La garanzia collaterale dietro tutti i giochi monetari: Main Street

 

 

di David Stockman

Anche se si attribuisce molta importanza al PIL prodotto dallo stato a causa della spesa sconsiderata e dei deficit, sarebbe saggio stare attenti a ciò che si sta applaudendo. Infatti parte delle enormi quantità di PIL prodotto dal governo federale, derivanti da $6.500 miliardi in spesa pubblica durante i 12 mesi successivi al marzo 2020, sono state temporaneamente collocate in celle frigorifere presso i conti bancari delle famiglie; da allora si sono lentamente riversate nel flusso di spesa al consumo, rafforzando così la domanda derivante dalla produzione e dagli utili del periodo attuale.

Riteniamo che una buona misura di questo “stimolo ritardato” sia stata catturata dalla relazione tra i conti di spesa dei consumatori – depositi e valuta – e il reddito nazionale. Tale rapporto era variato tra il 4,0% e il 6,5% durante i due decenni precedenti al primo trimestre del 2020, ma è decollato a razzo come raffigurato nel grafico qui sotto.

Nel terzo trimestre del 2019 questi saldi di cassa spendibili ammontavano a $938 miliardi e rappresentavano circa il 4,3% del PIL. Al culmine dello tsunami di stimoli fiscali nel terzo trimestre del 2022, tali cifre erano salite rispettivamente a $4.800 miliardi e 18,5% del PIL. Le famiglie hanno detto che, tassi d’interessi in salita o meno, rimangono sedute su un cuscinetto di liquidità da $4.000 miliardi. Intendono quindi continuare a spendere il consueto 96% di quanto guadagnano attualmente.

Depositi e valuta in possesso delle famiglie in percentuale del PIL, dal 2000 al 2024

Inutile dire che questa enorme quantità di denaro delle famiglie non è arrivata sulla scia di un’improvvisa voglia di risparmiare da parte dei consumatori americani; è stata figurativamente lanciata dagli elicotteri di Washington sotto forma di tre progetti di legge approvati tra marzo 2020 e marzo 2021, che complessivamente hanno inondato di $6.500 miliardi l’economia statunitense.

Inoltre la maggior parte di questo ammontare non derivava da un onesto finanziamento in deficit nei mercati obbligazionari, che, a sua volta, avrebbe ridotto (“crowding out”) la spesa per investimenti delle imprese in immobilizzazioni o capitale circolante. Invece durante suddetto periodo la FED ha stampato circa $5.200 miliardi dal nulla, pari all’80% della spesa federale.

In questo contesto i numeri degli assegni sociali emessi dal Dipartimento del Commercio non lasciano nulla all’immaginazione: come mostra il grafico qui sotto, prima della crisi sanitaria il tasso annuo di spesa per gli assegni sociali era di circa $3.100 miliardi e nel febbraio 2020 ammontava a un non trascurabile 22,1% delle spese per consumi personali (PCE).

E poi l’ondata di stimoli fiscali ha travolto l’economia americana come uno tsunami. Nell’aprile 2020, dopo che il CARES Act, il tasso di pagamento degli assegni sociali è raddoppiato arrivando a $6.300 miliardi. Dopo il terzo stimolo con l’American Rescue Act di Biden, la crescita è ulteriormente aumentata fino ad arrivare a $8.100 miliardi nel marzo 2021.

Arrivati a quel punto gli assegni sociali ammontavano a uno sbalorditivo 52% dei $15.700 miliardi della PCE della nazione. In una parola, Washington è caduta nella follia fiscale più assoluta.

Questa conclusione è particolarmente giustificata perché la maggior parte del flusso di denaro in stimoli si è aggiunta alla spesa basata sul reddito. Infatti il reddito personale meno gli assegni sociali (cioè il reddito da lavoro) aveva fatto registrare un tasso annuo di $15.770 miliardi nel febbraio 2020 ed era aumentato – nonostante lockdown e licenziamenti – a $16.350 miliardi, o di quasi il 4%, a marzo 2021.

