Bisogna evitare il disastro fiscale all’orizzonte

 

 

di David Stockman

Quando si parla di sistema bancario centrale keynesiano, esso ha trasformato il suo obiettivo d’inflazione al 2,00% in un Santo Graal economico e quindi non osa rischiare un rimbalzo delle pressioni inflazionistiche che rimangono nello specchietto retrovisore.

È vero, gli indicatori dell’inflazione si sono notevolmente raffreddati dopo il picco dell’IPC (indice dei prezzi al consumo) al 9% a giugno 2022, ma la FED non è ancora fuori dai guai. Infatti quando l’ondata di inflazione viene vista attraverso la lente più stabile e affidabile dell’IPC 16% trimmed mean, che ha raggiunto il picco a un livello leggermente inferiore del 7,2% nel 2022, l’aumento su base annua è pari al 3,7% a gennaio, quindi appena a metà strada dal sacrosanto obiettivo del 2,00%.

Infatti il tasso di variazione annuo a tre mesi dell’IPC trimmed mean è già rimbalzato al 4,0%, mentre il tasso annuo per gennaio si è attestato a un rovente 5,7%.

Quindi per quanto i tizi a Wall Street insistano per un taglio dei tassi, l’Eccles Building non gliene darà alcuno.

Variazione annua dell’IPC 16% trimmed mean, da aprile 2020 a gennaio 2024

Basta ricordare gli orribili grafici dal 1967 al 1982. Allora le persone a capo della FED non erano esplicitamente coinvolte nel business della pianificazione monetaria centrale greenspaniana, ma dovevano comunque generare quattro recessioni durante quell’arco di tempo per tenere il genio dell’inflazione nella lampada.

I trader ventenni di Wall Street, che ragliano sempre più insistentemente per il prossimo ciclo di tagli dei tassi, senza dubbio confondono gli anni ’70 con gli anni ’90 del 1700. A quanto pare è tutta un’unica confusione.

Gli stagionati nell’Eccles Building, però, ricordano il triplo picco dell’inflazione di quell’epoca. Il fragoroso fallimento della linea di politica della banca centrale, implicito in tre ondate inflazionistiche (barre rosse) e quattro contrazioni recessive (aree bianche), in poco più di un decennio ha quasi distrutto il suo doppio mandato come politburo monetario non eletto della nazione, per non parlare della sua credibilità a New York e Washington, DC.

Variazione annua dell’indice dei prezzi al consumo, dal 1967 al 1984

Pertanto l’attuale gruppo al comando non ha intenzione di tirarsi indietro davanti al suo appello “higher for longer” finché non rivedrà chiaramente il 2,00%.

Non ci aspettiamo che questa condizione venga raggiunta tanto presto, questo perché il miraggio della “bassa inflazione” degli ultimi decenni non era altro che un’illusione.

Ci riferiamo, ovviamente, al fatto che c’è stata molta inflazione a causa della folle stampa di denaro da parte del sistema bancario centrale ancor prima che la arroventassero ulteriormente in risposta alla crisi sanitaria nel marzo 2020. La maggior parte di tale stampa di denaro è finita nei prezzi degli asset finanziari e nel settore immobiliare.

Il resto è stato temporaneamente esportato nel resto del mondo attraverso l’ondata di passività in dollari che sono state raccolte dalle banche centrali mercantiliste in Cina, dai petro-stati e da quei Paesi con catene di approvvigionamento a basso costo.

Il grafico seguente non è semplicemente una prova lampante del fatto che il tasso d’inflazione medio all’1,8% durante i primi due decenni di questo secolo fosse un’aberrazione; in realtà è la pistola fumante!

Indice dei costi unitari del lavoro negli Stati Uniti, dal 1970 al 2020

La FED aveva gonfiato in modo grottesco l’economia statunitense durante i cicli degli anni ’70 sopra indicati e si era semplicemente accontentata di rallentare l’ulteriore aumento del livello dei prezzi, più alti del suddetto 2,0% annuo, durante la fine degli anni ’80 e ’90. Ciò avvenne proprio mentre Deng stava convertendo l’economia comunista di Mao in una potenza manifatturiera grazie alla stampante monetaria presso la Banca Popolare Cinese e diverse centinaia di milioni di nuovi lavoratori cacciati dalle risaie e spediti nelle fabbriche.

