Il primo e ultimo atto di coraggio del nuovo presidente della Camera Johnson

I lettori stagionati del mio blog conoscono il mio punto di vista a riguardo e la linea editoriale che perseguo: gli Stati Uniti sono attualmente l’unica nazione in grado di ergersi contro l’agenda della cricca di Davos; in particolar modo la Federal Reserve e il manipolo di player alle spalle di Powell. Strani tempi per strani compagni di letto. Se questa gente non si fosse opposta alla scalata ostile della cricca di Davos ai danni degli USA, oggi già saremmo più instradati verso una società in cui il comando/controllo sarebbe molto più capillare. Ciononostante la FED deve combattere su due fronti: esterno (contro l’UE) e interno (contro l’amministrazione Biden infiltrata da agenti ostili). È in questo modo che si può leggere con coerenza la spesa sfrenata da parte del Ministero del Tesoro e l’avallo di progetti infrastrutturali/sociali con il preciso scopo di seppellire la nazione sotto un macigno fiscale talmente pesante da incapacitare la FED dal portare avanti la sua resistenza. Per il momento quest’ultima sta avendo la meglio, dato che nell’attuale “race to the bottom” si contendono il primato Europa e Giappone. Malgrado ciò, come si nota dall’articolo di oggi, gli elementi ostili all’interno degli Stati Uniti stanno lavorando alacremente per trascinare la nazione nel baratro fiscale. La contrazione monetaria infatti riguarda il mercato estero, ovvero quello regolato dagli eurodollari, mentre invece a livello interno la liquidità è puntellata tramite il BTFP. L’obiettivo della Yellen & Co. non è solo quello di mandare al macero i conti della nazione, ma di tenere riforniti i player della sua cricca con quegli asset che più sono desiderati al mondo: dollari e obbligazioni denominate in dollari. Servono, in questo momento, soprattutto alla Cina e al Sud-est asiatico per puntellare le loro economie che iniziano a fratturarsi sotto i colpi inferti dalla recessione (ovviamente non dichiarata ufficialmente). Non è un caso che la Cina, infatti, sia tornata a stampare per sostenere il cambio CNY/USD che non solo soffre sui mercati dei cambi, ma anche in quelli dei capitali finanziari/commerciali. Di conseguenza vendere le proprie riserve di dollari e titoli denominati in dollari per coprire gli squilibri dei suoi Paesi satellite è vitale per non finire sotto i riflettori, soprattutto in un momento in cui l’alleanza BRICS così solida non è. In conclusione, sì gli USA hanno anch’essi i loro problemi economici, ma quelli di Europa, Giappone e Cina sono di gran lunga superiori in un momento storico che per quanto possa vituperare i dollari, essi rimangono pur sempre la valuta preferita nel commercio mondiale e un asset strategico per l’influenza geopolitica.

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di David Stockman

È un bene che sia stato eletto un “vero” leader repubblicano alla Camera. Come sua prima azione ha mantenuto il governo federale aperto e… perbacco! Lo ha fatto con un’enorme maggioranza di democratici!

Proprio così. Tra i 336 voti a favore della risoluzione 209 (“nessun taglio”) di Johnson, il 62% erano democratici; invece tra i 95 voti contrari, il 98% erano repubblicani. Suppongo che i due democratici che hanno votato “No” erano daltonici.

In ogni caso, nel 2013 il debito pubblico ammontava a $16.400 miliardi e ci sono voluti 226 anni per arrivarci. Ora, in un solo decennio, quella cifra è raddoppiata arrivando a $33.200 miliardi e siamo appena all’inizio. Considerati i deficit intrinseci e un’altra recessione attesa per il prossimo anno o due, raggiungeremo la soglia dei $50.000 miliardi ben prima della fine dell’attuale decennio.

Per dirla in modo più chiaro, ricordiamo bene l’angoscia che colpì la Casa Bianca di Reagan all’inizio del 1981 quando si rese necessario aumentare il tetto del debito oltre i mille miliardi di dollari e finanziare l’inchiostro rosso ereditato da Jimmy Carter. I credenti nella vecchia religione repubblicana del pareggio di bilancio erano ormai estinti.

