La liquidità è morta, lunga vita alla liquidità

 

 

di Francesco Simoncelli

L’euro di oggi vale solo circa 45 centesimi rispetto a un euro nel 1999. Alcune persone sono rimaste al passo, molte sono rimaste indietro; tutti coloro che lavorano per un salario sono stati derubati. L’“inflazione”, sebbene difficile da spiegare o controllare, è il prezzo che si paga quando si lascia che un’élite corrotta e dissoluta ci dica cosa fare. Ci è stato detto che per rilanciare l’economia bisognava stampare denaro per aumentare la “domanda”, salvo poi “scoprire” che la nuova domanda era fasulla così come i tassi d’interessi e il denaro stesso. Ciononostante c’è stato un effetto: più soldi compravano più cose… ora però arrugginiscono, raccolgono polvere, consumate e abbandonate. Il denaro aggiuntivo creato ex novo ha anche aumentato i prezzi degli asset posseduti dai pianificatori centrali e i prodotti che tutti gli altri volevano acquistare. Le cose che si vuole comprare possono essere suddivise in tre categorie: assurde, inutili e pericolose. Sanzioni, restrizioni commerciali, sussidi a industrie selezionate, programmi per la diversità, operazioni di cambio di sesso, la lotta alla droga, alla povertà, al riscaldamento globale, al degrado urbano, alla disinformazione, alle infezioni, alla supremazia bianca e all’antisemitismo… tutto aveva un prezzo.

Tra il 1999 e il 2023 la BCE “ha stampato” quasi €7.000 miliardi in nuovo denaro per pagare queste cose. Ciò, insieme ai prestiti da fonti private, ha portato il debito dell’area Euro alle vette di oggi. I tassi di crescita sono diminuiti e la maggior parte delle persone non è diventata più ricca, ma più povera. Siamo sprofondati sempre di più in un mare di debiti – pubblico e privato – con tassi d’interesse che sono schizzati in alto sulle carte di credito e sul mercato obbligazionario sovrano. Il costo del debito pubblico italiano, ad esempio, ammonta già a circa €50.000 a persona. Ed è lecito aspettarsi che quest’onere supererà i €3.000 miliardi e poi i €4.000 miliardi, dato che non c’è alcun piano credibile per ridurlo. I prestiti aggiuntivi dovranno essere soddisfatti con tassi d’interesse più elevati e una maggiore stampa di denaro. Trascinando il peso del passato, come potranno mai permettersi un futuro adeguato le attuali e nuove generazioni?

La differenza fondamentale tra oggi e gli ultimi 40 anni, 1980-2020, è stata la stampa di denaro senza precedenti e, per la precisione, l’aver assecondato la crescita smisurata del mercato degli eurodollari. Nel nostro sistema monetario fasullo la nuova ricchezza non viene guadagnata, viene creata con i prestiti. La banca centrale concede prestiti alle banche membri, queste ultime poi concedono prestiti agli hedge fund, alle banche più piccole, alle aziende, a chiunque voglia i soldi. L’offerta di denaro aumenta, ma lo stesso vale per il debito.

I mutuatari più grandi sono gli stati, però, i quali usano il denaro facile per sprecare, sequestrare risorse scarse e giocare d’azzardo. Finché il volume del denaro – la liquidità – era in aumento, era ragionevole aspettarsi che i prezzi delle obbligazioni sovrane salissero. Basti pensare, ad esempio, che addirittura i titoli italiani a un certo punto erano trattati a rendimenti reali negativi. Ma da questa orda non possiamo sottrarre gli speculatori sui mercati finanziari che hanno avuto gioco facile nel creare strumenti finanziari sempre più rischiosi per cercare di sbarcare il lunario in un ambiente dove i tassi negativi reali erano diventati la norma. Infatti solo in Europa la quantità di asset che aveva un rendimento negativo era arrivata a cifre da record nel passato più recente. Addirittura i junk bond. Anche i consumatori hanno acceso prestiti – per case, automobili e acquisti con carta di credito.

Tutti questi prestiti e queste spese hanno aumentato il “denaro in circolazione” che inseguiva, principalmente, i beni reali. Ciò significava prezzi degli asset più alti e l’aumento dei prezzi degli asset ha reso le élite molto più ricche.

