La pianificazione centrale inefficiente e insostenibile della Cina
Oltre cento anni fa Ludwig von Mises scrisse un libro sull’impossibilità di una pianificazione economica razionale e di successo in un ambiente socialista, eppure la Cina ci sta ancora provando, anche se la sua combinazione di mercati e socialismo si traduce in carenze ed eccedenze. Questo articolo esamina tre iniziative contemporanee approvate da Xi Jinping, ciascuna caratterizzata da un problema intrinseco: l’insicurezza alimentare, la crisi dell’invecchiamento e la bolla immobiliare. Ogni problema è stato creato dalla legislazione cinese stessa ed è stato aggravato da ulteriori leggi emanate per correggerlo.
Scarsità di cibo
La Cina è un importatore netto di cibo, capace di produrne solo il 66% di cui ha bisogno. Il Paese ha meno della metà dei terreni agricoli degli Stati Uniti e una popolazione quattro volte superiore. Per aumentare la sicurezza alimentare, forse in preparazione alla guerra, Xi Jinping ha ordinato di radere al suolo alcuni parchi pubblici e di riempirli di cibo. Nel frattempo ha anche definito un’agenda verde, incentivando i governi locali a piantare alberi. Per raggiungere le quote per entrambi gli obiettivi, alcuni governi locali stanno abbattendo le foreste per far posto ai terreni agricoli, distruggendo allo stesso tempo altre risorse per piantare alberi.
I terreni agricoli cinesi sono notevolmente meno produttivi di quelli statunitensi. La soia, ad esempio, un alimento base della dieta cinese, costa 1,3 volte di più per essere coltivata in Cina che negli Stati Uniti, e la resa è inferiore del 60%. Prima dell’espansione dei terreni agricoli imposta dallo stato, oltre il 24% della popolazione lavorava nel settore agricolo, rispetto a solo l’1,6% negli Stati Uniti. La Cina dovrebbe riassegnare i suoi agricoltori inefficienti a lavori nelle fabbriche e nei servizi, i quali contribuiscono maggiormente al PIL; ma coltivare questi nuovi campi richiederà invece lo spostamento dei lavoratori dal settore manifatturiero e dei servizi all’agricoltura, dove il loro contributo al PIL diminuirà.
Crisi dell’invecchiamento
Nel 1979 Pechino attuò una politica di pianificazione familiare che limitava la maggior parte delle coppie cinesi ad avere un solo figlio. Ciò aveva lo scopo di limitare le dimensioni della popolazione, garantire la prosperità economica e prevenire la fame. Il Paese si stava urbanizzando per editto e le famiglie più piccole erano più facili da ospitare nelle città, richiedendo appartamenti più piccoli e meno scuole e ospedali. Quella linea di politica mirava anche a ridurre l’indice di dipendenza del 68,1% per alleggerire il peso sul sistema sociale urbano.
Per convincere le persone a credere in questa idea, anche se non avevano scelta, il governo cinese inaugurò una campagna di propaganda con lo slogan “un figlio perfetto”, incoraggiando genitori e nonni a concentrare tutto il loro denaro e il loro amore su un unico figlio. Di conseguenza lezioni di canto, danza e musica, tutoraggio nel doposcuola e programmi di matematica e inglese diventarono attività standard per i bambini dai tre anni in su. I genitori potevano permettersi i prezzi elevati di queste lezioni extra perché utilizzavano la ricchezza combinata di sei adulti (la propria più quella dei loro genitori).
Nel 2010 il tasso di fertilità era sceso a 1,69 e l’indice di dipendenza aveva toccato il minimo storico di 37. Nel 2011 l’indice di dipendenza ha ripreso a salire a causa del crescente numero di persone anziane. Solo cinque anni dopo l’età media ha raggiunto i 35 anni, quindi il governo cinese ha iniziato a incoraggiare le persone ad avere più figli. Invece di rimuovere completamente il limite, il Partito Comunista Cinese (PCC) ha adottato la linea di politica dei due figli, ciononostante il tanto atteso baby boom non è mai arrivato: il costo per allevare un figlio era già così alto da richiedere ricchezza intergenerazionale e la maggior parte delle famiglie sentiva di non potersi permettere un secondo. Allo stesso tempo il prezzo nominale degli appartamenti nelle principali città ha iniziato a raggiungere i livelli statunitensi, mentre il reddito medio si aggirava intorno ai $10.000 all’anno. Molti giovani hanno dovuto ritardare il matrimonio, il che ha ridotto ulteriormente la probabilità di avere più figli.