Il debito pubblico è passato da $1.000 miliardi a quelli che saranno $50.000 miliardi in appena cinquant’anni. Eppure il partito repubblicano di oggi non riesce nemmeno a eleggere un Presidente alla Camera che prenda posizione anche per il più blando gesto di restrizione fiscale.

A dire il vero, sia Jimmy Carter che Ronald Reagan promisero di pareggiare il bilancio federale entro la fine del loro primo mandato. Entrambi finirono per essere inondati d’inchiostro rosso, ma per quanto riguarda la documentazione storica entrambi s’impegnarono, almeno a parole, a sostenere la responsabilità fiscale.

I partiti di Carter e Reagan sono stati soppiantati dall’Unipartito, dominato da carrieristi e domiciliato sulle rive del Potomac. Questi ultimi non tentano nemmeno più di contenere il debito e tanto meno di pareggiare il bilancio, infatti secondo i miei calcoli negli ultimi dieci anni abbiamo avuto quattro presidenti repubblicani consecutivi che hanno scelto più e più volte di tenere accese le luci al Pentagono, all’HSS, al Dipartimento dell’Istruzione e anche al Monumento a Washington, ogni volta che i nodi sono arrivati al pettine.

L’ultima lettura sull’inflazione di ottobre afferma che l’IPC 16% trimmed mean si è attestato al +4,11% su base annua, anche se il decennale statunitense ha un rendimento del 4,45%. In altre parole, si sta visibilmente scatenando l’Armageddon fiscale e nonostante ciò vengono comprati suddetti titoli con un rendimento reale di soli 34 punti base!

E non è nemmeno la metà della storia. Le barre blu (rendimento decennale statunitense), che si attestano leggermente al di sopra del tasso d’inflazione corrente (barre rosse) nei mesi di settembre e ottobre 2023 nel grafico qui sotto, rappresentano la prima volta negli ultimi cinque anni che il rendimento reale sull’obbligazione di riferimento era sopra lo zero.

Inutile dire che non è possibile che ciò sia lontanamente sostenibile a meno che la FED non rimetta in moto la stampante monetaria al più presto, ma, ahimè, neanche questo è possibile. Finché il tasso d’inflazione corrente rimane nella zona del 4% +/-, anche il politburo keynesiano presso l’Eccles Building non inizierà ad acquistare obbligazioni; anzi, potrebbe rimanere riluttante anche solo a smettere di ridurre il proprio bilancio al ritmo di $95 miliardi al mese.

Quindi, sì, il Presidente Johnson ha ora dimostrato di avere le carte in regola per diventare un altro capitolatore alla stregua di Boehner/Ryan/McCarthy, soprattutto perché le lodi degli editori del New York Times e del Washington Post per aver fatto la cosa “giusta” sono un chiaro indicatore in tal senso. Ciononostante l’orologio fiscale sta per esaurire il tempo.

Tasso d’inflazione IPC rispetto al decennale statunitense

Oltre al fatto che la stampante monetaria della FED è ora in una modalità “inattiva”, c’è un’altra brutta svolta negli eventi che si profila all’orizzonte: un’enorme quantità di debito federale sta ora maturando e dovrà essere sostituito da obbligazioni con rendimenti molto più elevati. E questo solo per raggiungere l’attuale livello di debito a $33.200 miliardi, per non parlare dei $2-3.000 miliardi all’anno di nuovo inchiostro rosso già inserito nella torta fiscale.

Come mostrato nel grafico seguente, attualmente $8.200 miliardi di debito federale dovranno essere rifinanziati nei prossimi 12 mesi e da allora in poi tale cifra continuerà ad aumentare. Inoltre la semplice matematica di questo massiccio rinnovamento imminente è letteralmente sconcertante: appena 19 mesi fa il rendimento medio ponderato sul debito pubblico totale era  dell’1,80%, ma la media ponderata attuale si è attesta oggi al 4,80%.

Ciò significa quindi che un singolo round di rifinanziamento sul debito pubblico attualmente in circolazione aggiungerà l’incredibile cifra di $1.000 miliardi alla spesa annuale per interessi.

