Fatti e finzioni: immancabile “tira e molla” prima di una recessione
Un vero economista è semplicemente un osservatore, un individuo che cerca di capire come l’osso del ginocchio è collegato all’osso della gamba e come ciò consente all’essere umano di camminare. A differenza di gente come Bernanke o la Yellen, non è uno scienziato pazzo che vuole attaccare la gamba al gomito sostenendo che ciò lo aiuterà a camminare più velocemente.
Le azioni hanno conseguenze, cerchiamo di capire quali sono.
Secondo i miei calcoli, il grande cambiamento epocale è avvenuto nel settembre del 2019, quando JP Morgan ha buttato fuori dal mercato dei pronti contro termine i player europei e le loro garanzie scadenti. È stato allora che il cosiddetto trend primario nel mercato del credito ha cambiato direzione. Dopo un periodo di 40 anni di aumento dei prezzi obbligazionari (insieme a rendimenti in calo), il rendimento dei decennali delle varie giurisdizioni ha toccato il fondo nel 2020. Da allora i rendimenti obbligazionari sono saliti e i prezzi sono calati; infatti si tratta della peggiore vendita mai vista sul mercato obbligazionario ed è stata la più forte risalita dei rendimenti mai registrata.
Il biennale italiano, ad esempio, è il punto di riferimento per gli investitori a breve termine. Alla fine del 2020 il rendimento era del -0.50% circa; oggi supera il 3,7%. Quando si può staccare quasi il 4% su un prestito a 2 anni, gli altri investimenti appaiono sotto una nuova luce. Al netto dell’inflazione le azioni sono scese dal 20% al 30% negli ultimi due anni. Perché comprarle? Chi vuole rischiare un’altra perdita del 25%? Un guadagno garantito del 4% è succulento di questi tempi e risucchia il credito dal resto del panorama degli investimenti. Ricordate, l’idea stessa di sopprimere i tassi d’interesse a minimi assurdi non era quella d’incoraggiare gli investitori a risparmiare, ma invece a investire i loro soldi in “investimenti” rischiosi. Un tasso d’interesse reale – fissato da creditori e debitori – è l’unico modo per sapere se si sta guadagnando o perdendo denaro. Un tale tasso d’interesse – il tasso per prendere in prestito capitale – è noto come “tasso minimo”: se il vostro investimento guadagna abbastanza da pagare gli interessi, va tutto bene; voi, e per estensione il mondo intero, diventerete più ricchi. Ma se non li paga, beh voi inciampate, cadete di faccia e il capitale reale viene consumato, esaurito e perso.
Quando la BCE ha falsificato il tasso d’interesse – nel suo folle tentativo di “stimolare” l’economia con denaro falso prestato a tassi d’interesse falsi – ha fatto in modo che tutto andasse male. In pratica non c’era modo di sapere se stavate guadagnando o perdendo soldi. Il risultato? Il denaro è stato sprecato in riacquisti che hanno solo arricchito gli azionisti senza aggiungere alcuna capacità produttiva, aziende zombi e, peggio di tutto, in “investimenti” pubblici che non solo hanno distrutto il capitale ma hanno anche deformato l’intera economia, distorcendola verso guerre disastrose e ingerenze economiche.
Potreste dire: “E allora? I soldi non erano reali comunque!”. Vero, ma venivano utilizzati lo stesso per acquistare risorse reali, tempo e competenze che poi venivano sprecate in progetti stupidi. E queste preziose risorse sono, tra l’altro, insostituibili. Una volta che viene usato un litro di benzina, mangiato un hamburger, o trascorso un’ora di tempo, tutte queste cose sono andate per sempre.