La soluzione del PCC è stata quella di aumentare il limite a tre figli nel 2021. Ancora una volta, le coppie non hanno reagito alla legislazione e il numero delle nascite ha continuato a diminuire. Dal 2015 la forza lavoro è scesa di circa venti milioni di unità; l’anno scorso la popolazione è diminuita di 850.000 persone; l’età media è ora di trentanove anni e il governo cinese prevede che quest’anno nasceranno solo sette milioni di bambini su una popolazione di oltre 1,4 miliardi.
Quando il Giappone e i Paesi europei sono entrati nella fase d’invecchiamento, erano già nazioni ricche e sviluppate. Hanno sfruttato la tecnologia per sostenere elevati standard di vita impiegando meno lavoratori. Al contrario, la Cina è ancora in fase di sviluppo: il suo PIL pro capite è circa un terzo di quello dell’Italia, o del Giappone, e meno di un sesto di quello degli Stati Uniti. La Cina continua a fare molto affidamento sul settore manifatturiero di fascia bassa e ad alta intensità di manodopera, sebbene anche questi posti di lavoro stiano diminuendo con il rallentamento dell’economia. Lo scorso agosto la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 21,3%, spingendo Pechino a smettere di riportare tale statistica.
La bolla immobiliare
Durante il periodo di rigido comunismo cinese, prima della graduale apertura dell’economia negli anni ’80, i cittadini avevano poco, se non nessun reddito discrezionale e poche opportunità d’investimento. Una volta che l’economia ha iniziato a essere liberalizzata, le persone sono diventate più ricche; l’unica opzione praticabile per gli investimenti, però, era quella immobiliare (i cittadini, tuttavia, non possono possedere terreni ma solo acquisire un contratto di locazione fino a 70 anni che può essere trasferito e scambiato). Quando nel 1990 venne aperta a Shanghai la prima borsa valori cinese, le persone avevano già dieci anni di esperienza nel settore immobiliare, ma non capivano il mercato azionario e non si fidavano del controllo opaco dello stato su di essa. La maggior parte degli investimenti ha quindi continuato a confluire nel settore immobiliare.
Per raggiungere una crescita del PIL a due cifre, il governo cinese ha liberalizzato il credito attraverso le banche statali, che a loro volta hanno alimentato il settore edile e incentivato i governi locali a emettere obbligazioni per finanziare progetti di costruzione. Oggi circa il 20-30% del PIL è investito in proprietà e infrastrutture, e il patrimonio immobiliare rappresenta i due terzi della ricchezza delle famiglie. Il numero di nuovi progetti, nel frattempo, è stato visto come una misura di buon governo e di progresso verso la prosperità, indipendentemente dal fatto che fossero necessari o addirittura completati. Ciò ha portato alla creazione di “città fantasma” e di enormi complessi di appartamenti in aree scarsamente popolate come nella regione di confine con la Siberia.
I prezzi degli appartamenti sono aumentati, acquistati da persone come investimento e senza mai avere intenzione di viverci o di affittarli. Quest’anno il governo cinese ha dichiarato ufficialmente che “le case servono per viverci, non per speculare”.
Il rapporto debito/PIL della Cina ha raggiunto quest’anno il 280%, con le banche statali che detengono $8.400 miliardi di debito nel settore immobiliare. Il settore immobiliare rappresenta il 90% del reddito dei governi locali fortemente indebitati e circa l’80% dei veicoli di finanziamento dei governi locali (LGFV) – entità istituite per raccogliere fondi per infrastrutture e progetti di sviluppo – non hanno abbastanza soldi per pagare gli interessi. Se le vendite immobiliari dovessero interrompersi, i governi locali non sarebbero in grado di mantenere il flusso di pagamento degli interessi e, se i prezzi dovessero scendere, suddetti LGFV andrebbero in default. Di conseguenza alcuni governi locali hanno addirittura imposto prezzi minimi per evitare che i loro investimenti perdessero valore.
Nel contesto del rallentamento economico durante e dopo i lockdown, Pechino è tornata alla sua strategia tradizionale di fare affidamento sul settore immobiliare per stimolare l’economia. Xi Jinping ha implementato nuove linee di politica per incrementare i prestiti, con il risultato di 50 milioni di unità abitative invendute. I prezzi sono ancora artificialmente alti, quindi il mercato non può eliminarli. Se il governo cinese dovesse cessare ogni intervento nel mercato immobiliare e lasciare che i prezzi scendessero per soddisfare la domanda, molti prestiti potrebbero andare in default e danneggiare l’intero sistema finanziario.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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