L’industria americana e i lavoratori salariati non avevano alcuna possibilità. Grazie alle politiche pro-inflazione della FED, sia prima che dopo Greenspan – salvo il breve intervallo del salvataggio dell’economia americana dal baratro inflazionistico da parte di “Tall Paul” Volcker – i costi unitari del lavoro nel 2000 erano più alti del 235% rispetto al 1970 e alla vigilia della crisi sanitaria nel marzo 2020 erano aumentati del 310%.

Secondo gli economisti keynesiani che gestiscono la politica economica statunitense, la linea viola in ascesa nel grafico qui sopra non avrebbe dovuto avere tanta importanza. Se il deficit commerciale americano fosse diventato troppo ampio, a causa della massiccia delocalizzazione e del crescente deficit commerciale, i Paesi in surplus all’estero, come la Cina, avrebbero dovuto sperimentare un apprezzamento nel tasso di cambio e quindi una riduzione compensativa del loro vantaggio competitivo in termini di costi.

Purtroppo ciò presupponeva che il denaro stampato negli Stati Uniti sarebbe stato contrastato da una moneta sana/onesta all’estero. Ma neanche per sogno!

Le banche centrali estere hanno stampato passo dopo passo con la FED, in base a quella che poteva essere descritta come “sporca flottiglia”. Così facendo hanno acquistato migliaia di miliardi di dollari, hanno espanso la propria offerta di denaro, hanno mantenuti intatti i surplus commerciali e inondato le loro industrie dell’export con credito e capitale a basso costo.

Quindi la delocalizzazione non ha mai rallentato e le correzioni nel tasso di cambio, così come il riequilibrio dei conti commerciali, non sono mai avvenuti.

Non vi è alcun mistero sulla causa di questo grande arbitraggio nel mondo del lavoro e della conseguente delocalizzazione dell’economia industriale americana negli ultimi 40 anni: la condizione oggettiva dell’economia mondiale e i collegamenti Internet di produttori/consumatori in tutto il pianeta hanno fatto sì che gli Stati Uniti avessero bisogno di un periodo prolungato di deflazione dei costi per eliminare gli eccessi inflazionistici degli anni ’70 e successivi, e non della linea di politica pro-inflazione che la FED ha perseguito.

Il grafico qui sotto vi dice tutto ciò che dovete sapere. Poco dopo la fine del secolo scorso il divario salariale nel settore manifatturiero tra Stati Uniti e Cina era di 22 volte e nel 2015 era ancora nell’ordine di 5 volte. Ciononostante i keynesiani dell’Eccles Building hanno ritenuto opportuno sostenere che una maggiore inflazione fosse la chiave per la prosperità, come il loro obiettivo al 2,00%.

Tuttavia il grande arbitraggio nel mondo del lavoro si sta ora avvicinando rapidamente alla fine, in gran parte perché la Cina ha completamente prosciugato le sue risaie. Vale a dire, per una questione demografica e per l’eredità della linea di politica del figlio unico, la forza lavoro dello Schema Rosso di Ponzi ha raggiunto il picco nel 2015 e ora si sta riducendo e continuerà a ridursi nel futuro prossimo.

Di conseguenza i costi salariali stanno aumentando rapidamente in Cina, perché neanche quest’ultima è riuscito a trovare un modo per abrogare le leggi della domanda e dell’offerta. Di conseguenza il divario salariale si è ridotto a meno del 20% e probabilmente scomparirà del tutto prima della fine dell’attuale decennio.

Il grande arbitraggio sul costo del lavoro, dal 2000 al 2025

La verità è che il Grande Arbitraggio nel Mondo del Lavoro è stato un evento irripetibile, non una condizione permanente dell’economia mondiale. Non sono più rimasti cinesi sul pianeta Terra e nemmeno nel vicino sistema solare.

La FED è stata in grado di stampare con relativa impunità dal 1990 al 2020 perché l’esportazione una tantum dell’economia industriale statunitense ha causato una deformazione del tutto aberrante nel livello dei prezzi interni.