Ora che i tassi d’interesse sono (appena) positivi in termini reali (al netto dell’inflazione), i risparmiatori vengono ancora una volta premiati, per quanto modestamente, è tutto pare tornato al suo posto. Ma come fanno le aziende zombi a rimanere in affari? Hanno bisogno di prendere in prestito solo per tenere le luci accese. E che dire delle banche? Hanno prestato denaro a tassi bassi e ora vengono rimborsate a tassi bassi, mentre i clienti si aspettano di guadagnare tassi d’interesse più elevati sui loro depositi. Le banche europee navigano in cattive acque, soprattutto perché gli stress test cui sono state sottoposte sono inaffidabili e il loro stato patrimoniale è a dir poco disastroso. Potrebbe essere vero che l’economia riuscirà in qualche modo a superare anche questa nonostante i tassi d’interesse più alti e un’inflazione più alta, ma ne dubito fortemente: nel mondo ci sono più di $300.000 miliardi di debito e ogni centesimo rappresenta l’impegno di qualcuno a pagare qualcun altro. E tutti loro hanno fatto piani, preso altri impegni, basati su presupposti che adesso non sono più corretti; forse avevano pianificato di rifinanziarsi al 3%, adesso devono pagare il 6%, o il 10%, o addirittura di più.
Quella che sto descrivendo è sostanzialmente una “crisi del credito”. Quando il denaro divenne completamente scoperto nel 1971, l’economia divenne gradualmente dipendente dal credito fiat: invece di pagare le cose con i soldi già guadagnati, le persone hanno cominciato a finanziare le loro case, le loro automobili, le loro cene, le acquisizioni aziendali, le loro guerre – tutto – a debito. E quando il credito diventa più difficile da ottenere e più costoso, si verifica una “crisi”; e quando gli investimenti vanno male, le perdite non vengono prese dalla produzione passata, ma dal futuro. Nel frattempo, sotto il peso dei tassi d’interesse più alti, l’intera struttura del capitale comincia a scricchiolare e a vacillare. E che dire del più grande debitori di tutti, lo stato italiano? Si sta indebitando al ritmo di circa €200 miliardi all’anno attualmente; tre anni fa avrebbe pagato meno dell’1% su un’obbligazione a 10 anni, ora invece paga il 4,5%. Per ogni addebito corrisponde un accredito, ma non necessariamente garanzie sufficienti. Ecco perché sono tutti sul chi va là: cosa fallirà, o quando? Una banca, un’azienda, una famiglia? Una cosa è certa, meglio non avere i suoi asset quando lo scopriremo.
The world’s largest pension fund reported a $4.5 billion loss for the quarter.
Which pension fund is this?
Japan’s state pension fund.
The movie is getting good.
People are significantly underestimating the monetary mess in Japan.
— Gold Telegraph ⚡ (@GoldTelegraph_) November 3, 2023
LA STORIA NON SI RIPETE, MA FA RIMA COL PASSATO
Questi ultimi, ovviamente, sono i catalizzatori che poi vengono ex-post individuati come cause innescanti una recessione. E, inutile dirlo, è esattamente questo il problema: la cocciutaggine dell’establishment accademico a considerare le recessioni come un fenomeno esclusivamente incapsulabile nei cosiddetti “dati in entrata”. Secondo un sondaggio del WSJ, gli economisti mainstream hanno abbassato le loro aspettative per una recessione per l’anno prossimo. Il problema con questo ottimismo è che è basato su dati economici in ritardo, i quali poi sono soggetti a revisioni negative (anche ampie) in futuro. Le variazioni dei tassi d’interesse hanno un impatto solo sui nuovi debitori, compresi quelli con debito in scadenza che devono rinnovarlo e ripagare gli investitori delle obbligazioni in scadenza. Di conseguenza i tassi più elevati non influiscono su coloro che hanno un debito a tasso fisso non in scadenza e il cosiddetto “effetto ritardo” si verifica a causa del tempo necessario affinché le nuove emissioni di debito abbiano un peso sufficiente sull’economia da rallentarla. In altre parole, se il ritardo medio tra l’aumento finale dei tassi e la recessione è di 11 mesi, e attualmente l’ultimo rialzo è avvenuto nel luglio 2023, il rischio è piuttosto elevato. Il problema nel valutare lo stato dell’economia oggi sulla base dei dati attuali è che tali numeri sono solo al meglio delle “ipotesi”. Come dicevo, i dati economici sono soggetti a sostanziali revisioni negative man mano che vengono raccolti e aggiustati nei prossimi 12 e 36 mesi.