Poi, nel 2021, l’abbuffata di prestiti si è interrotta bruscamente: i tassi d’interesse e l’inflazione sono aumentati, i prestiti sono diminuiti e con ciò l’offerta di denaro ha iniziato a contrarsi. La FED ha cambiato rotta: niente più soldi facili e niente più tassi negativi. Il tasso di riferimento della FED è stato lasciato salire di 550 punti base – l’inversione di tendenza più grande e più rapida nella sua storia.

LE VECCHIE ABITUDINI, PER QUANTO DURE A MORIRE, MUOIONO

Buffett e il defunto Charlie Munger erano entrambi dei geni, ma hanno anche avuto la fortuna di essere vivi e di investire in un momento in cui il sistema bancario centrale stava pompando migliaia di miliardi in nuova “liquidità” nei mercati. Quel periodo è finito e infatti Buffett sta scegliendo il cash come “strategia d’investimento”. Questa nuova fase è iniziata nel 2021. Dove ci porterà esattamente? Non lo possiamo sapere ancora, ma ciò che è certo è che si tratta di un periodo diverso da quello che ha reso ricchi Buffett e Munger. E per capire il presente, orientandosi al meglio per il futuro, non si può far altro che guardare al passato.

Il periodo 1950-1980 è stato senza dubbio il punto più alto per l’America. Fu allora che Buffett imparò, da Ben Graham, ad acquistare buone aziende a buon mercato e a rimanere investito in esse a lungo. Successivamente imparò da Munger ad acquistarle a prezzi ottimali; ottenerle a buon mercato era utile ma non necessario. Nel 1971 gli Stati Uniti dovettero fare qualcosa con il loro sistema monetario, altrimenti sarebbero stati spazzati via dalla prima crisi del mercato degli eurodollari. Piuttosto che risolvere la questione si vendettero (inconsapevolmente?) alla City di Londra e nel 1980 il nuovo sistema stava già piegando e distorcendo l’economia mondiale. Prima del 1980 quasi tutti i confronti e tutte le misure erano favorevoli agli Stati Uniti: commercio, esportazioni, lavoro, redditi, arte, cultura, ecc. L’America era la numero 1. Dopo il 1980 quasi tutti gli indicatori sono scivolati nell’oblio.

Tra questi c’erano dettagli non molto notati, ma decisamente importanti. Nel primo periodo i salari reali della gente comune aumentavano di circa il 2,3% annuo; nel secondo – dal 1980 in poi – sono finiti in una fascia di bonaccia. Una delle ultime relazioni sui salari aggiustati all’inflazione non mostra alcun miglioramento sin dall’ottobre 1978.

In secondo luogo il peso degli assegni del welfare state in percentuale del PIL era inferiore al 10% prima del 1980; successivamente è salito a quasi il 20% nel 2020 e ora s’è stabilizzato al 15%. Dopo il 1980 la percentuale della produzione totale spesa da chi non la guadagnava è aumentata. Il sistema monetario post-1971 ha favorito la “finanziarizzazione” e la politicizzazione, non nuovi prodotti e servizi. Se ci fosse stato un aumento della ricchezza complessiva, questa non sarebbe finita agli schiavi salariati che se la guadagnavano, sarebbe invece finita nelle mani di coloro che avrebbero ottenuto gli “assegni del welfare” e al sistema finanziario.

L’economia reale è composta da persone che offrono beni o servizi ad altri, in cambio di denaro, che poi usano per acquistare beni o servizi da altri. Ecco perché l’economia pre-1980 andava bene: fornire beni o servizi migliori aumentava la ricchezza reale, quindi i salari aumentavano. Dopo il 1980 è stata una storia diversa: il denaro creato ex novo era più flessibile e più facilmente persuaso a finire nelle tasche di coloro che lo controllavano. Questo nuovo sistema monetario è stato in gran parte una creazione di Milton Friedman: pensava di poter eliminare l’inflazione e la deflazione eliminando l’oro dall’equazione. In realtà, come ben sappiamo, quello gli Stati Uniti era un problema di tutt’altra natura; Friedman venne preso come accademico affinché fornisse una giustificazione di facciata per quello che stava accadendo. Ovviamente non potevano farsi vedere travolti dal panico, dato che non capivano il motivo per cui d’improvviso il loro modello di business stava fallendo. Ciò che rimaneva era fare leva sulla loro credibilità e sulla mancanza di avversari di pari livello e procedere con una dimostrazione di forza: togliere dall’immaginario collettivo qualsiasi riferimento all’oro come mezzo di scambio e mezzo di saldo dei trasferimenti internazionali. La flessibilità e l’offerta più ampia del petrolio avrebbe permesso loro di guadagnare tempo.

