L’eco-ansia è un lusso che non ci possiamo permettere e che danneggia la civiltà stessa
di Joakim Book
Vivo in un piccolo villaggio ai margini di terre circondate dalla natura selvaggia. Coloro che occupavano queste valli in epoche passate vivevano vite pericolose, dove la fame era una preoccupazione costante, il mare tanto spesso nutriva quanto portava via e gli inverni erano lunghi e rigidi. Al giorno d’oggi, mentre cammino sulle montagne desolate o ammiro le violente tempeste, nella mia testa echeggiano le descrizioni di Thomas Hobbes della vita pre-civilizzata dell’essere umano: “Solitaria, povera, cattiva, brutale e breve”.
Oggi qui viviamo una vita abbastanza confortevole, io e i miei compaesani. I nostri focolari sono caldi, il nostro controllo sui beni economici è eccellente. Viviamo vite lunghe e sicure, dove nessuno muore di fame e dove quasi nessuno muore a causa delle esplosioni d’ira della natura. Usiamo macchine — costruite molto, molto lontano utilizzando materiali che non abbiamo, che funzionano con combustibili fossili che queste terre non contengono — per rimuovere la neve che frequentemente cade sulle nostre porte e che altrimenti renderebbe le nostre strade impraticabili e le nostre case prigioni. Usiamo diverse macchine — costruite molto, molto lontano utilizzando materiali che non abbiamo, che funzionano con combustibili fossili che queste terre non contengono — per uscire dalla nostra valle e trasportare beni e servizi, compresi frutta e verdura esotiche che qui non crescono (non certo in inverno!).
È davvero affascinante osservare le cose sorprendenti che il commercio globalizzato e il capitalismo possono realizzare. Fare un passo indietro e pensare ai miracoli del commercio moderno, dell’innovazione e della divisione del lavoro è davvero umiliante.
Eppure noi moderni benestanti ci preoccupiamo della nostra esistenza collettiva al punto che i bambini hanno incubi e la maggior parte delle persone afferma che il cambiamento climatico metterà fine alla razza umana. Circa un terzo dei giovani afferma di non volere figli per paura di peggiorare le condizioni climatiche. “L’ansia per il clima è diffusa tra i giovani”, riferisce National Geographic. “Come possiamo aiutare i nostri figli ad affrontare l’eco-ansia?” si chiede la British Broadcasting Corporation. La stragrande maggioranza degli intervistati in uno studio condotto a livello mondiale su diecimila persone e pubblicato su Lancet nel 2021, ha ammesso di essere molto o estremamente preoccupata. Gli scrittori di Vox si preoccupano dell’etica dell’educazione dei figli. Un nuovo studio, pubblicato da Phys.org, ha evidenziato quanti giovani non avranno figli a causa del cambiamento climatico: sarebbe ingiusto “mettere al mondo un bambino” che dovrebbe convivere con la costante “sensazione di rovina, ogni giorno, per tutta la vita”, dice un aspirante genitore intervistato.
Molti dei miei compaesani nutrono tutte queste stesse idee – scioglimento dei ghiacciai e parti per milione – numeri, inondazioni e dilemmi etici su noi esseri umani che rendono la Terra inospitale o inabitabile.
È una cosa strana di cui preoccuparsi ossessivamente, mentre la violenta tempesta che infuria fuori dalle finestre con doppi vetri non influisce in alcun modo sulle nostre forniture di cibo, sul consumo di elettricità, sul riscaldamento, o sulla capacità di partecipare alla divisione globale del lavoro, sia nei nostri uffici che a distanza tramite Internet ad alta velocità. È a dir poco contraddittorio manifestare contro il capitalismo dalle comodità di case, hotel e pub costruiti e mantenuti in modo molto capitalistico; o inveire contro l’uso dei combustibili fossili che letteralmente ci tengono in vita.
Tutto ciò mi fa pensare all’assioma dell’azione umana, punto di partenza della prasseologia di Ludwig von Mises e pilastro su cui poggia l’economia Austriaca. La versione colloquiale di questa massima è “fate parlare i soldi non le parole” o “le azioni parlano più delle parole”. Dimostriamo con le nostre azioni dove si trovano le nostre preferenze e i nostri valori; li riveliamo al mondo (li realizziamo, in realtà) quando facciamo una cosa invece di un’altra, quando acquistiamo un bene invece di un altro, quando lavoriamo invece di rilassarci. Tutto ciò è avvolto nell’incertezza, nelle speranze e nei desideri soggettivi che si contrappongono ad altri desideri simili; col senno di poi possiamo pentirci delle scelte che abbiamo fatto. Ciononostante, dice Murray Rothbard, le “preferenze di un essere umano sono deducibili da ciò che ha scelto con le sue azioni”.
