Come uno stato minimo diventa uno stato amministrativo senza limiti

Come uno stato minimo diventa uno stato amministrativo senza limiti

Di recente una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti ha intaccato i poteri amministrativi della burocrazia federale. Il caso Loper Bright Ent. contro Raimondo ha in gran parte ribaltato la sentenza Chevron del 1984, la quale aveva consolidato il potere della burocrazia di interpretare le leggi a suo piacimento. Invece di necessitare di sentenze di giudici federali, la Corte Suprema allora stabilì che i burocrati federali potessero decidere da soli come avrebbero dovuto essere interpretate le leggi del Congresso. Ovviamente ciò non ha fatto altro che creare nuovi e vasti poteri per la burocrazia e ha anche cancellato il confine tra il potere esecutivo e quello giudiziario. Cioè, se un ente amministrativo poteva interpretare le leggi da sé, allora si arrogava i poteri riservati al potere giudiziario. Naturalmente la sentenza nel caso Loper è solo un piccolo passo in un compito molto più grande di tenere a freno il potere amministrativo. Lo stato amministrativo è ben lungi dall’essere privato della maggior parte delle sue innumerevoli e pericolose prerogative. Il pericolo rappresentato dai poteri dello stato amministrativo era prevedibile ed è dimostrato dal seguente estratto dal libro, The People’s Pottge. Garrett, un acuto saggista della “Old Right”, sottolinea come lo stato amministrativo, creato durante il New Deal di Roosevelt, abbia distrutto la “separazione dei poteri” che riservava l’autorità legislativa al ramo legislativo. Lo stato amministrativo americano, attraverso i suoi poteri di “regolamentazione”, scrive leggi de facto e interpreta statuti, tutti limiti una volta imposti dalla Costituzione. Questa è ciò che Garrett chiama una “rivoluzione nella forma” in cui la realtà di un governo repubblicano limitato viene abolita mentre rimane un guscio vuoto, ovvero il testo della Costituzione americana.

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di Garet Garrett

In The Grandeur That Was Rome Stobart dice che per molto tempo dopo che la Repubblica era diventata un Impero, un repubblicano poteva ancora credere di essere governato dal Senato; a poco a poco, però, con lo sviluppo di una burocrazia imperiale, il Senato diventò insignificante. Fu proprio la burocrazia a governare il mondo romano e a strangolarlo partendo dalle buone intenzioni. Il suo ampliamento fu allo stesso tempo sintomo e causa del crescente potere esecutivo. Il trionfo di questo sistema fu l’Editto dei Prezzi, emanato da Diocleziano, che fissava i prezzi per ogni tipo di merce e i salari per ogni tipo di lavoro.

La cosa triste del lavoro della Commissione Hoover era che si doveva dare per scontato la necessità di un governo esecutivo di questa stessa portata. Ciò significa che la Commissione non aveva il mandato di criticare l’estensione del governo esecutivo o di suggerire che una qualsiasi delle sue attività potesse essere interrotta, il limite del suo compito era dire come avrebbero potuto essere organizzati per una maggiore efficienza. Uno stato più efficiente; non meno stato. Una burocrazia efficiente, anche se può costare meno, è ovviamente più pericolosa per la libertà rispetto a una burocrazia pasticciata; inoltre si può supporre che qualsiasi burocrazia, concedendole tempo ed esperienza, tenderà a diventare più efficiente.