In altre parole, i prezzi delle merci che rientravano nell’economia statunitense dalla produzione offshore erano ben al di sotto del livello gonfiato dei costi di produzione nazionali. Di conseguenza il deflatore delle spese per consumi personali (PCE) per i beni durevoli (linea nera) è in realtà diminuito di quasi il 40% tra il 1995 e l’inizio del 2020. Ciò riflette non solo l’aumento della quota di importazioni di beni durevoli, ma il fatto che le spese a margine per le importazioni determinano anche il prezzo dei beni prodotti internamente.

Deflatore PCE: beni durevoli e servizi, dal 1995 al 2020

Non si è mai verificato nulla di simile a una deflazione così ampia nell’era economica moderna. Si è trattato letteralmente di uno scherzo della storia economica, al di là di ogni plausibile via di continuazione o replica.

Al contrario il deflatore PCE per i servizi, che sono in gran parte prodotti a livello nazionale e quindi nell’ambito d’influenza della FED, è aumentato di oltre l’85% nello stesso periodo.

In termini annui, quindi, l’indice dei beni durevoli è sceso del 2% annuo per un intero quarto di secolo, mentre l’indice dei servizi è aumentato del 2,5% annuo. È stata una pura anomalia statistica e un colpo di fortuna per l’Eccles Building che il risultante deflatore PCE complessivo sia aumentato, in termini matematici, all’1,85% annuo.

Ciononostante i keynesiani alla FED hanno dichiarato che questo episodio fortunato è stato un problema di “bassa inflazione”, cosa che ha richiesto operazioni aggressive e prolungate da parte della sua stampante monetaria.

Inutile dire che, con i salari e i costi cinesi in rapido aumento e il divario di arbitraggio quasi chiuso, non c’era alcuna possibilità che la linea nera nel grafico qui sopra scendesse di un altro 40%. Nemmeno tra un milione di anni.

E ciò significa, a sua volta, che il divario enorme nel grafico qui sopra tra la deflazione dei prezzi dei beni e l’inflazione dei prezzi dei servizi non si ripresenterà. In realtà l’inflazione dei servizi sottostanti è ancora nell’intervallo del +5% annuo e in futuro dominerà il livello principale dei prezzi in modo molto più pesante di quanto accaduto durante l’aberrante era della deflazione dei prezzi dei beni durevoli.

Di conseguenza la scusa della “bassa inflazione” per stampare denaro era, quindi, a dir poco fuori luogo.

Il fatto è che l’inflazione non è e non sarà mai contenuta tramite l’obiettivo del 2,00%. E gli ultimi due decenni hanno dimostrato senza ombra di dubbio che la stampa aggressiva di denaro non stimola gli investimenti e la produttività nazionali, e quindi nemmeno la crescita economica complessiva.

Ciò che fa è gonfiare bolle a Wall Street perché i tassi d’interesse estremamente bassi giustificano multipli prezzo/utili più elevati. E questa è stata la scusa per portare il bilancio della FED da $300 miliardi nell’ottobre 1987 a un picco di $9.000 miliardi  fino a qualche mese fa.

Purtroppo neanche le bolle degli asset finanziari sono sostenibili indefinitamente. Un monito è arrivato giovedì scorso quando NVIDIA ha sfiorato una capitalizzazione di mercato da $2.000 miliardi, 30 volte le vendite di chip che consentono all’intelligenza artificiale generativa di Google di riprodurre ritratti di persone di colore vestite da vichinghi.

Nemmeno la bolla dei tulipani del 1637 è stata così folle.

Cambiamento annuo nell’IPC dei servizi, dal 2011 al 2024

L’assurdità più incredibile è che l’America sta precipitando a capofitto in una crisi fiscale, ma nessuno dei due candidati alla presidenza menziona mai questo pericolo, per non parlare di proporre anche solo una parvenza di un piano correttivo.

Durante il suo recente discorso sullo stato dell’Unione (SOTU), ad esempio, Joe Biden ha avuto persino il coraggio di vantarsi di “aver già tagliato il deficit federale di oltre $1.000 miliardi”.

