L’ennesima lettura distorta del BLS riguardo le cifre dell’inflazione
A volte pensiamo che i dirigenti del BLS e di altri centri statistici governativi abbiano avuto una precedente carriera nella vendita di terreni paludosi in Florida. Spesso vogliono farvi credere cose assolutamente assurde, come la loro ultima relazione secondo cui la battaglia contro l’inflazione è stata vinta, con il deflatore PCE arrivato a un tasso annuo dell’1,65% nel quarto trimestre.
Quindi con il genio dell’inflazione presumibilmente tornato nella lampada del 2,00%, la FED dovrebbe affrettarsi a rimettere in moto la stampante monetaria, e al più presto.
Malgrado ciò la straordinaria scomparsa dell’inflazione riportata nel deflatore PCE ha bisogno di alcune “spiegazioni”, dato che tale lettura consisteva in alcune sottocomponenti abbastanza discordanti.
Cambiamenti nelle componenti del deflatore PCE annuo nel quarto trimestre 2023:
• Beni durevoli: -3,52%
• Servizi: +3,42%
• Beni non durevoli: -1,03%
• Deflatore PCE complessivo: +1,65%
Si suppone che un indice d’inflazione basato su un paniere di voci abbia componenti che vanno in tutte le direzioni. E, infatti, il vero compito dei prezzi in un libero mercato è quello di consentire alla domanda di spostarsi in risposta alle variazioni dei prezzi relativi tra beni e servizi disponibili.
Ma ecco il punto: l’unico vero strumento anti-inflazione della FED consiste nel modificare il tasso d’interesse del mercato monetario sulla base della teoria che ciò causerà un flusso/riflusso della domanda aggregata. A sua volta, poi, quest’ultima farà lievitare il tasso d’inflazione verso l’alto o verso il basso.
In termini metaforici, l’economia americana è concepita dai banchieri centrali come l’equivalente di una gigantesca vasca da bagno: quando quest’ultima è piena fino all’orlo, o trabocca di “domanda aggregata”, le pressioni inflazionistiche s’intensificano finché la FED non drena l’eccesso. E, al contrario, quando il livello dell’acqua è basso, la FED pretende di “stimolare” l’economia letargica con l’obiettivo di ripristinare la piena occupazione.
Ahimè, queste sono tutte sciocchezze. La macroeconomia è guidata da miliardi di prezzi per unità di beni, servizi, lavoro, capitale, terra, tecnologia, ecc., non da aggregati astratti come il “consumo” delle famiglie o gli “investimenti” delle imprese.
I flussi associati a $27.000 miliardi di attività economica nella vasca da bagno degli Stati Uniti vengono deviati, incanalati e modulati in modo alquanto imprevedibile da miliardi di prezzi e transazioni tra fattori economici; e sono anche soggetti alle macchinazioni delle altre banche centrali, che, a loro volta, sono mediate attraverso il flusso mondiale di beni e servizi scambiati, nonché di capitali e finanza.
Più nello specifico, il problema in termini di tassi d’inflazione di breve periodo è che la stragrande maggioranza dei beni durevoli viene importata, mentre la maggior parte dei servizi viene fornita a livello nazionale e riflette in gran parte salari e costi interni. Di conseguenza le operazioni di pompaggio della domanda aggregata dovrebbero presumibilmente avere un impatto sui prezzi dei servizi piuttosto che su quelli dei prezzi dei beni durevoli, e in alcuni casi (come i giocattoli importati) quasi nullo.
Sebbene la FED abbia schiacciato il freno da marzo 2022, quando è entrata ufficialmente in modalità lotta all’inflazione, da allora il deflatore PCE per i servizi (linea rossa) è salito di un robusto +8,7%.
Infatti dopo sette trimestri di cura contro l’inflazione, la componente del deflatore PCE più direttamente sulla linea del fuoco monetario della FED ha accelerato. Proprio così. Durante i sette trimestri precedenti alla brusca frenata della FED nel marzo 2022, il deflatore PCE per i servizi stava salendo a un ritmo annuo del 4,23%; in risposta al tonico anti-inflazione della FED, il tasso di aumento annuo è salito al 4,88% nei sette trimestri successivi.
Né è l’unico ooops! Quando si tratta della componente del deflatore PCE che la domanda aggregata può raggiungere solo indirettamente – quella per i beni durevoli (linea blu) fabbricati in Cina e in altre economie di esportazione a basso salario – l’indice dell’inflazione ha subito una violenta inversione: dopo essere aumentato a un ritmo annuo del +7,09% nei sette trimestri fino al primo trimestre del 2022, da allora si è invertito calando annualmente del -0,92%.