L’esaltazione del principio esecutivo dello stato avviene in diversi modi, principalmente questi:

Per delega. È così che il Congresso delega uno o più dei suoi poteri costituzionali al Presidente e lo autorizza a esercitarli. Tale procedura toccò un culmine durante il lungo regime di Roosevelt, quando un compiacente Congresso delegò al Presidente, tra gli altri poteri, quello più cruciale di tutti, cioè il potere sulle finanze pubbliche, che fino ad allora era appartenuto esclusivamente alla Camera dei Rappresentanti, come dice la Costituzione.
Per reinterpretazione del linguaggio della Costituzione. Ciò viene fatto dalla Corte Suprema.
Per innovazione. È cosìa che, in questo mondo che cambia, il Presidente fa cose che non sono espressamente vietate dalla Costituzione perché i Padri fondatori non ci avevano mai pensato.
Per comparsa nell’ambito del governo esecutivo di quelle che vengono chiamate agenzie amministrative, con il potere di emanare norme e regolamenti che hanno forza di legge. Questa procedura toccò un punto culminante anche nel regime di Roosevelt. Si tratta di una delega diretta del potere legislativo da parte del Congresso. Queste agenzie hanno creato un ampio corpus di leggi amministrative a cui le persone sono obbligate a obbedire. E non solo fanno le proprie leggi, le applicano agendo come pubblico ministero, giudice e giuria; e l’appello contro le loro decisioni ai tribunali ordinari è difficile, perché essi sono obbligati a considerare definitive le loro conclusioni sui fatti. In tal modo viene completamente persa la separazione costituzionale dei tre poteri governativi, vale a dire il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario.
Per usurpazione. Questo avviene quando il Presidente mette di fronte il Congresso a quello che in politica viene chiamato il fatto compiuto – una cosa già fatta – e che il Congresso non può ripudiare senza esporre il governo americano al pubblico ludibrio. Potrebbe trattarsi, ad esempio, di un accordo esecutivo con Paesi stranieri dove si crea un organismo internazionale per governare il commercio, come il Trattato dell’Organizzazione internazionale del commercio che il Senato probabilmente non avrebbe mai approvato. Questo utilizzo di accordi esecutivi, che entrano in vigore quando il Presidente li firma, al posto dei trattati, che invece richiedono un voto di due terzi del Senato, è un modo per aggirare il Senato. Ciò solleva una serie di questioni giuridiche che non sono mai state risolte. Il punto è che la Costituzione non vieta espressamente al Presidente di stipulare accordi esecutivi con nazioni straniere; prevede solo i trattati. In ogni caso, una volta firmato un accordo esecutivo il Congresso è restio a umiliare il Presidente davanti al mondo ripudiandone la firma. O potrebbe trattarsi di entrare in guerra in Corea in accordo con le Nazioni Unite senza il consenso del Congresso, o inviare truppe per unirsi a un esercito internazionale in Europa in accordo con l’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico.
Infine i poteri del governo esecutivo sono destinati ad aumentare man mano che il Paese è sempre più coinvolto negli affari esteri. Ciò è vero perché, sia tradizionalmente che secondo i termini della Costituzione, la competenza degli affari esteri appartiene in un senso molto speciale al Presidente. In questo campo agisce con grande libertà. Solo il Presidente può ricevere gli ambasciatori stranieri; è solo il Presidente che può negoziare i trattati. Le limitazioni sono due. La prima: quando ha firmato un trattato questo deve essere approvato con i due terzi dei voti del Senato. Questo ostacolo, come abbiamo visto, può talvolta essere evitato stipulando con l’estero accordi esecutivi in ​​luogo dei trattati. La seconda: quando il Presidente nomina ambasciatori all’estero questi devono essere approvati dal Senato; può inviare rappresentanti personali per commissioni all’estero. La forza frenante di queste due limitazioni è importante solo nelle mani di un Congresso forte e ostile. Il fatto determinante è che sia il potere di stipulare trattati che la responsabilità di condurre le relazioni estere del Paese appartengono esclusivamente al Presidente; inoltre, sia in pace che in guerra, è il comandante in capo delle forze armate degli Stati Uniti. Lo scopo di inserirlo nella Costituzione era quello di rendere l’autorità civile suprema rispetto al potere militare.

Questo per quanto riguarda l’ascesa del potere esecutivo a una dimensione colossale, tutta nel nostro tempo. Non è più un potere co-eguale; è la potenza dominante nel Paese, come richiede un Impero.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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