Pensate per un momento a quello che dichiarò Bernanke nel gennaio 2008: “La Federal Reserve al momento non prevede alcuna recessione”. Col senno di poi, nel dicembre 2008, il NBER datò l’inizio della recessione al dicembre 2007. Diamo un’occhiata ai dati sulla crescita economica reali (al netto dell’inflazione).
Ciascuna delle date mostra il tasso di crescita dell’economia statunitense immediatamente prima dell’inizio di una recessione: in sette delle ultime dieci recessioni, la crescita del PIL reale è stata pari o superiore al 2%. In altre parole, secondo i media, non vi era alcun segno di una recessione… eppure una iniziò esattamente il mese successivo. E, inutile dirlo, ho il forte sospetto che anche a questo giro gli economisti mainstream si sbaglieranno. A tal proposito, quindi, voglio prendere una crisi in particolare per evidenziare le meccaniche che contano davvero al fine di individuare con successo, e preventivamente, uno dei possibili punti di rottura all’interno di un sistema che per sua stessa natura sforna crisi a ripetizione e sempre più ravvicinate nel tempo.
Una di esse, legata ai tassi d’interesse e che più rappresenta una bussola per capire cosa accadrà molto probabilmente anche adesso, è il fallimento di Long Term Capital Management, evento che successivamente aprì le porte allo scoppio della bolla dot-com. Il mio obiettivo è trasmettere due importanti lezioni: il problema dell’azzardo morale alimentato dal credito fiat e dall’indebitamento eccessivo risultate, e le interdipendenze del sistema finanziario sono un pericolo quando i tassi d’interesse sono in aumento.
John Meriweather fondò LTCM nel 1994 dopo una carriera di successo nel trading obbligazionario presso Salomon Brothers. Oltre ad essere guidata da uno dei trader più famosi del mondo all’epoca, LTCM aveva nel suo staff anche Myron Scholes e Robert Merton, entrambi insigniti del Nobel. C’era anche David Mullins Jr., in precedenza vicepresidente della Federal Reserve di Alan Greenspan. Dire che l’azienda era piena delle menti migliori e più brillanti nel mondo finanziario è un eufemismo. LTCM si specializzò nell’arbitraggio obbligazionario e implicava l’utilizzo di anomalie nello spread di prezzo tra due titoli; praticamente si scommetteva che le divergenze dalla norma alla fine sarebbero state convergenti, come era quasi garantito nel tempo. LTCM utilizzava una leva finanziaria pari o superiore a 25 volte quando fallì nel 1998, questo significa che una perdita del 4% su un’operazione avrebbe spazzato via il capitale dell’azienda e l’avrebbe costretta ad aumentare il capitale o a fallire.
L’hedge fund di fama mondiale rimase vittima del default russo del 1998, a seguito del quale si verificò un’enorme fuga verso i titoli del Tesoro statunitense, su cui LTCM era posizionato short. Le divergenze obbligazionarie si ampliarono poiché i mercati erano illiquidi, aumentando le perdite sulle scommesse sulle convergenze. Non solo, ma a questo si aggiunse anche un’altra scommessa errata: i prezzi delle azioni di Royal Dutch e Shell avrebbero virato verso la convergenza. Dato che erano la stessa azienda, aveva senso; tuttavia la necessità di arginare le perdite costrinse LTCM a salvare la posizione con una perdita considerevole invece di aspettare che la coppia convergesse. Su Wikipedia leggiamo:
Long-Term Capital Management faceva affari con quasi tutte le persone importanti a Wall Street. Infatti gran parte del capitale di LTCM era composto da fondi degli stessi professionisti finanziari con cui commerciava. Mentre LTCM vacillava, Wall Street temeva che il suo fallimento potesse provocare una reazione a catena in numerosi mercati, causando perdite catastrofiche in tutto il sistema finanziario.
