La libertà non è né di destra né di sinistra

La libertà non è né di destra né di sinistra

 

 

di Richard Ebeling

Viviamo in un periodo storico in cui quasi tutti i partiti politici rappresentano la stessa ideologia: l’interventismo statale e la ridistribuzione obbligatoria. E questo vale anche per i media generalisti. Anche molti di coloro che dicono di aderire ad una visione “pro-mercato” finiscono solo per essere più “moderati” di fronte a regolamenti statali e di programmi di welfare.

Questo è il motivo per cui le etichette politiche hanno acquisito sempre più significato. Già negli anni ’50 e ’60 era una pratica comune nelle discussioni politiche riferirsi a persone di “sinistra” come socialiste o comuniste, e definire quelle di “destra” come fasciste o naziste.

La falsa distinzione tra “sinistra” e “destra”

I liberal americani erano considerati “di sinistra”, grandi sostenitori dello stato e in sintonia con il socialismo; i conservatori erano visti come “di destra” ed erano “pro-grandi imprese” e contro quelle “piccole” e di conseguenza molto vicini ai fascisti.

Queste distinzioni erano fuori luogo ed irrilevanti, perché la storia del ventesimo secolo ha dimostrato che sia coloro “di sinistra” sia coloro “di destra” erano solo due varianti dello stesso tema collettivista: entrambi favorevoli al controllo dello stato sulla vita sociale ed economica, con differenze istituzionali lievi.

I socialisti marxisti sostenevano la nazionalizzazione statale e la pianificazione centrale diretta su tutta la produzione, mentre i fascisti italiani e i nazisti tedeschi erano per la regolamentazione totale e la pianificazione di tutti i beni che rimanevano nominalmente in mani private.

Inoltre i marxisti parlavano di rivoluzione del movimento operaio internazionale, mentre fascisti e nazisti parlavano di guerre nazionalistiche e razziali. Socialisti e fascisti quindi credevano che il mondo era diviso in gruppi – classi sociali, nazioni, o razze – intrinsecamente ed inevitabilmente in conflitto tra loro. Non c’era posto per l’individuo e per l’esistenza al di fuori della tribù o della mandria sociale.

Oggi il fascismo di Mussolini e Hitler è una cosa del passato e anche il socialismo sovietico.

Il rifiuto della “sinistra” della libertà

Quello che rimane nel panorama politico sono quelli che si definiscono “liberal” (o “progressisti”) e “conservatori”, e che sostengono d’essere ideologicamente molto distanti gli uni dagli altri. Ma lo sono davvero?

A “sinistra” i liberal dicono che sono per le libertà civili e la libertà personale, ma continuano a sostenere una maggiore regolamentazione statale nell’economia, una ridistribuzione della ricchezza e varie forme d’ingegneria sociale per manipolare i rapporti umani e i relativi comportamenti.

Non spiegano mai come possa essere conservata la libertà personale e garantite le libertà civili se lo stato impone una psicopolizia per far rispettare una condotta e un linguaggio “politicamente corretti”, o se la società è divisa in gruppi razziali, etnici e di genere, ciascuno deve vedersi assegnato dal potere politico alcuni favori e privilegi a scapito di altri.

Né la libertà individuale può essere garantita quando lo stato tassa la ricchezza di alcuni per ridistribuirla agli altri considerati più meritevoli a causa dell’influenza ideologica o del peso politico. Allo stesso modo la libertà ha poco significato quando lo stato può sequestrare la proprietà della gente, regolare le loro imprese e l’industria, oltre a interferire con gli scambi pacifici e volontari che gli uomini e le donne accettano di effettuare per il loro reciproco miglioramento.

“La sinistra” continua a non capirlo: la libertà è una parola vuota se non viene rispettata la proprietà privata e se tutte le relazioni umane non si basano sul consenso personale.