A scanso di equivoci, ecco l’attuale traiettoria della spesa annuale per interessi sul debito pubblico: è già raddoppiata da $500 miliardi a quasi $1.000 miliardi all’anno solo negli ultimi 36 mesi. E ora, mentre lo tsunami del debito da rifinanziare e delle nuove emissioni di obbligazioni sovrane si riversa nei mercati, è probabile che la linea del grafico qui sotto diventi ancora più parabolica di quanto non sia già.

È anche possibile che gli investitori si rendano conto del debito galoppante della nazione e del fatto che il partito repubblicano ha nominato l’ennesimo presidente della Camera che non ha il coraggio di lasciare che le luci si spengano attorno alla Città Imperiale. Quando finalmente i bond vigilantes risorgeranno, sarà il momento di chiudere le porte della Città Imperiale.

Il fatto è che il debito pubblico sarà prossimo ai $40.000 miliardi prima che il prossimo presidente faccia il suo primo viaggio a Camp David. Aggiungete 200 punti base ai rendimenti medi di mercato odierni e tenete conto del massiccio rifinanziamento del debito pubblico esistente – la maggior parte del quale è stato stupidamente finanziato durante i baccanali fiscali degli ultimi 3 anni – e avrete una spesa annuale per interessi di $2.500 miliardi.

Molto tempo fa si era soliti ripetere che “quando le tue uscite superano le entrate, le tue spese di mantenimento finiranno per diventare la tua rovina”.

Sicuramente avevano ragione.

Tasso annuo della spesa per interessi sul debito pubblico, dal 2000 al 2023

Un giorno gli storici si chiederanno come mai la linea rossa di cui sopra sia salita così in alto, facendo crollare il sistema fiscale della nazione; in realtà non dovrebbero esserci misteri.

La FED ha reso possibile tutto ciò. Anche se il debito pubblico (linea viola) stava salendo dal 55% del PIL all’inizio del secolo al 120% alla fine del 2020, il costo per gli interessi (linea gialla) stava diminuendo di un terzo, dal 3,5% del PIL ad appena il 2,5%.

Quando la FED è stata finalmente costretta a fermare la sua ondata di acquisti di obbligazioni, la legge della domanda e dell’offerta è tornata in vita nei mercati obbligazionari.

Debito pubblico in percentuale del PIL rispetto alla spesa per interessi in percentuale del PIL, dal 2000 al 2020

Gli storici, un domani, probabilmente noteranno anche un ulteriore colpevole che ha reso tutto ciò possibile: il partito repubblicano è stato soverchiato dai guerrafondai neoconservatori più interessati a mantenere le luci accese e alimentare i gruppi d’interesse e i PAC che li hanno eletti piuttosto che a mantenere la nazione solvibile.

Di conseguenza durante gli anni del governo monopartitico c’è sempre stato un repubblicano alla Casa Bianca, o in una o entrambe le camere del Congresso, e ciò significa che, per quanto riguarda gli stanziamenti annuali, il partito repubblicano aveva il potere di blocco attraverso il veto presidenziale o in una delle camere.

Cos’è successo invece?

Nel caso del bilancio per la sicurezza nazionale, che comprende difesa, operazioni internazionali e veterani, la spesa è aumentata di $380 miliardi, ovvero del 52%, tra l’anno fiscale 2016 e l’anno fiscale 2023, essendo quest’ultimo il livello che il presidente Johnson manterrebbe in vigore. Ma questo valore è stato superato da un aumento ancora maggiore, pari al 64%, negli stanziamenti nazionali.

Stanziamenti per la sicurezza nazionale: 

• Anno fiscale 2016: $733 miliardi

• Anno fiscale 2023: $1.112 miliardi

• Incremento: +$379 miliardi

• Incremento %: +52%

Stanziamenti interni: 

• Anno fiscale 2016: $434 miliardi

• Anno fiscale 2023: $711 miliardi

• Incremento: +$279 miliardi

• Incremento %: +64%

Ecco qua: per assicurarsi i mezzi per finanziare l’impero di Washington all’estero, il partito repubblicano ha ceduto anche le sue riserve sugli stanziamenti interni.

Non c’è da meravigliarsi, quindi, se il presidente Johnson abbia già gettato la spugna. Si è abituato al governo dell’Unipartito ancor prima di trovare il bagno nell’ufficio del presidente della Camera.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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