L’elefante nella stanza da $1.300 miliardi

 

 

 

di David Stockman

Per più di due decenni i banchieri centrali hanno inondato il proverbiale 1% con migliaia di miliardi in guadagni artificiali, ma il loro crimine è stato quello di aver trascinato le generazioni future a pagare il costo insormontabile del servizio del debito pubblico per gli anni a venire. Infatti hanno portato l’intera curva dei rendimenti dei titoli di stato americani al minimo e il debito pubblico è schizzato alle stelle. In questo contesto la fetta più grande del debito del Tesoro americano si trova nei bond sovrani a 90 giorni, ma tra dicembre 2007 e giugno 2023 il rendimento aggiustato all’inflazione su questo titolo è stato negativo nel 95% dei casi.

Proprio così. Durante tale arco di 187 mesi, il tasso d’interesse ha superato il tasso d’inflazione per soli nove mesi, come illustrato dall’area viola nel grafico qui sotto, e anche in quel caso solo di poco. Per il resto del tempo lo Zio Sam tassava allegramente l’aumento inflazionistico dei redditi nominali, anche se il servizio del debito era drammaticamente in ritardo rispetto all’aumento del 78% dell’indice dei prezzi al consumo durante suddetto periodo.

Rendimento aggiustato all’inflazione dei titoli del Tesoro USA a 90 giorni, dal 2007 al 2022

Quanto sopra era l’equivalente fiscale della Novocaina: ha consentito ai politici di andare su e giù per Pennsylvania Avenue e di passeggiare per i corridoi di K-Street distribuendo abbondanti prebende a destra e a manca, senza provare nemmeno un momento di dolore per l’enorme fardello del debito che stavano accumulando sulle spalle dell’economia di Main Street.

Di conseguenza durante il quarto di secolo compreso tra il quarto trimestre del 1997 e il primo trimestre del 2022, il debito pubblico è salito da $5.500 miliardi a $30.400 miliardi, ovvero del 453%. In qualsiasi mondo razionale un aumento proporzionato della spesa per interessi federali avrebbe sicuramente risvegliato parte di coloro oltraggiati.

Ma non in questo mondo, infatti le spese per interessi dello Zio Sam sono aumentate solo del 73%, passando da $368 miliardi a $635 miliardi all’anno nello stesso periodo. Al contrario, se i tassi d’interesse fossero rimasti ai livelli non irragionevoli registrati fino alla fine del 1997, il livello di spesa per interessi entro il primo trimestre del 2022, quando la FED si è finalmente risvegliata di fronte al mostro inflazionistico che aveva alimentato, sarebbe stato di $2.030 miliardi all’anno.

In breve, la repressione sconsiderata e implacabile dei tassi d’interesse da parte della FED durante quel quarto di secolo ha alimentato un elefante nella stanza che è rimasto tale per secoli. La spesa per interessi federali annua è stata inferiore di $1.300 miliardi rispetto a quella che sarebbe stata la curva dei rendimenti in vigore nel quarto trimestre del 1997.

Le spese per interessi mancanti ammontano all’equivalente dell’intero budget della previdenza sociale!

I politici avrebbero potuto risvegliarsi dal loro torpore se la spesa per interessi avesse riflesso i tassi di mercato; invece hanno ricevuto segnali di prezzo terribilmente sbagliati e l’attuale catastrofe fiscale ne è la conseguenza.

Indice del debito pubblico rispetto alla spesa per interessi, quarto trimestre 1997 e primo trimestre 2022

Inutile dire che l’economia statunitense non stava crogiolandosi nel fallimento o nella sottoperformance ai tassi prevalenti nel 1997. Infatti durante quell’anno la crescita del PIL reale era del +4,5%, l’inflazione si attestava ad appena l’1,7%, il reddito familiare medio reale aumentava del 3,2%, la crescita dell’occupazione era del 2,8% e i tassi d’interesse reali sul decennale erano del +4,0%.