Il rifiuto della libertà da parte della “destra”

Per quanto riguarda la “destra”, molti conservatori usano ancora la retorica della libertà individuale e la libera impresa, ma sotto la superficie troppo spesso si tratta di mera forma senza contenuto. Molti conservatori hanno rinunciato a contrastare e abolire lo stato interventista/sociale.

Hanno fatto pace col cosiddetto Big Government. Credono che le persone non possano essere svezzate dal paternalismo politico, quindi hanno adottato un obiettivo un po’ più “modesto” per ottenere il controllo della macchina politica, per gestire lo stato sociale e usarlo per dirigere la società in modo “migliore” e più “virtuoso”.

Una cinquantina di anni fa i conservatori solevano raccontare ai loro avversari a sinistra: “Non si può legiferare la moralità”. Una condotta migliore non poteva che venire dal miglioramento dei singoli e attraverso le possibilità pacifiche nell’associazione volontaria.

È raro che un conservatore dica una cosa del genere, invece desiderano utilizzare lo stato per progetti d’ingegneria sociale, lievemente diversi da quelli dei loro avversari a sinistra. I conservatori si contendono il controllo dei consigli scolastici e dei programmi scolastici affinché la scuola imponga una mentalità diversa da quella che i “progressisti” vorrebbero implementare.

Non esiste una “bussola per la morale” attraverso la coercizione

Questi conservatori hanno dimenticato che non può essere promossa nessuna bussola morale, condotta virtuosa, o corretto senso di comunità attraverso la propaganda politica o l’indottrinamento governo-scuola. Le fonti di queste virtù sono la famiglia e gli amici, e, soprattutto, una filosofia morale d’individualismo e diritti individuali. Può solo sbocciare al di fuori del processo politico.

Inoltre troppi conservatori non vedono niente di sbagliato in interventi statali, sussidi e regolamenti, purché essi servano i loro interessi commerciali e il reddito personale. L’establishment conservatore considera le restrizioni commerciali alla concorrenza estera, i regolamenti che limitano rivali interni, i benefici fiscali per assicurare maggiore profitti ed i contratti statali, come la strada da seguire.

Così nell’America contemporanea della “sinistra” liberal e della “destra” conservatrice, il tema collettivista è ancora imperante: entrambi desiderano usare il potere dello stato per manipolare l’ambiente sociale ed economico.

Si differenziano per la loro concezione del mondo politico che vorrebbero veder realizzato, ma entrambi sono determinati a usare la coercizione statale per vedere realizzati i risultati che desiderano.

Ciò che chiede l’amante della libertà

Gli amanti della libertà non sono né di “sinistra”, né di “destra”. I liberali classici e i libertari rifiutano la moralità o la capacità della politica di modellare la natura umana o creare attraverso la forza un presunto “mondo migliore”.

Il liberale classico considera la libertà dell’individuo l’unico bene supremo. La funzione dello stato in una società libera è quello di affrancare tutti dal comportamento predatorio sugli altri. Lo scopo della legge e della polizia è assicurarsi che le più alte sfere dell’individuo siano protette: vita, libertà e proprietà acquisita onestamente.

Il pilastro della società etica è composto da relazioni umane basate sul consenso e sul comune accordo. Il libero mercato è l’arena naturale della libertà, in cui tutte le associazioni sono il risultato di una libera scelta e nessuno può essere costretto a essere lo strumento degli scopi di un’altra persona.

La società non è una gigantesca scacchiera, tanto per usare una metafora di Adam Smith, su cui l’ingegnere sociale muove le pedine per soddisfare il suo piacere politico. La società civile composta da esseri umani liberi è quella in cui formiamo associazioni volontarie.

La grande dicotomia politica, quindi, è tra coloro che sostengono la forza (e spesso in nome di “buone intenzioni” e “cause nobili”) e coloro che apprezzano la libertà (promuovendo una società prospera e giusta).

Per questo motivo la causa della libertà continua a superare la distinzione erronea tra “sinistra” e “destra”.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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