In breve, le famiglie sono state inondate da così tanta liquidità derivante dalla combinazione di produzione normale e reddito più stimoli fiscali che non potevano spenderla tutta. E questo proprio mentre si rifornivano di merci da Amazon, dato che i loro normali luoghi di spesa nel settore dei servizi (es. ristoranti, bar, cinema, palestre, centri commerciali, ecc.) erano bloccati per ordine del governo federale.

Ahimè, il denaro extra è finito nei sopraccitati $4.000 miliardi di “celle frigorifere”, dove pendono come una spada di Damocle economica sugli sforzi della FED per ridurre l’inflazione scatenata da Washington.

Tasso annuo degli assegni sociali, da gennaio 2019 a marzo 2021

Inutile dire che tutto ciò è totalmente aberrante e insostenibile a lungo termine. Suddetti $4.000 miliardi di liquidità in eccesso delle famiglie, quindi, viene lentamente smaltita e nel terzo trimestre del 2023 era già di $561 miliardi, ovvero il 12%, al di sotto del livello massimo dell’anno precedente.

Inoltre qui non stiamo parlando solo di mezzi di spesa ritirati dalle “celle frigorifere”, ma anche della psicologia del consumatore che ne consegue. In una parola, è probabile che tutta questa insolita liquidità abbia reso i consumatori molto meno cauti di quanto lo sarebbero normalmente stati durante un ciclo di rialzo dei tassi, quando i costi del servizio del debito aumentano e c’è nell’aria il timore di un aumento della disoccupazione e delle perdite del reddito.

Ma man mano che questa liquidità viene spesa, è probabile che la spinta psicologica per i consumatori diminuisca costantemente e probabilmente in proporzione maggiore rispetto alla semplice riduzione dei saldi in dollari. Allo stesso tempo è probabile che l’attuale tasso di risparmio basso venga spinto al rialzo man mano che ritorna la cautela nell’economia di Main Street. Infatti la follia di $6,.500 miliardi in stimoli fiscali che si sono riversati nell’economia nel periodo compreso tra marzo 2020 e marzo 2021 ha letteralmente distrutto i normali flussi e modelli economici.

Pertanto, nel dicembre 2019, il tasso di risparmio pre-crisi sanitaria (linea nera) era del 6,4% e rappresentava $1.051 miliardi di risparmi annui. Ma nell’aprile 2020 il CARES Act da $2.300 miliardi ha letteralmente spento le luci della macroeconomia.

Il tasso di risparmio è salito a un ritmo mai raggiunto prima: 32,9%, il che equivale a un flusso di risparmio di poco meno di $6.000 miliardi su base annua. E quando è arrivato lo stimolo del marzo 2021, si è verificata ancora una volta la stessa aberrazione.

Inutile dire che è da lì che ha avuto origine tutto il denaro extra conservato nelle “celle frigorifere”. Gli sciocchi di Washington hanno pompato talmente tanti stimoli fiscali in un’economia semi-chiusa che non aveva nessun posto dove andare se non nei depositi bancari.

A un certo punto è probabile che si verifichi una grande inversione di tendenza: il cubetto di ghiaccio del risparmio in eccesso si scioglierà non appena uscirà dalle celle frigorifere, causando l’esaurimento della riserva di liquidità da $4.000 miliardi delle famiglie e il desiderio di un ritorno dei saldi cautelativi nelle finanze dei consumatori. Di conseguenza il tasso di risparmio minimo del 3,7% nel dicembre 2023 potrebbe facilmente tornare alla media del 6,4% visto tra il 2017 e il 2019.

In termini di dollari ciò toglierebbe $500 miliardi dal flusso PCE, anche se i supplementi di spesa provenienti dai saldi di cassa delle famiglie saranno diminuiti drasticamente.