In breve, il 1997 ha generato una delle performance macroeconomiche più forti degli ultimi decenni, anche con rendimenti aggiustati all’inflazione sul decennale americano del +4,0%. Quindi non c’era alcuna ragione per una massiccia compressione dei tassi d’interesse, ma questo è esattamente ciò che la FED ha architettato nei due decenni successivi. Come mostrato nel grafico qui sotto, i tassi sono stati sistematicamente spinti più in basso di 300-500 punti base lungo la curva fino al punto più basso nel periodo 2020-2021.

I rendimenti attuali sono più alti di 300-400 punti base rispetto al recente minimo, ma il punto è questo: sono tornati solo ai livelli nominali prevalenti all’inizio del 1997, anche se l’inflazione è al 3-4% annuo, il doppio rispetto ai livelli del 1997.

Rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi, dal 1997 al 2024

Sfortunatamente anche se la FED si è lentamente mossa verso la normalizzazione dei rendimenti, come mostrato nel grafico sopra, Wall Street sta esercitando una pressione incessante per una nuova tornata di tagli dei tassi, i quali si tradurrebbero in un’altra ondata di profonda repressione e distorsione dei tassi d’interesse che ha alimentato l’abbuffata fiscale di Washington dall’inizio del secolo.

Allo stato attuale il debito pubblico sta già crescendo a un ritmo accelerato, ancor prima che l’economia americana soccomba alla recessione che sta ora prendendo forza. Il debito pubblico è aumentato di $1.000 miliardi ogni 100 giorni; sono $10 miliardi al giorno, $416 milioni all’ora.

Infatti il debito dello Zio Sam è aumentato di $470 miliardi nei primi due mesi di quest’anno raggiungendo i $34.500 miliardi e si appresta a superare i $35.000 miliardi in poco più di un mese, i $37.000 miliardi ben prima della fine dell’anno e i $40.000 miliardi l’anno prossimo. Si tratta di circa due anni in anticipo rispetto alle attuali previsioni del Congressional Budget Office.

Stando al percorso attuale, inoltre, il debito pubblico raggiungerà i $60.000 miliardi entro la fine del periodo di bilancio decennale. Ma anche questo dipende dall’ultima versione dello Scenario Roseo del CBO, che non prevede alcuna recessione, solo un’inflazione del 2% a perdita d’occhio e tassi d’interesse reali di appena l’1%. E questo per non parlare delle migliaia di miliardi in falsi tagli alla spesa e di aumenti fiscali che sono incorporati nella linea di base del CBO, ma che il Congresso non permetterà mai che si materializzino.

Ciò che è peggio, anche con la parziale normalizzazione dei tassi, è un vero e proprio tsunami di spesa per interessi federali che ora sta prendendo piede. Questo perché i rendimenti estremamente bassi del periodo dal 2007 al 2022 si stanno ora spostando verso gli attuali tassi di mercato mostrati sopra, nello stesso momento in cui l’ammontare del debito pubblico sta schizzando alle stelle. Di conseguenza il tasso annuale di spesa per interessi ha toccato $1.100 miliardi a febbraio e si dirigerà verso i $1.600 miliardi entro la fine dell’anno fiscale a settembre.

Infine, anche se il tasso di interesse passivo è salito alle stelle, i burocrati del Tesoro americano hanno drasticamente ridotto la scadenza del debito in sospeso, man mano che si rinnova. Di conseguenza più di $21.000 miliardi in titoli del Tesoro americano sono stati rifinanziati nel mercato obbligazionario con durata inferiore a un anno, abbassando così la scadenza media ponderata del debito pubblico a meno di cinque anni.

La scommessa è che la FED taglierà presto i tassi. Come sta diventando sempre più evidente di giorno in giorno, questo non è proprio nei piani: non importa come lo si considera, il livello corrente dell’inflazione è rimasto estremamente vischioso e non mostra segni di scendere al di sotto dell’attuale range del 3-4% tanto presto.