A parte i $6.000 miliardi di deficit dell’Unipartito accumulati sin dal 2020-2021, il deficit da $1.700 miliardi sostenuto nel 2023 è stato di gran lunga il più grande nella storia americana.

Deficit/avanzo federale, dal 1955 al 2023

Se ancora fosse necessario un bagno di realtà sulle rive del Potomac, ci viene in soccorso la pubblicazione di marzo delle ultime prospettive di bilancio a lungo termine del CBO. Si basa su una serie di ipotesi ottimiste in cui non ci sono recessioni, nessuna fiammata dell’inflazione dei prezzi, nessun picco dei tassi d’interesse, nessuna crisi finanziaria, nessuna grande guerra, nessuna crisi energetica mondiale: solo una buona navigazione economica per i prossimi 30 anni!

D’altra parte il luogo in cui si può finire è decisamente terrificante, anche se lo scenario roseo alla base della relazione è del tutto incompatibile con il disastro fiscale che prevede. Di conseguenza i numeri del debito reale saranno sicuramente molto peggiori con l’evolversi del futuro.

Le proiezioni ottimistiche del CBO mostrano che il debito pubblico raggiungerà il 166% del PIL entro il 2054, una percentuale ben superiore anche al picco del 106% nella Seconda guerra mondiale. E allora c’erano tanti acquirenti di titoli del Tesoro a causa del tasso di risparmio nazionale pari al 24% del PIL generato da un’economia completamente mobilitata per la guerra e soggetta a un razionamento talmente duro che c’erano pochi beni di consumo da acquistare.

Non sorprende, quindi, se i dipendenti del Congressional Budget Office siano stati abbastanza discreti da presentare questa triste storia nel sistema di misurazione della “percentuale del PIL”, perché i numeri effettivi espressi in biglietti verdi sono letteralmente da infarto. La linea blu qui sotto corrisponde a $140.000 miliardi in debito pubblico nel 2054.

I membri dello staff di Capitol Hill che hanno redatto la relazione non desiderano che qualche deputato del Kansas faccia i conti con una calcolatrice, questo perché al tasso d’interesse medio del 3,8% che si prevede pagherà il Tesoro americano alla fine di questo periodo di 30 anni, la spesa annuale per interessi federali ammonterà a $5.300 miliardi all’anno

Proprio così. E ciò presuppone anche che lo Zio Sam possa prendere in prestito $7.000 miliardi solo nel 2054 per coprire il deficit previsto di quell’anno e farlo a soli 180 punti base al di sopra del tasso d’inflazione ipotizzato (2,0%).

Inutile dire che la relazione sopraccitata incarna una fantasia che va ben oltre ogni limite. È evidente che ci sarà una crisi economica e finanziaria molto prima del 2054.

La spesa per interessi di cui sopra supererebbe di gran lunga ogni altra voce importante nel budget federale. Ancora una volta trasformare questi rapporti in dollari aggiunge un po’ di vivacità al messaggio che si vuole veicolare.

I repubblicani, ad esempio, hanno trascorso più di un decennio a denunciare l’ObamaCare, la relativa espansione del Medicaid e vari crediti d’imposta orientati ai redditi bassi. malgrado ciò tra un paio di decenni la spesa per interessi che hanno contribuito a sostenere con le massicce spese per la difesa e le guerre neocon, oltre a qualche bella spinta allo stato sociale, sarà più del doppio dei $2.400 miliardi previsti dai programmi dei democratici.

Ironia della sorte anche la spesa per interessi sarà pari a 2,5 volte la spesa per la difesa di base – presupponendo che non ci siano più Guerre Infinite – e supererà di gran lunga sia la previdenza sociale che l’assistenza sanitaria statale.

Inoltre la relazione mostra anche che ben il 61% del bottino dell’imposta federale sul reddito andrà agli interessi passivi e il 10,3% del PIL in questione non è esattamente poco. La riscossione delle imposte sul reddito ammonterebbe in realtà a $8.700 miliardi nel 2054 e la maggior parte andrebbe ai detentori di obbligazioni.

Tutto apparentemente bello per gli obbligazionisti, solo che acquistare $110.000 miliardi in nuove obbligazioni durante i prossimi 30 anni significherà un rendimento medio ponderato 120 punti base inferiore al rendimento medio sulla curva questa stessa settimana!

