Perché lo “sfruttamento dei lavoratori” è un mito

Perché lo “sfruttamento dei lavoratori” è un mito

 

 

di Antony Sammeroff

“Per dimostrare che si tratta di una mezza verità, dobbiamo ricorrere a lunghe e definitive dissertazioni”

~ Frédéric Bastiat

È ancora diffusa l’idea che i datori di lavoro stiano in qualche modo sfruttando le persone che lavorano per loro, nonostante il fatto che i datori di lavoro fanno di più per le finanze del lavoratore rispetto a tutte le altre persone che non lo assumono. Potrei aggiungere, forse in modo un po’ scherzoso, che possiamo includere anche tutti quei leoni da tastiera che sostengono che inserire qualcuno nel mondo del lavoro equivalga allo sfruttamento.

È vero che i lavoratori vengono pagati meno del valore totale di ciò che producono, ma ciò accade perché ciò che producono è realizzato con altre risorse che devono essere acquistate, e in una fabbrica o in un luogo di lavoro che ha un prezzo e richiede spese generali. Il capitalista è responsabile del pagamento del marketing e della pubblicità per collegare il prodotto ai potenziali acquirenti – e alla fine, se il prodotto non vende, tutti gli altri sono già stati pagati mentre il capitalista si accolla la perdita.

Egli offre una visione di ciò che pensa possa soddisfare i bisogni delle persone meglio di quanto non siano soddisfatti attualmente. Ciò richiede una competenza particolare che costituisce di per sé un apporto di lavoro superiore a quello degli altri dipendenti, peculiare solo dell’imprenditore. Se la sua visione è chiara, ne trarrà profitto; se è difettosa, subirà una perdita. Questo non è un rischio necessario, infatti assenza del motivo del profitto una persona ricca è più propensa ad acquistare una casa più grande o ad andare in crociera. Ma il capitalista corre un rischio adesso e rinuncia al consumo nel presente, nella speranza di raccogliere i benefici in seguito. Questo fa parte di ciò per cui viene pagato.

Viene anche pagato per il tempo che intercorre tra l’investimento e la maturazione di quest’ultimo. Preferiremmo tutti avere risorse qui e ora piuttosto che in un momento futuro, perché quest’ultimo è incerto, ecco perché i creditori possono addebitare interessi sul denaro che viene dato in prestito. Scelgono difatti di rinunciare a una quantità minore di consumo ora per una maggiore in futuro. I lavoratori vengono pagati adesso, il capitalista viene pagato più tardi, dopo che il prodotto è stato venduto e solo SE viene venduto. L’economista Eugen von Böhm-Bawerk spiegò che, lungi dallo sfruttare il lavoro, il capitalista toglie ai lavoratori il peso di aspettare il reddito. Se volessero produrre i beni da soli, dovrebbero anche aspettare di trovare un acquirente prima di ottenere un salario stabile, e dovrebbero prima risparmiare o prendere in prestito per accumulare le risorse in modo da acquistare una fabbrica o un laboratorio.

Infine vale la pena ricordare che il capitalista aumenta il valore del lavoro dell’operaio! Se un individuo decide di provare le stesse manovre altrove piuttosto che in una fabbrica, non produrrà molto valore per nessun altro. Chiaramente i lavoratori possono guadagnare di più lavorando per il loro datore di lavoro che per sé stessi, altrimenti si dichiarerebbero autonomi e dovrebbero provare a guadagnare un reddito più alto. Forse alcuni di loro potrebbero guadagnare di più lavorando in proprio, ma non vogliono assumersi le responsabilità di ciò che comporta e che attualmente spetta all’azienda che li impiega. Anche questa è una prova che i capitalisti creano valore.

I marxisti sostengono che i capitalisti scremano i loro profitti senza fornire alcun valore proprio – che “estraggono plusvalore” dai loro lavoratori. Ma se ciò fosse vero, le organizzazioni no-profit entrerebbero in azione e indebolirebbero le aziende a scopo di lucro eliminando il “peso morto” del pagamento di un capitalista. Non lo fanno perché non possono. I capitalisti forniscono competenze o visioni che avvantaggiano i loro lavoratori. Ciascuno trae vantaggio dallo scambio reciproco, come dimostra il fatto che se il lavoratore potesse ottenere un accordo migliore lo accetterebbe, e se il datore di lavoro riuscisse a trovare lavoratori migliori, li assumerebbe invece.

In definitiva, i salari non sono una cifra arbitraria ma un riflesso di quanto valore un dipendente è in grado di fornire a un cliente. Se una persona vuole sbarazzarsi di un datore di lavoro, può farlo apprendendo competenze, sia sul posto di lavoro che al di fuori di esso. Allo stesso modo i profitti non sono arbitrari ma riflettono il valore che un’azienda offre sul mercato, a condizione, ovviamente, che traggano i loro profitti servendo il mercato piuttosto che facendo appello allo stato, ma questo è materiale per un altro articolo.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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