Friedman era condivisibile sui temi sociali e politici, ma non su quelli economici. Nel suo mondo teorico gli economisti della FED avrebbero consentito un aumento del bilancio della banca del 3% all’anno. Nessuno avrebbe avuto più motivo di temere l’inflazione, perché i pianificatori monetari centrali non avrebbero esagerato; e nessuno avrebbe avuto più motivo di temere un tracollo in stile Grande Depressione, perché la FED avrebbe potuto fornire una quantità infinita di “liquidità” al sistema bancario, rendendo quasi impossibile una deflazione a livello di sistema. Nel mondo reale, però, le persone non sono né sempre buone, né sempre cattive, ma sempre soggette a influenza (soprattutto politica). E l’influenza nel momento di “stampare” denaro ha sempre trionfato sulla prudenza e sulla correttezza. Infatti la FED ha costantemente aumentato l’offerta di denaro ben oltre il tasso di crescita del PIL, superando nel 2020 di ben 9 volte l’obiettivo del 3% raccomandato da Friedman.

È bene sottolineare un punto in tutta questa disamina: l’interventismo monetario è un male assoluto perché corrompe in modo assoluto. Il sistema bancario centrale in tal senso rappresenta la manifestazione fisica di tale concetto e il vero cancro che ha contorto/distorto la prosperità e il benessere umano è stata la nascita/istituzionalizzazione della Banca d’Inghilterra. E non è un caso che sulla scia di questo scempio si sia provato a istituire una cosa del genere per ben due volte negli Stati Uniti, fallendo in entrambi i casi (es. Prima e Seconda Banca degli Stati Uniti). Come si può intuire le influenze inglesi ancora persistevano dopo la presunta indipendenza statunitense, riuscendo infine ad avere successo con la creazione della FED. E non è nemmeno un caso che la grande espansione monetaria negli USA, la quale diede poi i natali alla Grande Depressione, venne perseguita per arrestare il deflusso di oro dall’Inghilterra che avrebbe sicuramente mandato in bancarotta il Paese. Ecco perché si può concludere che la vera indipendenza gli Stati Uniti l’hanno guadagnata con l’avvio del SOFR, l’emancipazione dal LIBOR e il rimpatrio della politica monetaria.

Per quanto sia incontrovertibile che il problema è l’interventismo capillare che scaturisce dalle macchinazioni presumibilmente sapienti di un gruppo ristretto di persone che si arroga il diritto di decidere per tutti gli altri, l’assenza di una FED indipendente avrebbe rappresentato un destino peggiore di quello attuale. Senza gli incentivi dei grossi conglomerati bancari statunitensi a conservare la propria sfera d’influenza sul territorio, che avrebbero dovuto cedere sulla scia di una valuta digitale, i piani distopici di una certa élite sarebbero stati già realizzati. Invece ne è nato uno scontro in cui diverse fazioni megapolitiche sono in lotta e gli Stati Uniti stanno cercando di risolvere l’annoso problema del mercato degli eurodollari che finora ha consumato il loro potenziale di crescita a vantaggio di altri. Uno di questi altri è l’Europa; un altro ancora è l’Inghilterra; un altro ancora è la Cina. Se, quindi, Powell non fosse stato riconfermato (un tira e molla durato più di sei mesi), il dollaro sarebbe stato completamente annichilito a vantaggio di tutti quei disagiati della cricca di Davos e dei loro piani di riconfigurazione della società. Sì, in questo schema delle cose contribuenti e imprese sono pedine in un gioco bellico più grande, usati come “scudi umani” volenti o nolenti. Sulla resistenza al dolore economico si basa la vittoria o la sconfitta delle parti in conflitto, ecco perché Powell insiste sul cosiddetto soft landing: permettere a una recessione di fare il suo corso senza però far sentire troppo dolore economico alla popolazione. In questo senso si deve intendere la linea d’azione higher for longer dei tassi e la ricostruzione del mercato dei capitali interno.