Infatti i rendimenti attuali vanno dal 5,4% al 4,6% in un ampio spettro che va dai bond a 30 giorni a quelli a 30 anni. Se i tassi d’interesse rimarranno nell’intervallo medio del 5,0% – per non parlare di un livello sostanzialmente più alto – la spesa per interessi nel 2054 salirebbe a $8.000 miliardi a causa del tasso più elevato e delle aggiunte al debito.

Vale a dire, gli interessi passivi consumerebbero il 92% del denaro proveniente dalla principale fonte di entrate dello Zio Sam.

Proiezioni di spesa del CBO per il 2054:

• Spesa per interessi: $5.300 miliardi

• Previdenza sociale: $5.000 miliardi

• Medicare: $4.600 miliardi

• Medicaid, ObamaCare e relativi crediti d’imposta: $2.400 miliardi

• Difesa: $2.100 miliardi

Prospettive a lungo termine per il bilancio federale in percentuale del PIL

Alla fine ci sono tre numeri che vi dicono tutto ciò che dovete sapere: la maggior parte degli ultimi 30 anni nella prima colonna della tabella, dal 1994 al 2023, è stata caratterizzata da una dilagante dissolutezza fiscale. Il deficit federale è stato in media pari al 3,8% del PIL, il cui flusso cumulativo di inchiostro rosso ha aumentato il debito pubblico da $3.500 miliardi a $27.000 miliardi durante tale arco di tre decenni.

Ma questo era solo un allenamento primaverile per ciò che ci aspetta. Sulla base della politica fiscale attualmente in vigore, il deficit strutturale di Washington peserà quest’anno al 5,6% del PIL, per poi salire oltre il 6,0% nel corso del prossimo decennio. Raggiungerà il 7,0% nella decade succesiva e il già citato 8,5% del PIL entro il 2054.

Inutile dire che quanto sopra smentisce tutti i principali principi fiscali che il Partito repubblicano offre ora agli elettori. Infatti esso dice che non ci saranno tagli alla previdenza sociale e all’assistenza sanitaria statale, ma questi programmi, che sono costati l’8,4% del PIL nel 2023, saliranno all’11,3% del PIL entro il 2054 a causa dell’aumento dei benefici.

Entro il 2054 tale rapporto ammonterà a $9.500 miliardi in spese annuali tra previdenza sociale/Medicare, con una crescita di $2.400 miliardi all’anno rispetto all’attuale rapporto (8,4%).

Infatti se si includono Medicaid e altri programmi sanitari, la cifra del costo annuale passa da $8.100 miliardi nel 2024 a $12.000 miliardi nel 2054. Come mostrato di seguito, l’impatto più elevato dei costi dei benefici pro capite è particolarmente pronunciato nei programmi di assistenza sanitaria.

Costo in percentuale del PIL dei principali programmi dello stato sociale, 2024 rispetto al 2054

D’altro canto lo scenario di base del CBO mostra che l’imposta sul reddito individuale aumenterà dall’8,1% del PIL nel 2023 al 10,3% entro il 2054, principalmente a causa della scadenza dei decantati (e non pagati) tagli fiscali di Trump del 2017 e di tre decenni di vero e proprio lassismo fiscale. Ciò significa che, nonostante l’indicizzazione in base agli aumenti nominali del reddito, la crescita del reddito reale nel tempo sposterà sempre più contribuenti verso fasce di aliquota più elevate. Tra il 2034 e il 2054, ad esempio, la quota di reddito tassata tra il 20% e il 39,6% aumenterà dal 37% al 44%.

Inutile dire che il Partito repubblicano e i sostenitori dello stato sociale insistono sull’estensione permanente dei tagli fiscali di Trump e sulla compensazione anche dello slittamento delle fasce. Ciononostante l’effetto di questi “tagli” sarebbe l’incredibile cifra di $1.900 miliardi in riduzione delle entrate federali entro il 2054.

Proprio così. Con l’attuale tasso dell’8,1%, l’imposta federale sul reddito genererebbe solo $6.843 miliardi all’anno di entrate annuali entro il 2054 rispetto agli $8.701 miliardi previsti dal CBO secondo le proiezioni attuali.