Ci piacerebbe credere che ciò accadrà entro ottobre di quest’anno. I burattinai che gestiscono Joe Biden meritano la punizione economica implicita nel loro sciocco vantarsi delle virtù di Bidenomics. E prima accadrà, meglio sarà per tutti.

Tasso di risparmio delle famiglie statunitensi e livello di risparmio, dal 2017 al 2023

Non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che l’Unipartito abbia lasciato a bocca asciutta le famiglie americane Negli ultimi cinque anni gli utili settimanali aggiustati all’inflazione sono scesi a un ritmo annuo dello 0,4%.

La politica pro-inflazione della FED le si è ritorta contro: invece di funzionare come stimolo alla crescita ha finito per divorare quasi tutti i modesti guadagni salariali nominali realizzati dai lavoratori nel settore privato in America.

Indice dei guadagni medi settimanali aggiustati all’inflazione, da gennaio 2019 a gennaio 2024

Inutile dire che in passato le cose non andavano così. Infatti il reddito familiare medio reale crebbe a un robusto 3,54% annuo tra il 1954 e il 1969. Ma poco dopo, nell’agosto 1971, alla FED vennero rimosse le cosiddette “manette dell’oro” e s’iniziò a deragliare dal punto di vista inflazionistico.

Nel corso dei successivi 53 anni i redditi familiari sono a malapena riusciti a vincere la corsa contro le ondate d’inflazione generate dalla banca centrale nazionale. Il reddito familiare medio reale è aumentato solo dello 0,74% annuo tra il 1969 e il 2022, ovvero solo del 21% rispetto alla media del periodo 1954-1969.

Proprio così. La crescita mediana del reddito familiare in termini aggiustati all’inflazione ha decelerato di quattro quinti sin dal 1969. Quindi la domanda è: il passaggio della rettitudine fiscale e monetaria ai deficit keynesiani e alla stampa di denaro ha stimolato la crescita del tenore di vita e del reddito reale di Main Street?

Sicuramente no.

Reddito familiare medio reale, dal 1954 al 1969

A dire il vero non crediamo che la FED stia intenzionalmente cercando di prendere a martellate la classe media. La spiegazione è in realtà più sinistra: dopo l’arrivo di Alan Greenspan alla FED, essa è diventata sempre più prigioniera degli speculatori di Wall Street.

Il braccio politico della FED, il FOMC, non solo è situato in Liberty Street, ai piedi del distretto finanziario, ma dipende totalmente dai trader di Wall Street nella trasmissione della politica monetaria all’intera nazione; il tasso di riferimento della FED è la leva finanziaria dalla quale essa invia segnali di prezzo ai mercati monetario e obbligazionario e da lì alle azioni, al settore immobiliare e ad altri asset finanziari, che, a loro volta, dovrebbero far lievitare il tasso d’investimenti e crescita reale di Main Street.

Tuttavia non è mai stato previsto che funzionasse in questo modo. Il progetto originale della Federal Reserve, elaborato da Carter Glass nel 1913, operava attraverso il sistema bancario principale, non attraverso i mercati finanziari e monetari di Wall Street. Il suo meccanismo di trasmissione della politica monetaria era rappresentato dalle finestre di sconto delle 12 banche Federal Reserve regionali.

Ma in questa modalità il meccanismo politico era essenzialmente passivo. Non è stata progettata per guidare la macroeconomia, perché il deputato Glass e i suoi colleghi di quell’epoca capivano pienamente che il capitalismo del libero mercato che operava con il gold standard era pienamente in grado di generare la massima crescita, prosperità e ricchezza.

Di conseguenza non vi era alcuna sciocca convinzione, come oggi, che il capitalismo fosse sempre sul punto di precipitare in un  buco nero di recessione o depressione, o che fosse intrinsecamente incapace di raggiungere il suo PIL “potenziale”. Non c’era bisogno, quindi, che un braccio dello stato aggiustasse capillarmente i livelli di occupazione, la crescita reale, gli investimenti di capitale, la costruzione di nuove case, o i tassi d’inflazione. Tutto ciò era inteso come competenza degli uomini liberi in liberi mercati, interagendo attraverso una forma di denaro sana/onesta (l’oro).