Considerata la potenziale reazione a catena nei confronti delle sue controparti, banche e broker, la FED arrivò in soccorso e organizzò un piano di salvataggio da $3,63 miliardi. La conclusione è che il sistema finanziario dispone di attori altamente indebitati, tra cui alcuni come LTCM, che presumibilmente hanno investimenti “infallibili” sui loro libri contabili. A rendere le cose ancora più fragili, ci sono le banche, gli intermediari e le altre istituzioni che prestano loro denaro soggetti a leva finanziaria. Il fallimento di una controparte colpisce quindi l’impresa in difficoltà e potenzialmente i suoi finanziatori; anche i finanziatori dei finanziatori originari sono quindi a rischio. L’intero sistema finanziario è una serie di tessere del domino allineate, a rischio se fallisce solo un’impresa di discrete dimensioni. La questione non è se i tassi d’interesse più alti causeranno una crisi, ma quando. Il potenziale per problemi come quelli visti con LTCM potrebbe facilmente innescare una situazione sistematica come nel 1998 a causa del forte indebitamento e dell’interdipendenza sistemica.
Come abbiamo visto nel corso della storia, la FED poi arriva a sostegno del sistema finanziario. L’unica domanda è quando e come, dato che nemmeno stavolta è diverso.
Let’s play “Hide the Bailout”, it’s my fav game because politics is all about misdirection. Everyone scrutinises every line of the Fed balance sheet, so they can’t hide them there anymore. Now they hide them on the FDIC’s balance sheet. pic.twitter.com/9hCLf8exS8
— Arthur Hayes (@CryptoHayes) November 1, 2023
Allora c’era ancora spazio di manovra per salvare gli “infettati” dal ciclo del credito, soprattutto perché le crisi provenivano sostanzialmente dall’estero a causa del mercato degli eurodollari, adesso questo spazio di manovra è sparito perché Powell ha emancipato la FED dal salvare tutti gli altri e scommette sulla consuetudine americana del fallimento e della resistenza dell’economia americana a differenza di quella europea. La domanda mondiale di dollari rimane elevata e l’indice del dollaro (DXY) è in aumento, perché gli squilibri monetari di altre nazioni sono più grandi di quelli degli Stati Uniti e questi ultimi mantengono ancora un flusso dei capitali libero e istituzioni indipendenti con elevata sicurezza per gli investitori.
LA FINE DI TUTTI I GIOCHI DELLE “TRE CARTE”: EROSIONE DEL TEMPO
Finora, in questo saggio, abbiamo osservato da un punto di vista analitico come dovrebbe agire un “buon economista”: partire da un’osservazione, studiarla, esporre una teoria (es. crisi del credito) e infine vedere se essa si evolve in base alle osservazioni successive. Ed è in quest’ultima fase del processo prasseologico che si inseriscono i dati empirici, utili per corroborare una tesi ma non per esserne il catalizzatore. Detto in parole povere, non si torturano i numeri affinché dicano ciò che si vuole essi dicano, ma si prendono i fatti per quelli che sono e si misurano le conseguenze. Un esempio eclatante a tal proposito è la narrativa ufficiale che negli ultimi due anni ha martellato l’opinione pubblica secondo cui le sanzioni occidentali alla Russia la stavano mandando in bancarotta, mentre invece la realtà ha dimostrato altro. La narrativa ufficiale si è adattata alla realtà? No, ha perorato invece la sua crociata torturando e mistificando i fenomeni empirici affinché si adattassero alla sua tesi fallimentare. In sintesi, ha agito secondo la fallacia dei cosiddetti costi irrecuperabili; il problema di questa via è che anch’essa soffre della Legge dei rendimenti decrescenti e alla fine le contraddizioni diventano così grandi da “cedere le armi”. Com’è possibile che sia così? Com’è possibile che una cosa talmente astratta e virtualmente estendibile all’infinito possa essere sottomessa dalla Legge dei rendimenti decrescenti? È semplice: si tratta sempre di azione umana e quindi subordinata a tutte le Leggi economiche che per deduzione logica derivano a cascata da essa.