A dire il vero i democratici non fanno nemmeno finta di affrontare questo disastro fiscale, lo ignoreranno, mentieranno come fa Biden, o si aspetteranno che la FED stampi decine di migliaia di miliardi di dollari aggiuntivi nei decenni a venire.

In breve, Washington è bloccata in una morsa fiscale mortale. Nessuno dei candidati dell’Unipartito ha il minimo interesse ad affrontare la calamità che sicuramente si prospetta all’orizzonte.

Distribuzione del reddito imponibile per scaglioni di aliquota, 2034 & 2054

Alcuni decenni fa il principale consigliere economico di Nixon, Herb Stein, disse notoriamente che ciò che non è più sostenibile tenderà a finire! Ciò che intendiamo è che quella roba marrone arriverà al ventilatore molto prima del 2054. Questo perché c’è una bomba fiscale a orologeria incorporata nei fondi fiduciari della previdenza sociale e che è destinata a esplodere nel giro di uno o due mandati presidenziali, al massimo.

A causa della falsa contabilità dei fondi fiduciari in vigore sin dagli anni ’30, essi vivono ora con tempi contabili presi in prestito e non da poco. Cioè, per decenni lo Zio Sam ha raccolto più tasse sui salari rispetto all’importo dei benefici pagati e ha utilizzato l’eccesso per finanziare portaerei, sprechi per il trasporto di massa, sussidi agli agricoltori benestanti, ecc. Ai fondi fiduciari sono stati poi accreditati “attivi” intergovernativi che ora possono essere utilizzati per coprire eventuali carenze tra le uscite per i benefici e la riscossione delle imposte sui salari.

Il problema è che tali saldi “patrimoniali” si stanno riducendo rapidamente, anche se il deficit di liquidità annuale nei fondi fiduciari aumenta inesorabilmente a causa dell’ondata di pensionamenti dei baby boomer e dell’alto livello di benefici attuarilmente non acquisiti e integrati nei programmi. Vale a dire, alla fine dell’anno fiscale 2024 il saldo “attivo” del fondo fiduciario OASDI sarà pari a $2.727 miliardi, mentre le uscite di cassa supereranno le riscossioni delle imposte sui salari di $373 miliardi durante l’anno a venire (anno fiscale 2025). A sua volta il deficit di cassa aumenterà costantemente, raggiungendo i $532 miliardi all’anno entro il 2034. Di conseguenza nei prossimi dieci anni il deficit di cassa dell’OASDI raggiungerà i $3.495 miliardi.

A quel punto gli anziani e i disabili finiranno sotto un ponte perché il falso saldo “attivo” nei fondi fiduciari sarà stato interamente consumato dai deficit di cassa temporanei. Nell’anno fiscale 2034 i benefici annuali in denaro e le spese amministrative ammonteranno a $2.479 miliardi, mentre gli incassi dalle imposte sui salari ammonteranno a soli $1.947 miliardi.

Secondo le normative attuali, se i fondi fiduciari AVS e AI vengono uniti le prestazioni si riducono come minimo del 21,5%, in caso contrario sul lato AVS (prestazioni per la vecchiaia) ancora di più. In realtà le prestazioni previdenziali medie previste per il 2034 ammonteranno a $28.000 all’anno, il che significa una riduzione di $6.000 per il beneficiario medio.

Naturalmente negli anni a venire diventerà evidente a più di 80 milioni di pensionati che i loro redditi verranno ridotti di $6.000 dollari all’anno. E molto di più tra coloro che ricevono il massimo beneficio; in quest’ultimo caso la perdita ammonterà a $15.000 all’anno.

È possibile evitare l’armageddon fiscale?

Non se l’Unipartito riuscirà a cavarsela anche stavolta. Bisogna impegnarsi per intraprendere un percorso onesto, giusto e fattibile per pareggiare il bilancio e salvare i fondi fiduciari entro il 2034, facendo perno su alcuni dei principali parametri fiscali, economici e politici esistenti nel 1998-2001, l’ultima volta che il bilancio è stato in pareggio.

Deficit/surplus federale in percentuale del PIL, 50 anni tra il 1974 e il 2023

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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