Il mandato della FED era molto più modesto e ristretto: fu progettato per mantenere liquido il sistema bancario commerciale durante i periodi di stress stagionale o finanziario, pronto a scontare titoli commerciali a un tasso d’interesse penalizzante, che, a sua volta, fluttuava al di sopra del normale tasso di mercato.

Di conseguenza la FED recepiva i tassi, non li impostava; era un lubrificatore del mercato dei prestiti commerciali, non il finanziatore del debito pubblico; e, soprattutto, era a favore del mercato, non di un politburo monetario.

Ciò faceva tutta la differenza di questo mondo: la FED di allora non aveva bisogno di essere chiaroveggente riguardo al futuro economico, poiché quest’ultimo è impossibile da sapere con certezza. Pertanto non aveva alcun pregiudizio rispetto al fatto che i tassi d’interesse di mercato fossero bassi, alti o intermedi in un dato momento del ciclo economico, né si preoccupava dei mercati dei capitali a Wall Street e del livello dei prezzi delle azioni e delle obbligazioni.

Al contrario, l’attività di base di Wall Street è la speculazione sugli asset finanziari, mentre la distribuzione di nuove emissioni di azioni e obbligazioni hanno uno status decisamente secondario in termini di livelli di attività e redditività. Di conseguenza gli speculatori sono intrinsecamente e irrimediabilmente sbilanciati verso tassi d’interesse bassi, sempre più bassi.

Questo perché la speculazione in tutte le sue forme si basa in ultima analisi sui carry trade: uno spread positivo tra il costo del mantenimento di un asset e i rendimenti guadagnati su di esso. E questo include, soprattutto, non solo le cosiddette azioni e obbligazioni del mercato “cash”, ma ogni forma di futures e derivati ​​su opzioni, il cui prezzo è in parte basato sul costo implicito del denaro nel corso della loro durata.

Oltre a ciò, la curva dei rendimenti ancorata al mercato monetario imposta anche il tasso di capitalizzazione o il multiplo di valutazione per gli asset a più lunga durata. Gli speculatori vogliono che il costo del denaro scenda poiché ciò riduce il costo di finanziamento delle loro operazioni sul lato delle passività, anche se fa sì che il mercato aumenti il ​​multiplo di valutazione dei loro asset.

L’errore più grande della politica economica statale, quindi, è quello di permettere che la banca centrale diventi ostaggio degli speculatori di Wall Street. Essi spingeranno sempre e comunque i banchieri centrali a impostare tassi più bassi per un periodo più lungo, o anche meno alti per meno tempo, ogni volta che l’esplosione dell’inflazione li costringerà a spingere i cosiddetti freni monetari.

A tal proposito ci basta prendere in considerazione un rapporto cruciale durante l’era Greenspan e la successiva dottrina del cosiddetto “effetti ricchezza”, che rappresenta solo una storia di copertura per la stampa di denaro. In altre parole, i prezzi degli asset sono aumentati di ordini di grandezza superiori a quelli dei salari e dei redditi, ma non ci sarebbe alcuna base logica o sostenibile per tutto ciò se fossimo in mercato libero e basato sul denaro sano/onesto.

Tuttavia dopo il terzo trimestre del 1989 i redditi medi reali delle famiglie sono aumentati solo dello 0,70% annuo, mentre il loro patrimonio netto reale è aumentato del 3,18% annuo. Si tratta di un rapporto di 4,5X quando a tutti gli effetti avrebbe dovuto essere dell’1,0X.

