Fermata #152 – Attacco politico al mining

Da quando la Cina ha vietato il mining di bitcoin sul proprio territorio nel 2021, gli Stati Uniti sono diventati il primo Paese al mondo per hash rate. L’industria del mining è cresciuta significativamente in terra americana, in particolare nelle aree in cui la produzione energetica è molto vasta, come il Texas. Era prevedibile, dunque, che prima o poi il governo volesse capire come stessero le cose.

Da lunedì 5 febbraio l’Energy Information Administration (Eia) – l’agenzia statistica del Dipartimento dell’Energia – avvierà una raccolta dati sul consumo di elettricità da parte di società di mining che operano negli Stati Uniti. La ricerca durerà sei mesi.

Fin qui, nulla di strano. Se non fosse che l’Eia ha etichettato l’attività come emergenziale”. Nel comunicato in cui l’agenzia stessa annuncia l’avvio dell’indagine, si legge:

L’Office of Management and Budget (Omb) ha autorizzato il sondaggio il 26 gennaio 2024, come richiesta di raccolta dati di emergenza.

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Premesse sbagliate

Tra i primi a commentare la notizia è stato Pierre Rochard, vice presidente della ricerca di Riot Platforms, una delle più grandi società di mining degli Stati Uniti. Rochard ha scritto su Twitter che “Biden ha dichiarato l’emergenza federale perché Bitcoin sta vincendo”.

Al di là della lettura politica, consultando il documento originale parrebbe proprio che uno dei problemi che ha portato all’iniziativa di carattere emergenziale sia il successo di Bitcoin.

L’Office of Management and Budget scrive:

Il prezzo di bitcoin è cresciuto di circa il 50% negli ultimi tre mesi e prezzi più alti incentivano l’attività di mining, che a sua volta si traduce in un aumento del consumo di elettricità. Al momento gran parte degli Stati Uniti centrali è nella morsa di un’ondata di freddo che ha portato a un’elevata domanda di elettricità. Gli effetti combinati dell’aumento del mining e dello stress dei sistemi elettrici creano una maggiore incertezza nei mercati dell’energia elettrica. […] Data la natura emergente e in rapida evoluzione di questo problema e poiché non possiamo valutare quantitativamente la probabilità di un danno pubblico, l’Eia avverte un senso di urgenza nel raccogliere dati credibili che possano fornire informazioni.

Se l’idea di un governo che vuole raccogliere informazioni per capire meglio come funzioni una determinata industria poteva inizialmente essere accolta quasi di buon grado, queste poche righe ribaltano completamente le premesse.

I punti che accendono un campanello d’allarme sulla buona fede della futura ricerca statistica sono due:

L’accostamento tra la domanda di energia elettrica proveniente dal mining e quella dovuta all’ondata di freddo;

L’espressione danno pubblico in merito alle possibile conseguenze del mining.

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Curiosità o pretesto politico?

La premessa che il mining contribuisca allo stress della rete elettrica durante periodi di alta domanda è del tutto fuori fuoco. Per quanto contro intuitivo, è già stato ampiamente spiegato dagli stessi gestori delle reti che il mining sia invece uno stabilizzatore e riduca il rischio di blackout nei momenti di maggior richiesta.

Brad Jones, ex presidente e Ceo della rete elettrica texana Ercot, venuto a mancare lo scorso novembre, ha firmato un paper intitolato “Sfruttare i miner di bitcoin come risorse di carico flessibile per la stabilità e l’efficienza del sistema elettrico”. Il documento, pubblicato proprio a novembre 2023, recita quanto segue:

A differenza delle risorse di generazione elettrica tradizionali – che devono essere incrementate e ridotte o gestite in modo inefficiente – le risorse di carico flessibili possono modulare direttamente la domanda. […] I miner di bitcoin offrono tempi di risposta più rapidi rispetto a forme di generazione equivalenti e possono regolare il loro consumo di energia, migliorando sia la configurabilità che la reattività.

