Dal cyberspazio allo spazio: l’imperialismo del denaro fiat spingerà il mining fuori dal pianeta Terra?
Nel mining cresce la tensione. Con l’avvicinarsi del quarto halving e la coinbase ridotta a 3.125 bitcoin per blocco, i miner non solo devono adattarsi a una ricompensa significativamente ridotta, ma devono affrontare un futuro sempre più ostile al profitto che avrebbe sorpreso anche il preveggente Nakamoto. Infatti nonostante la speranza diffusa che gli stati arrivino ad accettare una coesistenza pacifica con Bitcoin – anch’io preferirei questo risultato – e nonostante alcuni modesti motivi di ottimismo, la storia ci ricorda che re e imperatori non rinunciano volontariamente al potere. Ciò non è meno vero per i moderni imperi, come spiega l’indagine di Lyn Alden sull’interventismo statunitense. La storia, unita all’osservazione continua delle azioni statali – in patria e all’estero – sarà sufficiente per calibrare le nostre aspettative e aiutarci a proteggerci da un’ingenuità comprensibile, ma ingannevole. Di conseguenza tra tutte le sfide imminenti che si troverà ad affrontare il mining, la più formidabile potrebbe essere la crescente opposizione statale. Le condizioni potrebbero deteriorarsi rapidamente in modo tale che il mining fuori dal pianeta Terra potrebbe meritare una seria considerazione.
IL DILEMMA TERRESTRE DEI MINER
Mentre gli halving avanzano inesorabilmente, l’equazione dei miner continua a cambiare. Ad esempio, in soli 14 anni il mining si è evoluto dai personal computer a strutture gigantesche che ospitano migliaia di Antminer S19 raffreddati ad acqua con chip da 5 nm che generano oltre 750 MW di elettricità.
Ogni fase dell’evoluzione del mining ha dovuto affrontare sfide uniche e quelle previste con il 4° halving di aprile includeranno, tra le tante altre: accesso sicuro a energia più economica, acquisizione di chip ASIC più efficienti nonostante la carenza globale e i ritardi nelle spedizioni (esacerbati dall’animosità USA-Cina-Taiwan), l’accesso a chip di mining da 3 nm, aumento dell’hashrate, declino dell’hashprice, impatto dell’intelligenza artificiale, attacchi da parte della propaganda ambientalista e proiezioni del valore di Bitcoin imperscrutabili rese non meno facili dall’avvento di grandi società d’investimento nell’ecosistema, il tutto in un contesto economico fragile e gonfio di debiti.
Se questi fossero gli unici problemi da risolvere sarebbero sufficientemente scoraggianti. Tuttavia un vettore di attacco più problematico, come ho scritto in precedenza, è la possibilità che le superpotenze dotate del potere del denaro fiat e il loro seguito di vassalli ostacolino le attività nell’ecosistema Bitcoin.
Logicamente il carattere e l’entità dell’attrito statale sarebbero correlati e proporzionati alla popolarità di Bitcoin: se il sistema monetario fiat, raccogliendo gli effetti negativi di decenni di manipolazioni, iniziasse a implodere mentre Bitcoin si rafforza, la risposta sarà forte. Sarà improbabile che si accetterà senza colpo ferire la contrazione del potere monetario fiat e si attaccherà l’alternativa emergente. Una volta che però ci si renderà conto che non si può uccidere Bitcoin, si cercherà innanzitutto di isolarlo dai suoi proprietari nel cyberspazio. Una linea di attacco complementare sarebbe quindi quella di neutralizzare l’attività di mining. Con Bitcoin isolato e il mining interrotto, a loro avviso, la fiducia delle persone in esso si dissolverebbe e la sua minaccia neutralizzata.