Inutile dire che, anche in un’economia capitalista e di libero mercato, il patrimonio delle famiglie e il patrimonio netto non sono distribuiti equamente, perché non sono equamente distribuiti nemmeno i contributi di lavoro, impresa, investimento e invenzione. Ma quando i vincitori naturali in un libero mercato ottengono uno straordinario impulso dall’inflazione degli asset finanziari promossa dalle banche centrali, la spirale dei guadagni illeciti può rapidamente aggravarsi, portando nel tempo ad accumuli di patrimonio netto estremamente “ingiusti”.

Pertanto tra il terzo trimestre del 1989 e il terzo trimestre del 2023, il patrimonio netto dello 0,1% delle famiglie più ricche è aumentato da $1.750 miliardi a $19.850 miliardi, o di 11,3 volte. Al contrario il patrimonio netto del 50% delle famiglie più povere è aumentato da $710 miliardi a $3.640 miliardi, ovvero solo di  5,1 volte.

Il punto è che il modello distributivo dei vincitori naturali in un’economia capitalista era già in pieno vigore nel 1989. Non c’è alcuna ragione per cui il guadagno netto nel patrimonio netto dello 0,1% più ricco fosse più del doppio del guadagno del 50% più povero. In realtà coloro che dispongono di asset sono molto più predisposti al gioco d’azzardo con leva finanziaria rispetto alle famiglie medie che lottano per far quadrare i conti di fronte all’implacabile inflazione di beni e servizi.

Di conseguenza quando queste cifre vengono espresse in termini pratici di patrimonio netto per famiglia, la distorsione diventa chiara: nel 1989 le 92.000 famiglie che costituivano lo 0,1% più ricco avevano un patrimonio netto di $18,86 milioni ciascuna, 1.230 volte il patrimonio netto medio di $15.300 del 50% più povero, ovvero 46,4 milioni di famiglie.

Tuttavia nei successivi 34 anni siamo arrivati a $138 milioni ciascuna per lo 0,1% più ricco, ovvero 131.000 famiglie, rispetto ai $44.000 ciascuna per il 50% più povero, ovvero 65,7 milioni di famiglie. Questo è un rapporto del 3.175X.

In breve, quando si tratta di stampare denaro poiché si è prigionieri degli speculatori e dei trader a Wall Street, il vecchio detto secondo cui i ricchi diventano sempre più ricchi non potrebbe essere più appropriato.

Inoltre i dati non lasciano dubbi sul fatto che i guadagni derivanti dall’inflazione degli asset finanziari siano stati sistematicamente asimmetrici. Nel corso di questo periodo di 34 anni il patrimonio netto per fascia di ricchezza è aumentato come segue:

• Top 0,01%: +$18.100 miliardi, o l’11,3X

• 0,99% successivo: +$20.700 miliardi, o l’8,1X

• 9% successivo : +$43.600 miliardi, o il 6,6X

• 40% successivo: +$36.600 miliardi, o il 6,0X

• Ultimo 50%: +$2.900 miliardi, o il 5,1X

Quindi la domanda è: cosa accadrebbe se il mandato della FED tornasse al modello della Finestra di Sconto di glassiana memoria?

Suggeriremmo diversi risultati, che sarebbero tutti più che benvenuti.

Il sistema bancario sarebbe più liquido e sicuro.La crescita economica e la prosperità sarebbero una funzione del libero mercato, che in ogni caso non può essere migliorato dallo stato, come ampiamente dimostra la situazione dal 1987 in poi.Non ci sarebbe una massiccia monetizzazione dei titoli di stato o una crescita esplosiva del debito pubblico, perché i deficit sarebbero finanziati onestamente nei mercati obbligazionari, causando crowding out, aumento dei tassi d’interesse e potenti reazioni politiche.Finirebbe l’inflazione dei prezzi degli asset e dei beni/servizi per Main Street.Verrebbe eliminato il contributo dello stato alla crescente maldistribuzione della ricchezza.

Cosa c’è che non andrebbe bene?

Distribuzione della ricchezza delle famiglie statunitensi. Nota: i guadagni azionari dal 1990 si sono concentrati nello 0,1% più ricco e nella fascia successiva dell’1% più ricco.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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