I miner contribuiscono alla stabilizzazione della rete attraverso la modulazione della domanda, non alterando la distribuzione dell’offerta. Ad esempio, sia la riduzione del carico di 1MW che l’aumento della domanda di 1 MW hanno un effetto simile sulla fornitura di energia. Tuttavia, l’aumento di 1 MW comporta in genere anche un aumento delle emissioni derivanti dallo sfruttamento di combustibili fossili (perché efficienti e immediatamente disponibili, nda). Al contrario, la riduzione di 1MW di carico non aumenta le emissioni, in quanto non viene caricata sulla rete energia aggiuntiva.

Ciò che il paper spiega con dati raccolti accuratamente – non in modo emergenziale – è che il mining di bitcoin permette di investire nel sovra-dimensionamento della produzione energetica proveniente da fonti rinnovabili. Di fatto, l’altalenante offerta di energia elettrica derivante dalle rinnovabili è accolta volentieri dalla domanda dei miner, che la utilizzano per guadagnare bitcoin. Quando la domanda energetica di industrie e abitazioni cresce – per esempio, a causa crisi metereologiche – i miner possono modulare al ribasso il proprio fabbisogno, rilasciando al resto della rete l’energia in eccesso che normalmente non viene richiesta e riducendo così il rischio di black-out. Naturalmente, per questo servizio i miner vengono ricompensati economicamente dai gestori della rete stessa.

Quest’ultimo non è un esercizio di pensiero di chi vi scrive, ma un vero e proprio accordo industriale in vigore da anni tra la rete Ercot e i miner texani che prende il nome di Demand Response e che questa newsletter ha già spiegato nella fermata #91.

Il grafico mostra come i cosiddetti Large Flexible Loads – i grandi carichi flessibili, cioè gli utenti caratterizzati da un’alta domanda energetica ma facilmente modulabile, come i miner – abbiano reagito a dicembre 2022 all’aumento dei prezzi energetici dovuti alla tempesta invernale Elliot. Per ben due volte nel giro di 24 ore la domanda dei LFL (linea azzurra) si è quasi del tutto annullata, facendo tornare nella norma il prezzo dell’energia elettrica (linea rossa) che era schizzato per via dell’aumento della domanda dovuto alla tempesta.

I dati relativi al rapporto tra mining e picco di domanda energetica in momenti di emergenza, quindi, esistono già e sono stati raccolti da chi le reti le gestisce. Scrivere nero su bianco che “gli effetti combinati dell’aumento del mining e dello stress dei sistemi elettrici creano una maggiore incertezza nei mercati dell’energia”, è semplicemente una menzogna.

A trarre le stesse conclusioni dello studio sopracitato è anche un altro paper, pubblicato a giugno 2023, che analizza sempre l’attività di mining in Texas. Il report, firmato tra gli altri da rappresentanti dell’Electric Reliability Council of Texas e del Dipartimento di Ingegneria Elettrica dell’Università del Texas, ha stabilito quanto segue:

La flessibilità del mining può mitigare notevolmente le potenziali perturbazioni del mercato. […] Inoltre, la nostra analisi dimostra che trattare il mining come una domanda completamente flessibile non ha un impatto negativo sull’affidabilità della rete, anche quando è presente in grandi quantità in luoghi specifici.

Sostenere che il mining possa generare “incertezza nei mercati dell’energia” o possa persino comportare un “danno pubblico” è davvero impossibile davanti a certi dati. Il tenore delle parole usate per la richiesta emergenziale di raccolta dati da parte dell’Energy Information Administration e per la sua approvazione da parte dell’Office of Management and Budget non fanno pensare a nulla di buono. Le informazioni sono già a disposizione e sono state raccolte e analizzate in uno degli Stati americani maggiormente esposti al mining.

Non c’è nulla di male nel voler ottenere nuove informazioni – dopotutto questa industria è in continua evoluzione – ma tutto fa pensare più a un attacco politico che a una sana curiosità. La verità verrà fuori solamente al termine dei sei mesi di ricerca.

L’augurio è che lo scetticismo espresso in questo articolo possa venire drasticamente smentito.

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