Forse questo clima ansiogeno è semplicemente un becero sfoggio di moralismo, in un mondo in cui le emozioni contano più dei fatti. Il distacco dai processi fisici della vita di base – energia, materiali, trasporti e, nelle economie monetarie complesse, denaro – ha reso molte persone ignoranti, tanto da dare per scontati gli stili di vita e gli standard di vita che abbiamo. Ci ha permesso di iniziare a pensare che i sistemi fondamentali e portatori di civiltà come il denaro, i combustibili fossili o le istituzioni commerciali siano facoltativi, una mera questione di scelta ideologica tra persone buone e persone cattive. Non è così.
Mi vengono in mente anche quelle credenze che sono un lusso che non ci si può permettere, un concetto coniato da Rob Henderson, psicologo dell’Università di Cambridge e autore del libro Troubled. Henderson trasferisce il “consumo vistoso” di Thorstein Veblen – l’acquisto di beni costosi, spesso inutili ma con lo scopo di ostentare la propria ricchezza – al dominio morale e politico. Una convinzione come lusso che non ci si può permettere, al pari di un bene vistoso, viene acquisita per impressionare gli altri ed è progettata per “conferire status alla classe superiore e a un costo minimo, imponendo, però, costi alti alle classi inferiori”.
Tali convinzioni non hanno molto senso e periscono nel mondo reale degli atomi e della temperatura, della natura e della fame. Ma siamo così distaccati dal mondo reale che ci sostiene fisicamente – così ricchi, così illusi, così benestanti – da attaccare quegli stessi sistemi che sostengono la nostra esistenza: l’eco-ansia e l’anticapitalismo. Presi alla lettera, e mettendo in atto linee di politica basate su tali follie, siamo diretti verso l’orrore e la povertà.
La buona notizia è che questi sistemi sono straordinariamente resilienti e queste voci potrebbero ancora essere tutte “chiacchiere”, come direbbe Nassim Taleb.
L’analista finanziario Doomberg ha proposto un’osservazione simile lo scorso febbraio, elencando in due paragrafi i principali eventi accaduti a partire dal 1971: crisi petrolifera, Iran-Iraq, guerre in Kuwait, conflitti in Medio Oriente, crolli finanziari dell’Asia, del peso e del rublo, gli attacchi terroristici, Libia-Siria-Ucraina, la crisi finanziaria mondiale e la crisi sanitaria. Attraverso tutti questi fenomeni, per quanto tumultuosi potessero sembrare al momento della loro comparsa e per quanto rilevanti restino nella coscienza politica, il consumo energetico totale del mondo è una linea retta che li attraversa. Ecco il grafico:
Revisione statistica del consumo energetico totale mondiale. Fonte: Doomberg
Eventi socioeconomici radicali come i diritti delle donne o l’uguaglianza razziale; leader di sinistra o di destra; crisi e recessioni, inflazioni e anni di boom; generazioni di studiosi e scienziati e movimenti politici… e non c’è alcun impatto sulla cosa fondamentale che alimenta la nostra civiltà.
L’85% del consumo energetico primario del pianeta proviene direttamente da combustibili fossili, lo stesso avveniva più di trent’anni fa, quando sono nato. Si possono esprimere le proprie convinzioni sul cambiamento climatico, su obiettivi politici non credibili, come le emissioni zero (sempre da raggiungere entro anni che finiscono sospettosamente con zero o cinque), sulla riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, o su quanto sia “pulita” l’energia rinnovabile. I governi possono investire soldi, approvare leggi, o pontificare nelle sale dei bottoni, negli auditorium legislativi, o nella pubblica piazza, ma non cambieranno la situazione. Non possono cambiarla.
I cypherpunk usano il codice informatico; le persone intelligenti ignorano la politica. Dovreste uscire di casa, smettere di preoccuparvi dei pazzi che gestiscono questo manicomio e ammirare invece la natura per quello che è.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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