Gli elementi di un attacco al mining potrebbero essere due: in primo luogo, un’operazione di propaganda: nonostante i fatti, i miner verrebbero diffamati come nefandi approfittatori che aumentano irresponsabilmente le emissioni di CO₂ e consumano vaste riserve di energia limitata, facendo aumentare i prezzi e deviando l’energia da usi socialmente vantaggiosi. In secondo luogo, un’operazione burocratica: i miner si ritroverebbero ad affrontare uno tsunami di normative, dai requisiti di licenza e zonizzazione, restrizioni ambientali, quote di energia e CO₂, a irragionevoli requisiti di rendicontazione pieni d’intrusioni KYC senza precedenti e tassazione punitiva. In breve, le sfide economiche, normative e propagandistiche di un simile attacco sarebbero quasi insormontabili.
Negli ultimi anni, quando una giurisdizione è diventata inospitale – viene in mente il divieto cinese al mining ancora in vigore sin dalla metà del 2021 – la risposta convenzionale offriva solo due opzioni: tentare di continuare clandestinamente (rischioso), o trasferirsi in una giurisdizione più ospitale per Bitcoin (distruttivo e costoso).
LA RICERCA DI UN NUOVO SANTUARIO
Analizzando militarmente questo potenziale dilemma, potremmo rivolgerci a un concetto tratto dal campo della guerra controinsurrezionale: il santuario. La dottrina dell’esercito americano riconosce il principio storico secondo cui gli insorti necessitano di aree di rifugio all’interno delle quali riposarsi, riconsolidarsi e sostenere le operazioni:
Accesso all’esterno […] i santuari [hanno] sempre influenzato l’efficacia delle insurrezioni […] fornire agli insorti luoghi in cui ricostruire e riorganizzare senza timore d’interferenze da parte della controinsurrezione […]. Tradizionalmente i santuari erano rifugi sicuri fisici, come le aree di base, e questa forma di rifugio sicuro esiste ancora […]. Ma le moderne tecnologie di acquisizione degli obiettivi e di raccolta d’informazioni rendono gli insorti isolati, anche negli stati vicini, più vulnerabili.
Come potrebbe applicarsi tutto questo al mining di Bitcoin? Se ipotizziamo che lo stato lo consideri come un ribelle nel campo monetario contro il quale deve agire per preservare il suo potere, i miner si affretteranno a trovare santuari inviolabili per continuare le loro operazioni.
Attualmente i miner possiedono giurisdizioni adeguate all’interno delle quali effettuare le loro attività. Infatti la speranza vacilla ancora quando vediamo emergere alcune giurisdizioni favorevoli a Bitcoin, come l’Oman – di solito all’interno di quello che l’Occidente chiama il “Terzo mondo”, ma che potrebbe essere etichettato come il mondo neocoloniale distrutto dalla finanza fiat. Inoltre nonostante il divieto al mining del 2021, l’hashrate in Cina si è rapidamente ripreso e ha superato il tasso precedente. Questa situazione, tuttavia, può cambiare con una velocità sorprendente e le giurisdizioni accomodanti di oggi possono diventare rapidamente inospitali domani.
Visto in modo diverso: Bitcoin ha già un santuario esistenziale, ancorato saldamente alla sua blockchain ed è esistenzialmente privo di autorizzazioni e continuerà a esistere intoccabile nel cyberspazio. Si può dire che la sua esistenza sia inviolata. Tuttavia non dispone di un santuario riproduttivo, dato che l’attività di mining non avviene nel cyberspazio ma in quello geografico, all’interno di nazioni dove l’ospitalità del mercato, la regolamentazione e l’accesso all’energia sono imprevedibili. Inoltre l’attività di mining ora avviene in gran parte all’interno di strutture estese e immobili che non possono facilmente “andare sottoterra” o trasferirsi rapidamente.
Ma anche la semplificazione di cui sopra è imprecisa in quanto l’esistenza di Bitcoin non è completamente sicura nel cyberspazio senza il mining. Come spiega Andreas Antonopoulos:
Il mining protegge il sistema Bitcoin e consente l’emergere di un consenso a livello di rete senza un’autorità centrale […]. Lo scopo del mining non è la creazione di nuovi bitcoin, questo è il sistema d’incentivi. Il mining è il meccanismo mediante il quale la sicurezza di Bitcoin è decentralizzata.