Inoltre il deflatore PCE per i beni non durevoli (linea viola) si è posizionato nel mezzo, aumentando a un ritmo annuo del +3,27% negli ultimi sette trimestri. Questa componente comprende energia, prodotti alimentari e altre materie prime, anch’esse in gran parte acquistate e prezzate a livello globale e al di là dell’impronta di controllo della FED, ma ovviamente soggetti a forze diverse rispetto agli apparenti fattori deflazionistici che influiscono sul mercato mondiale dei beni durevoli.
In breve, stiamo parlando di un periodo intermedio di 21 mesi che coincide direttamente con la brusca svolta della FED verso la stretta monetaria, eppure il risultante tasso di aumento annuo del 3,83% nel deflatore PCE complessivo (linea nera) durante tale periodo era essenzialmente il prodotto matematico casuale di:
• elevata inflazione dei servizi interni che la FED non è riuscita a ridurre materialmente;
• disinflazione dei beni durevoli originata dalle economie di esportazione straniere, dove la presunta riduzione della domanda aggregata da parte della FED ha rappresentato solo un fattore minore nell’equazione.
Quindi il grafico qui sotto smentisce la presunta vittoria sull’inflazione. Gran parte del miglioramento del deflatore PCE è dovuto ai beni importati, non alla presunta contrazione della domanda interna rispetto all’offerta interna secondo le sciocchezze della curva di Phillips.
A dire il vero, i vertici della FED vorrebbero rivendicare il merito di un deflatore PCE leggermente in calo grazie al calo dei prezzi dei beni durevoli, ma per quanto ne sappiamo non hanno ancora stabilito alcun tipo di linea di swap sull’inflazione con la Banca popolare cinese! O con una qualsiasi delle altre banche centrali, come quella del Vietnam, della Corea del Sud, del Messico, ecc., le cui economie ospitano la produzione dei beni durevoli importati negli Stati Uniti negli ultimi trimestri.
In altre parole la FED non è diventata improvvisamente risoluta riguardo al ritmo dell’inflazione dopo il marzo 2022. È stata semplicemente fortunata!
E questa non è nemmeno la metà della storia. Non solo gli “strumenti” della FED non sono adatti allo scopo quando si tratta di inflazione e delle altre forze che influenzano il PIL nazionale, ma è in dubbio anche se i suoi dati sull’inflazione stiano misurando qualcosa di più del semplice rumore dei prezzi.
Dopotutto il grafico del deflatore PCE riportato di seguito è dannatamente difficile da spiegare: la linea viola indica che il livello dei prezzi dei beni durevoli nell’economia statunitense è ora inferiore del 28% rispetto al primo trimestre del 1991!
Non ce lo stiamo inventando. Il fattore che ha continuamente assicurato ai nostri pianificatori monetari centrali che l’inflazione non fosse un problema – la componente dei beni durevoli nel deflatore PCE – sfida letteralmente l’esperienza comune e il buon senso. Non c’è la minima possibilità che i prezzi dei beni durevoli siano oggi quasi un terzo più bassi – dopo anni di dilagante stampa di denaro da parte delle varie banche centrali – rispetto a trent’anni fa.
Deflatore PCE per beni durevoli rispetto all’indice IPC per beni durevoli, dal 1991 al 2023
E già che ci siamo, potremmo far notare che gli ex-venditori di terreni paludosi della Florida che ora gestiscono il BLS credono che non ci siano limiti alla creduloneria di chi li ascolta. Il grafico qui sopra mostra anche una correlazione assolutamente impossibile: in 32 anni l’IPC per i beni durevoli è salito del +8%, mentre il metro di misura per gli stessi beni durevoli da della FED si è ridotto del -28 %.
Il fatto è che nessuna di queste linee potrebbe essere lontanamente vera. Il peso maggiore negli indici dell’inflazione dei beni durevoli spetta alle auto nuove e usate, che per decenni si sono mossi di pari passo.
L’indice Mannheim dei veicoli usati, che riflette i prezzi d’asta onesti per decine di milioni di veicoli ogni anno, è quasi altrettanto valido quando si tratta di misurare l’inflazione dei veicoli. Ed è di gran lunga migliore rispetto agli indici manipolati, imputati, stimati e torturati algebricamente del BLS.
Il grafico seguente afferma che i prezzi reali dei veicoli nel mondo sono aumentati del 102% solo a partire dal 1998. E in tal periodo l’indice dei prezzi al consumo per i veicoli nuovi è aumentato appena del 20%!
Si può dire edonica? Eppure non è tutto. La componente del prezzo dei veicoli nel deflatore PCE per i beni durevoli è implicitamente crollata, un fenomeno che nessun singolo acquirente americano di automobili ha sperimentato negli ultimi tre decenni.
Quindi sorgono due domande:
La FED dovrebbe stampare denaro sulla base di un presunto deflatore PCE addomesticato?La FED dovrebbe occuparsi del trade-off della curva di Phillips e della gestione macroeconomica?
Le risposte “No” e “No” ovviamente sono sufficienti. E ad alta voce.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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