Lo stesso ragionamento si applica alla presunta onniscenza, infallibilità e indispensabilità delle banche centrali, linea di pensiero perseguita pedissequamente nonostante le evidenze empiriche del contrario. Pendete ad esempio il fallimento colossale della Banca d’Inghilterra lo scorso autunno e le conseguenze un anno dopo: non esiste onta peggiore per le banche centrali di quella del Ministero del Tesoro costretto a salvarle. La credibilità delle banche centrali, ormai, è ridotta a una barzelletta… ma se questo tipo di salvataggio clownesco può in qualche modo essere operativamente perorato in tutte le giurisdizioni del mondo, in una invece è pressoché impossibile: Unione Europea. Da qui capite altresì l’accelerazione nella narrativa per una maggiore unione fiscale da parte delle autorità europee e per l’euro digitale dell’ultimo periodo.
1/ Non scordatevi, cari lettori, che dal punto di vista economico l’Europa è in guerra contro gli Stati Uniti. Non solo, ma anche nel campo dei servizi digitali (es. regolamentazione stringente social media) e in quello hardware (es. obbligatorietà USB Type-C dal 2024).
— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) October 30, 2023
Le banche centrali danno e la gente è felice; le banche centrali prendono e la gente sta male. Ma cos’è che danno e prendono realmente? Non stampano letteralmente “denaro” e quando “riducono il loro bilancio” non lo riprendono che non ha distribuito in primo luogo. Il denaro fiat è una controfigura, come il biglietto per un parcheggio coperto. Permette di rivendicare la ricchezza reale, ma le banche centrali non hanno macchine, case, elettrodomestici, ecc. Restando con l’esempio del parcheggio coperto, è come se ne fosse il gestore e stampasse biglietti per chiunque avesse intenzione di parcheggiare lì… solo che poi permettesse a chiunque di prendere le auto di chiunque altro. Come si poteva mai pensare che un simile stato di cose potesse mai funzionare?
Le banche centrali offrono credito fiat, non denaro reale: esso invece è un diritto sulla ricchezza reale, già esistente. Il credito fiat è una rivendicazione della ricchezza che può o meno nascere, e vi si attinge nel presente. Il povero mutuatario se ne va dal parcheggio con una Mercedes nuova, ma non è la sua macchina e prima o poi dovrà restituirla. Questa non è solo una questione teorica: una persona che spende tutti i suoi risparmi rimane al verde ed è un pericolo solo per sé stesso; ma colui che accende un prestito, e spende, e poi non può restituirlo, non è solo un pericolo per sé stesso ma anche per tutti gli altri. I debitori hanno i loro creditori e questi ultimi hanno anch’essi i loro creditori, oltre a fatture da pagare e ferie pianificate con mesi di anticipo; se poi si tratta di banche, allora la catena diventa ancora più fragile.
E a quanto pare le famiglie, in particolare quelle italiane, sono arrivate al fondo del barile e, come ho scritto nel mio ultimo pezzo in merito, il lavoratore medio guadagna meno all’ora rispetto al 1960. I beni di base sono più economici (in termini di ore di lavoro necessarie per acquistarli), ma i prodotti finiti – quelli che effettivamente acquista e quelli che dovrebbero beneficiare dei miglioramenti tecnologici – sono molto più costosi. E i tassi di crescita del PIL sono diminuiti, decennio dopo decennio, a partire proprio dagli anni ’60. Ci si aspettava tassi di crescita compresi tra il 2% e il 4%, senza contare che nel 1960 il PIL raggiunse picchi del 10%; ora è grasso che cola se il PIL cresce anche solo di qualche decimo di percentuale dopo la virgola. Negli ultimi 10 anni la crescita del PIL è stata in media solo dello 0% circa. I numeri, come già detto, sono sempre un po’ viscidi e sfuggenti, ma ai fini di questa riflessione sono impietosi: il 90% della popolazione è diventata più povera, non più ricca, nell’ultimo mezzo secolo; per non parlare poi dell’indebitamento delle stesse famiglie in rapporto al reddito. E ora è il momento di restituire quella Mercedes.
Tasso di crescita annuale del PIL italiano
Rapporto indebitamento/reddito delle famiglie italiane
Ciononostante potreste sentir dire: “La BCE ha vinto la lotta contro l’inflazione. Su base annuale c’è stato un calo fino all’1,8%, sotto i parametri obiettivo”.