La BOJ si prepara a difendere lo yen. È lecito aspettarsi da qui ulteriori pressioni sull’euro mentre gli asset energetici continuano a salire. In questo modo Powell può sedersi tranquillo fino a settembre senza dover parlare più di taglio dei tassi.https://t.co/54I7CfZpsu

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) March 19, 2024

In Europa, invece, guadagnare tempo significa saccheggiare tutto il saccheggiabile per resistere alla tempesta. L’impalcatura economico costruita sin dalla venuta in essere dell’euro s’è basata su un presupposto fallace: finanziamenti infiniti tramite il mercato degli eurodollari. Ora che le festa è finita il panico dilaga e non c’è alcuna remora a mandare al macello in prima linea contribuenti e imprese. La direttiva sulle case green approvata di recente dal Parlamento europeo è un indizio in tal direzione. Senza contare che quest’anno dovrebbero infine concludersi i programmi di acquisti di asset della BCE, solo che se davvero sarà la prima e tagliare i tassi allora gli USA potranno dichiarare vittoria. Powell sta tenendo così i alti i tassi proprio per tal motivo, non ha necessità di continuare a rialzarli; è fiducioso che l’Europa si possa scavare la fossa da sola anche al livello di tassi raggiunto adesso. Tutta l’espansione burocratica europea (es. DSA, DMA, controllo capillare degli aspetti commerciali dei vari settori produttivi, stato di diritto a giorni alterni, sanzioni contro l’industria tech, grande fratello finanziario, ecc.) punta in tale direzione.

Vediamo un po’: la FED continua col suo “higher for longer”, la BOJ termina la YCC e inverte la rotta. Che abbiamo invece qui? La BCE che da sola vuole dettare il passo. Semmai dovesse tagliare i tassi a giugno, partirà uno short da paura sull’euro.https://t.co/kj3hNSLJso

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) March 20, 2024

Ricapitolando: la stampa di denaro è un pessimo modo per risolvere i problemi, ma è stato un escamotage utilizzato per guadagnare tempo. Nel frattempo ciò ha distribuito errori economici che devono essere corretti. Infatti tutto il nuovo denaro creato nel summenzionato secondo periodo preso in analisi non è stato guadagnato, bensì preso in prestito principalmente dalla finanza e dagli stati. Il nuovo “denaro” ha aumentato direttamente il debito collettivo e indirettamente ha aumentato i prezzi di azioni e obbligazioni facendo guadagnare a Buffett e Munger un sacco di soldi per sé e per i loro azionisti. Quel capitolo è ormai giunto al termine. La storia di oggi – economica, finanziaria, politica – è diversa sotto quasi ogni aspetto. In particolare, la nuova liquidità è stata presa in prestito e spesa, ma il peso del debito rimane insieme alla crisi inflazionistica/deflazionistica che Milton Friedman pensava di aver evitato. Ognuno dei player in gioco deve risolvere i propri problemi, ma alcuni di essi sono più gravi di quelli degli altri.

RABDOMANTI

La gravità di suddetti problemi porta di conseguenza a scelte dettate dalla disperazione e dal panico, cercando di muovere tutte le leve possibili ed esercitando tutta la pressione possibile sulle proprie sfere d’influenza. Infatti non è un caso che il taglio dei tassi della BNS arrivi subito dopo quello della BOJ. Si tratta di due Paesi su cui la FED ha un particolare ascendente e sono stati utilizzati, e tutt’ora vengono utilizzati, come alleati nella race to the bottom. In essa vince chi è più scaltro, non chi è più bravo. Se ricordate su queste pagine è stato documentato quando la cricca di Davos aveva cercato di destabilizzare la BNS un anno fa col suo attacco a Credit Suisse (fallito grazie al salvataggio della NYFED). Ora che il carry trade coi tassi negativi del Giappone non è più perseguibile, ed è stato quello che ha tenuto a galla l’euro, la BCE ha un disperato bisogno di qualcuno che inverta la rotta da qualche parte prima di lei. Inutile dire che la Svizzera, trovandosi in Europa suo malgrado, è sottoposta alle influenze di quest’ultima (tramite la Bundesbank).

1/ Non è un caso che questa mossa arrivi subito dopo il rialzo della BOJ. La BNS è un campo di battaglia tra la FED e la BCE, e a quest’ultima serve disperatamente un’altra banca centrale che la preceda in un taglio dei tassi.https://t.co/U67YlVCa3J

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) March 22, 2024

Il sistema bancario europeo ha bisogno di liquidità per non subire le criticità dovute alla quantità di crediti incagliati e asset non performanti che tiene in pancia. È un problema, questo, che attanaglia anche le banche dall’altro lato dell’Atlantico, ma la severità di tal problema è più gestibile data la volontà di ricostruire il mercato dei capitali piuttosto che spolparlo fino all’osso per sopravvivere come sta accadendo in Europa. Una crisi di liquidità, quindi, è inevitabile e le più esposte sono le banche europee. Come sappiamo per esperienza gli stress test non sono utili per saggiare lo stato in cui versa realmente il sistema bancario commerciale, quindi vediamo di analizzare le cose da un altro punto di vista.