Ecco l’unico “beneficio” derivante dalle politiche pro-inflazione della FED sin dall’arrivo di Greenspan all’Eccles Building: hanno inondato i vertici della scala economica con giganteschi guadagni di ricchezza grazie all’implacabile inflazione dei prezzi degli asset finanziari. Nel corso dei 34 anni successivi al 1989, quindi, il patrimonio netto è aumentato come segue:

Guadagno netto aggregato, dal quarto trimestre del 1989 al terzo trimestre del 2023

• Lo 0,1%, o 131.000 famiglie (area viola): +$18.200 miliardi, o l’11,4X

• L’1,0% più ricco, o 1,34 milioni di famiglie (area nera): +$40.000 miliardi, o il 9,5X

• Il 50% più povero, o 65,7 milioni di famiglie (area blu): +$3.700 miliardi, o il 5,1X

I corrispondenti guadagni patrimoniali netti su base familiare sono i seguenti:

Guadagno netto per famiglia, dal quarto trimestre del 1989 al terzo trimestre del 2023

• Lo 0,1%: +$139 milioni ciascuna

• L’1,0%: + $30 milioni ciascuna

• Il 50% più basso: +$55.000 ciascuna

• Rapporto tra lo 0,1% superiore e il 50% inferiore:  2.500X

Patrimonio netto aggregato per classe economica, dal quarto trimestre del 1989 al terzo trimestre del 2023

Inutile dire che l’unico gruppo che ha sperimentato guadagni di ricchezza netta più o meno in linea con la crescita del PIL nominale durante suddetto periodo di 34 anni sono stati i 65,7 milioni di famiglie più povere. Il loro guadagno del 5,1X è stato solo leggermente maggiore all’aumento del 4,9X del PIL nominale, il quale è passato da $5.700 miliardi a $27.600 miliardi.

La vera esplosione del patrimonio netto in cima alla scala economica con più del doppio del guadagno del PIL, quindi, non dovrebbe essere confusa con una virtù superiore, una maggiore capacità di investimento, o qualsiasi altro fattore meritorio.

Al contrario, si è trattato di una manna sulla scia della massiccia e artificiale inflazione dei prezzi degli asset finanziari. In termini approssimativi, questi guadagni inaspettati favoriti dalla FED ammontano a circa la metà del guadagno riportato sopra, ovvero circa $20.000 miliardi per l’1% più ricco e $9.000 miliardi, ovvero circa $70 milioni per famiglia, per lo 0,1% più ricco.

C’è da meravigliarsi se i concierge finanziari a Wall Street, e che si rivolgono alla piccola popolazione nazionale di detentori di asset finanziari, stiano attualmente battendo i piedi per un altro giro di tagli dei tassi?

I loro clienti non solo vogliono un’altra gigantesca manna, ma a loro giudizio ne hanno diritto. È solo questa la sostanza delle ragioni a favore dei tagli dei tassi nel contesto della massiccia saturazione dei mercati finanziari con credito a basso costo, non ne esiste nessun altra.

Ciò che questa gente ignora è che il tasso d’inflazione corrente è essenzialmente privo di significato. Ciò che conta è la variazione cumulativa in un periodo di tempo ragionevole, nonché il contesto macroeconomico più ampio in cui è incorporata la variabile dell’inflazione.

In tal senso ciò che è rilevante è che il livello generale dei prezzi misurato dall’IPC è salito del 28% sin da gennaio 2017. Vale a dire, le politiche di spesa/prestito/stampa dell’Unipartito al governo hanno distrutto quasi un terzo del potere d’acquisto attribuibile a un dollaro di risparmi o salari sin da allora.

Ci si potrebbe chiedere, quindi, se non siano già state inflitte sufficienti sanzioni in materia di inflazione alle famiglie di Main Street… Non esiste una nozione economica di buon senso che suggerisca che la massiccia ondata inflazionistica, soprattutto nel 2021 e nel 2022, meriti un periodo correttivo con un’inflazione scarsa, nulla, o addirittura negativa?