Come al solito le statistiche si fanno grandi beffe degli sprovveduti e possono essere fregati. Per quanto i maggiori aumenti dell’inflazione dei prezzi possano essere avvenuti nei mesi passati e negli ultimi 2 anni in particolar modo, il fatto di spostare in avanti la finestra di paragone non cancella ciò che si è accumulato in passato. L’aumento dei prezzi incorporato nei vari settori dell’economia è in media di quasi il 20% in più rispetto al 2021 e in alcuni settori specifici, poi, è ancora più elevato. La tendenza è per una crescita continua, costante e monotona; “stop & go” potremmo definirla. Per quanto le fasi di “stop” possano essere applaudite come una vittoria da parte dei pianificatori monetari centrali, non sono affatto il risultato della stretta monetaria della BCE o del trimestre anti-inflazione del governo italiano (roba da far accapponare la pelle).
Indice dei prezzi al consumo in Italia
Altresì i salari e gli utili non hanno tenuto il passo con l’accelerazione dell’inflazione dei prezzi, dato che la liquidità ex-novo è finita maggiormente nei mercati delle commodty (materie energetiche in primis). Di conseguenza gli scenari che si prospettano sono due. Una profonda crisi economica che possa ribilanciare lo squilibrio tra salari e prezzi, una depressione pari a quella degli anni ’30 (se non peggiore) in modo da risolvere questa situazione che nel lungo periodo è insostenibile. Oppure fare ammenda per aver tagliato i ponti con la Russia e sperare che quest’ultima torni a vendere energia a basso costo. Il tutto senza far incazzare i Paesi OPEC, adesso, con il conflitto tra israeliani e palestinesi. Gli Stati Uniti, in questo contesto, sono quelli che ancora stanno messi bene, è l’Europa a essere in un cul-de-sac.
CONCLUSIONE
Siamo ancora in un periodo di transizione: dai mercati rialzisti del periodo 1980-2020 stiamo ora entrando in mercati ribassisti. Le obbligazioni sovrane hanno raggiunto il picco nel 2020, ora sono in una fase discendente; le azioni hanno raggiunto il loro picco nel 2021 e da allora sono scese, ma non più di tanto alla fin fine. Risaliranno? Continueranno a scendere? In questo periodo di transizione è impossibile saperlo. I prezzi reagiscono ai fatti e alle finzioni. I tassi d’interesse sono più alti, il che significa che il valore del capitale dovrebbe essere più basso, ma un’intera generazione è cresciuta quando i tassi d’interesse scendevano e i prezzi delle azioni e delle obbligazioni salivano. Hanno imparato a “comprare a ogni minimo” dei mercati e non molto altro. Cosa devono fare adesso? La confusione regna sovrana.
In primo luogo, anche se il cambio di rotta delle azioni è iniziato quasi 2 anni fa, sono ancora molto costose. Esiste una relazione tra reddito e prezzi del capitale. Un proprietario accorto, ad esempio, può spendere 8-10 volte l’affitto per acquistare un condominio; allo stesso modo la relazione tra il mercato azionario e il PIL costituisce quello che è diventato noto come “Indicatore Buffett”. Warren Buffett stima che le azioni dovrebbero valere circa l’80% del PIL e usa questa misura per sapere quando il mercato azionario è sopravvalutato o sottovalutato. Oggi quel rapporto va oltre il 160%, più del doppio della norma storica, e non è un caso che Buffett stesso si sia posizionato sulla casella “sell”.
Man mano che il cosiddetto Trend primario si sviluppa, e man mano che sempre più risorse reali vengono sottratte all’economia reale, mi aspetto che i tassi d’interesse reali salgano, i prezzi al consumo aumentino, la corruzione e il caos politico aumentino e i prezzi degli asset finanziari scendano. Questa non è una previsione per la prossima settimana, o il prossimo mese, ma è ciò che vedo arrivare per gli anni a venire. Certo, anche gli USA rischiano grosso a
causa dei loro problemi finanziari interni, ma Powell e la fazione di
cui fa parte puntano tutto sul fatto che quella di oggi sarà una crisi diversa dalle altre.
Supporta Francesco Simoncelli’s Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
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