Sappiamo che il sistema bancario commerciale è altamente indebitato, fattore misurato dal rapporto tra attivi di bilancio e patrimonio netto, tipico delle condizioni al picco di un ciclo del credito bancario. Mentre i tassi d’interesse erano saldamente ancorati allo zero, i margini di prestito si sono compressi e l’aumento della leva finanziaria di bilancio è stato il mezzo attraverso il quale una banca poteva continuare a staccare profitti. Ora che i tassi d’interesse sono aumentati, l’atteggiamento collettivo dei banchieri nei confronti dei livelli di credito è cambiato radicalmente: sono sempre più sensibili all’esposizione al rischio, sia nel settore finanziario che in quello non finanziario. Le perdite sui mercati obbligazionari si sono già accumulate sia per i clienti che per le banche stesse, di conseguenza hanno iniziato a modificare i loro modelli di business per ridurre la loro esposizione al calo dei valori delle obbligazioni. L’urgenza con cui questa linea di politica viene perseguita è dettata dal livello d’indebitamento bancario europeo, il quale riflette la difficoltà che ha l’intera coorte bancaria nel ridurre il proprio bilancio collettivo. Ma ciò di cui non viene tenuto traccia è lo spostamento dei prestiti dai settori ritenuti rischiosi, quelli che potrebbero gravare le banche con prestiti in sofferenza.

Esistono due modi in cui una banca può conformarsi alla normativa Tier 1 di Basilea 3: aumentando il capitale degli azionisti, o riducendo il rischio sui propri bilanci. Per la maggior parte delle grandi banche, l’emissione di più azioni è considerata troppo diluitiva, quindi vi è una maggiore pressione per ridurre il rischio di prestito. Questo è stabilito dal coefficiente di finanziamento netto (NSFR) introdotto in Basilea 3, ovvero il rapporto tra il finanziamento disponibile (ASF) e il finanziamento richiesto (RSF). L’applicazione delle norme ASF è finalizzata a garantire la stabilità delle fonti di credito di una banca (ovvero, il lato depositi del bilancio). Si applica un taglio del 50% ai grandi depositanti aziendali, mentre i depositi al dettaglio, considerati una fonte di finanziamento più stabile, subiscono solo un taglio del 5%. Ciò spiega perché Goldman Sachs e JPMorgan Chase, ad esempio, hanno espanso le loro filiali bancarie al dettaglio e hanno allontanato i grandi depositi, trasferiti presso la FED attraverso i pronti contro termine inversi.

L’RSF si applica agli attivi di una banca. Per ridurre il rischio del proprio bilancio, una banca deve evitare l’esposizione a impegni di prestito superiori a sei mesi, depositi presso altri istituti finanziari, prestiti a società non finanziarie e prestiti a clienti al dettaglio e piccole imprese. Sono penalizzate anche le negoziazioni in materie prime, così come le esposizioni in derivati che non sono specificatamente compensate da un altro derivato. Ciò spiega, tra le altre cose, la stretta creditizia sulle piccole e medie imprese, la spina dorsale di qualsiasi economia.

Le conseguenze delle regole NSFR di Basilea 3 stanno spingendo le banche commerciali a spostarsi progressivamente verso una stasi priva di rischio piuttosto che tentare di ridurre le dimensioni del bilancio (cosa che richiederebbe una contrazione dei depositi). Mentre le singole banche possono ridurre le proprie passività spostandole verso altre banche, la contrazione del bilancio a livello sistemico richiede una riduzione sia dei saldi dei depositi che di passività simili nell’intera rete bancaria. A parte la capacità molto limitata di cancellare i saldi dei depositi a fronte dei prestiti in sofferenza associati, il processo della creazione di depositi (es. riserva frazionaria) è difficile da invertire… a meno di un default. E se tutti coloro che hanno prestiti li ripagassero? Alcuni potrebbero essere in grado di farlo, ma per la stragrande maggioranza in un’economia zombificata ciò è impossibile.