Le chiacchiere attuali a Wall Street vanno nella direzione opposta. Secondo il giudizio dei giocatori d’azzardo e degli speculatori che operano lì, la FED dovrebbe ricominciare a schiacciare i tassi d’interesse nel momento in cui, torturando adeguatamente il parametro che misura l’inflazione dei prezzi, esso si ritrova temporaneamente nell’area del 2,00%. Ovviamente stiamo parlando di pura e semplice manipolazione statistica della realtà, soprattutto quando si tratta dei ridicoli sforzi per ridurre arbitrariamente e artificialmente il parametro dell’inflazione dei prezzi.

Ad esempio, di recente è stata spacciata la misura dell’inflazione “supercore”, la quale esclude cibo, energia, materie prime, manufatti e protezione dall’IPC!

Proprio così. Queste voci rappresentano il 62% del peso nell’indice dei prezzi al consumo e oltre l’85% del peso in un tipico bilancio familiare a reddito medio-basso, ma vengono scartate perché per un certo periodo sembrava stessero tornando al 2,00% più velocemente dell’indice nella sua interezza.

Ma questo tipo di manipolazione non è nemmeno intelligente, per non parlare dell’essere lontanamente onesta. È solo una scusa per capitolare di fronte alle incessanti richieste di Wall Street e dell’1% per  un’altra dose di liquidità a basso costo e per la spinta che essa fornisce ai prezzi degli asset finanziari.

Inutile dire che il massiccio pompaggio monetario negli ultimi decenni ha causato innumerevoli danni all’economia di Main Street e alle classi salariate. E questo danno risiede nel fatto che l’inflazione è sempre e comunque cumulativa, non mensile, trimestrale o addirittura annuale. Si tratta di un livello dei prezzi in costante aumento, non di un tasso di variazione a breve termine.

Pertanto quando un danno cumulativo è stato causato da un’ondata inflazionistica nel corso del tempo, le macchinazioni keynesiane di guardare ai numeri in base ai cosiddetti “dati in entrata” sono a dir poco perverse.

Il grafico seguente fornisce uno straordinario esempio calzante. Dall’agosto del 1971 l’indice del costo unitario del lavoro negli Stati Uniti è aumentato del 350%, mentre i sindacati e i lavoratori hanno inseguito l’ondata infinita di aumento del costo della vita. Non tutto il resto del mondo ha seguito l’esempio, lasciando intatta inizialmente la posizione competitiva dell’America.

L’inflazione monetaria della FED è diventata universale, poiché le banche centrali estere hanno stampato in stretta collaborazione con essa. Ciò ha significato che enormi quantità di debito a buon mercato hanno inondato le economie in via di sviluppo e a basso costo di manodopera, mettendo così strumenti moderni e tecnologie di produzione nelle mani di lavoratori che fino a quel momento erano stati agricoltori di sussistenza o lavoratori che guadagnavano salari solo una frazione dei livelli statunitensi.

Inutile dire che, 50 anni dopo e con un prezzo più alto del 350% in termini di dollari, i lavoratori dell’industria statunitense non avevano più alcuna possibilità di rimanere competitivi. La FED ha sostanzialmente inondato il mercato mondiale con manodopera a basso costo, resa possibile da capitale e tecnologia a buon mercato ma all’avanguardia.

Variazione dei costi unitari del lavoro, dal secondo trimestre del 1971 al quarto trimestre del 2023

Inutile dire che, almeno dall’inizio del secolo, i nodi sono venuti al pettine. Quasi tutta la “crescita” dell’economia statunitense è avvenuta nel settore dei servizi a salari bassi, comprese le strutture di vendita all’ingrosso, di magazzinaggio e di consegna al dettaglio che distribuiscono beni fabbricati all’estero.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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