Pertanto il mining è necessario per proteggere l’ecosistema Bitcoin e per forgiare nuove monete. Se i santuari terrestri iniziassero a diminuire e alla luce del recente successo commerciale dello spazio, i miner farebbero bene a guardare verso le stelle, verso lo spazio. Quest’ultimo offre il santuario fisico definitivo, liberato dalle intrusioni ostili delle autorità terrestri. Potrebbe fornire il santuario fisico che integrerà elegantemente il santuario informatico di Bitcoin.
SOGNI EXTRA-TERRESTRI
Ispirandosi alle iniziative Space-X e Starlink di Elon Musk, che forniscono una prova di principio concettuale per considerare la fattibilità del mining solare fuori dal pianeta Terra, quale forma potrebbe assumere un simile sforzo?
Si potrebbero visualizzare piattaforme di mining annidate in satelliti modulari ed espandibili, o minesat, dotati di celle solari ultraleggere e specchi posizionati in orbite elevate e sole-sincrone (SSO) (~600-1000 km sopra la Terra) perennemente rivolte verso il sole per una raccolta di energia ininterrotta. Per inciso, anche un certo numero di nazioni, tra cui Stati Uniti, Cina, Giappone e Regno Unito, vedono un incredibile potenziale nell’energia solare fuori dal pianeta Terra e stanno già perseguendo la strada dell’energia solare spaziale da utilizzare sulla Terra stessa.
Pur essendo una sfida per i miner, la dissipazione del calore rimane un problema anche nello spazio poiché non può essere dissipato per conduzione o convezione. Invece i satelliti e altre strutture di solito fanno affidamento sulle radiazioni per scaricare il calore. Ad esempio, la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) utilizza un sistema chiamato Sistema di controllo termico attivo esterno (EATCS) che impiega radiatori di calore posizionati sul lato in ombra. I minesat probabilmente utilizzerebbero un sistema simile per il raffreddamento.
Ancora una volta, usando l’esempio di Starlink, questi minesat SSO nell’orbita più alta si collegherebbero a una costellazione di smallsat (satelliti più piccoli) nell’orbita inferiore che fornirebbero connettività Internet a banda larga, oppure si collegherebbero direttamente alla rete dei nodi di Bitcoin stesso.
Operando dalla frontiera dello spazio, senza essere governata dagli stati nazionali, l’attività di mining sarebbe libera da licenze e requisiti di zonizzazione, così come da campagne diffamatorie di propaganda sulla CO₂ e sull’energia.
Volendo far avanzare ulteriormente il nostro esperimento mentale, si potrebbe immaginare questa flotta di minesat rasportate nelle loro orbite da piattaforme di lancio in nazioni lungimiranti e che abbraccerebbero Bitcoin, come El Salvador e potenzialmente l’Argentina. Nel caso di El Salvador, potrebbe fornire non solo un rifugio fisico per aziende attaccate dal punto di vista politico, come Space-X, ma, situato a oltre mille miglia più vicino all’equatore rispetto a qualsiasi luogo di lancio negli Stati Uniti, fornirebbe una posizione planetaria geograficamente superiore consentendo ai veicoli spaziali di raggiungere la velocità di fuga in modo più efficiente. Si potrebbe persino postulare la migrazione della ricerca e della produzione di chip specifici per il mining di Bitcoin verso una nazione così visionaria, co-localizzando simbioticamente gli elementi essenziali e le attività di Bitcoin.
Non molto tempo fa l’idea di un’azienda privata che superasse la NASA impiegando veicoli spaziali riutilizzabili con atterraggio verticale e dispiegando una costellazione di satelliti che fornissero accesso globale a Internet sarebbe stata considerata donchisciottesca e ingenua. Altrettanto stravagante: che una nazione dichiarasse a corso legale Bitcoin. Forse l’idea di un mining extraterrestre via satellite, facilitato da un’azienda visionaria che sta ripetutamente impartendo lezioni alla NASA, e la collaborazione con una nazione del Sud del mondo che abbraccia Bitcoin, non è così azzardata. Infatti potrebbe benissimo diventare il percorso migliore da intraprendere.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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