di aste deserte per i titoli di stato statunitensi stia diventando reale. Le aste dei titoli del Tesoro USA hanno già fatto registrare un calo della domanda, in particolare da parte degli investitori stranieri, e il rendimento dei decennali ha superato il 5%, il rendimento più alto sin dal 2007. Anche se la Federal Reserve interviene per acquistare i titoli invenduti, lo farà con denaro stampato portando a un’inflazione più elevata.

Come risultato indiretto dell’aumento della spesa militare, i tassi d’interesse ai minimi storici nei primi anni 2000 hanno aperto la strada al ciclo di espansione e contrazione, culminato con la crisi finanziaria mondiale. Oltre al debito pubblico, anche il debito privato è aumentato vertiginosamente: tra il 2000 e il 2022 il totale del debito pubblico e privato in tutti i settori è aumentato di circa tre volte, passando da $29.000 miliardi a $93.000 miliardi. La scarsa crescita della produttività dimostra che gran parte di questo debito è improduttivo e costituisce un peso per la crescita futura. La crescita del PIL reale è già rallentata a meno del 2% annuo sin dal 2000, dopo aver registrato una media superiore al 3% ogni decennio a partire dalla Seconda Guerra Mondiale.

Conclusione

L’affermazione del presidente Biden secondo cui maggiori spese militari per armare l’Ucraina rafforzeranno la produzione e l’economia statunitense è infondata. Dopo più di due decenni di spese militari molto elevate, il debito pubblico è esploso mentre la produttività e la crescita economica hanno subito un duro colpo. I sussidi che l’amministrazione Biden elargisce oggi nella speranza di attrarre la produzione ad alta tecnologia negli Stati Uniti dimostrano che il militarismo comporta gravi costi economici.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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