Senza la continua espansione del credito bancario a tassi d’interesse più bassi, i prestiti in sofferenza sono destinati ad aumentare. Possono essere ammortizzati solo a fronte del patrimonio netto di una banca, o da altri elementi considerati di proprietà degli azionisti (es. crediti d’imposta non pagati), ed è per questo che le offerte di denaro più ampie, composte in gran parte da credito bancario, hanno smesso di salire. Una contrazione? A meno di singole banche che saltano in aria, è difficile immaginarla.

Da qui la caccia spasmodica del sistema bancario europeo alla liquidità e la BCE alla frenetica ricerca di una scusa per tagliare i tassi. Lo spostamento del debito a termine in bilancio da mark-to-market a hold-to-redemption ha nascosto ulteriori perdite e permesso di comprare tempo. Ma c’è un altro aspetto da tener presente: il mercato pronti contro termine statunitense (al quale si può accedere solo con titoli statunitensi). Un contratto pronti contro termine è un prestito garantito da un titolo; un contratto pronti contro termine inverso è un prestito in cui la banca centrale prende in prestito denaro da primary dealer, banche, fondi del mercato monetario e imprese parastatali. La durata del prestito è di un giorno. Il programma offre agli investitori del mercato monetario un posto in cui investire i fondi overnight.e bilanciare la curva di domanda/offerta di quest’ultimi. Durante la crisi sanitaria, ad esempio, la FED ha acquistato circa $5.000 miliardi in titoli del Tesoro e titoli ipotecari da Wall Street e di conseguenza nel sistema finanziario fu immessa un’enorme quantità di liquidità. Poiché le banche non utilizzavano tutta la liquidità per concedere prestiti o acquistare asset a lungo termine, le istituzioni finanziarie disponevano di liquidità in eccesso che doveva essere investita nei mercati monetari. Il risultato è stata una pressione al ribasso sui rendimenti a breve termine.

La FED ha poi rialzato il suo tasso di riferimento, ma con i fondi in eccesso che si riversavano sul mercato, raggiungere il tasso obiettivo si sarebbe rivelato difficoltoso. I pronti contro termine inversi le hanno consentito di raggiungerlo. Al loro picco questi strumenti finanziari avevano raggiunto i $2.500 miliardi, poi da lì sono scesi e attualmente sono a circa $500 miliardi; probabilmente scenderanno quasi a zero nei prossimi mesi. In sostanza, il mercato sta assorbendo la liquidità in eccesso. La FED è consapevole che i grandi investitori istituzionali devono vendere asset per ridurre la leva finanziaria se non c’è liquidità sufficiente. È questo il suo approccio per sgonfiare, in modo quanto più ordinato possibile, la bolla degli asset finanziari; certo, gli spillover raggiungeranno anche Main Street, ma aver puntellato il mercato dei capitali statunitense ha offerto una certa fiducia che il dolore economico percepito potrebbe essere di gran lunga inferiore a quello che invece subiranno altre giurisdizioni (come l’Europa). Infatti i capitali finanziari stanno volando negli USA.

Per quanto ci sia già recessione in termini reali, essa non sarà riconosciuta in termini nominali quest’anno (anche perché c’è ancora liquidità residua nei mercati per mascherarla). Questo permetterà alla FED di navigare fino a settembre con i tappi alle orecchie per smorzare le grida di coloro che vogliono assolutamente un taglio dei tassi. Se ce ne sarà uno, allora arriverà a settembre in modo da sfruttare l’effetto ritardo che può verificarsi nell’economia e favorire poi una eventuale rielezione di Trump. In questo modo potrà rappresentare la “seconda venuta di Reagan” agli occhi dell’elettorato e l’economia statunitense potrà tirare il fiato in termini di commercio/crescita.

CONCLUSIONE

Tutti coloro che ancora credono che ci sarà un ritorno ai bagordi del 1980-2020 si sbagliano di grosso. Non ci sarà più nessuno zero bound, almeno non negli Stati Uniti. La FED sta dicendo chiaro e tondo che bisogna passare attraverso un credit crunch per risolvere gli annosi problemi che hanno attanagliato il sistema bancario commerciale statunitense. E questo i grandi investitori, come Buffet, l’hanno capito. L’eccesso di leva accumulato nel corso dei decenni deve essere ripulito; soprattutto adesso che la politica monetaria è di nuovo tornata nelle mani dell’Eccles Buinding ed è stata tolta dal sistema bancario ombra (es. dollari “fantasma”) che avvantaggiava la City di Londra, Pechino e Bruxelles.

La scommessa della FED è la dannazione della BCE, della BOE e della PBOC.

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