Sovranismo, Parte #3: Mega-politica, la storia e la logica della violenza

di Robert Breedlove

Nella Parte #2 abbiamo esaminato da vicino la principale innovazione nella transizione mondiale verso il sovranismo: Bitcoin. Funzionando come la “banca offshore definitiva” del XXI secolo, Bitcoin è uno strumento indispensabile per gli intrepidi sovranisti che salpano nelle acque internazionali digitali. Oggi analizzeremo le variabili mega-politiche che hanno galvanizzato l’organizzazione socioeconomica umana e la logica della violenza nel corso della storia, e come i cambiamenti in queste considerazioni chiave sulla civiltà plasmeranno il futuro.

Mega-politica

“Se non sai nient’altro del futuro, puoi stare certo che i cambiamenti importanti non saranno né accolti né pubblicizzati dai pensatori convenzionali.”

~ The Sovereign Individual

La mega-politica è lo studio dei modelli macrostrutturali che si riverberano nella storia della civiltà. Uno studioso di storia poco perspicace può essere perdonato per l’errata convinzione che i manifesti politici e i decreti che ne scaturiscano dirigano l’organizzazione socioeconomica. Anche se marginalmente vero, esistono fattori più critici ma meno ovvi che modellano i principali modelli strutturali delle società nel tempo. Le variabili mega-politiche – tra cui la topografia, il clima, la microbiologia e la tecnologia – rappresentano storicamente la stragrande maggioranza della variabilità tra le numerose modalità di auto-organizzazione socioeconomica dell’umanità. In gran parte al di fuori della portata di qualsiasi controllo cosciente, questi elementi scarsamente compresi modellano i canali attraverso i quali viene focalizzata l’energia umana e viene esercitato il potere politico. Innumerevoli mezzi di sussistenza sono stati curati dalla configurazione di questi confini non evidenti per l’azione umana.

La topografia è la variabile mega-politica più evidente: la topografia del paesaggio e l’accesso ai paesaggi marini determinano in gran parte i costi di distribuzione e difesa. Le regioni montuose hanno dato rifugio a molte popolazioni ingovernabili semplicemente perché il costo di “proiettare il potere in salita” è proibitivo. L’accesso acquatico consente l’uso di rotte commerciali efficienti dal punto di vista energetico e lo schieramento di forze navali per difendere le reti economiche. Gli antichi greci, ad esempio, godevano di un elevato rapporto tra litorale e territorio interno, il che consentiva loro di generare redditi elevati su piccoli appezzamenti esportando in modo efficiente olio, olive e vino. L’accumulo di ricchezza generata dall’accesso al mare permise ai greci di armarsi e di schierare una marina competente per proteggere dai saccheggiatori i loro crescenti stock di capitale.

“La linea costiera frattale del litorale greco significava che la maggior parte delle aree della Grecia non erano a più di venti miglia dal mare […]. I famosi opliti dell’antica Grecia erano agricoltori, o proprietari terrieri, che si armavano a proprie spese.”

~ The Sovereign Individual

La costa frattale dell’antica Grecia offriva un netto vantaggio mega-politico

Il clima è una chiara condizione mega-politica che definisce i confini degli insediamenti umani. Sebbene in qualche modo prevedibile nell’arco di decenni, il clima è costantemente in mutamento e altamente imprevedibile su orizzonti temporali più brevi. Le fluttuazioni meteorologiche stagionali possono avere un impatto determinante sui raccolti; anche lievi cambiamenti ai modelli climatici possono modificare in modo significativo le strategie agricole dell’umanità: ad esempio, un calo della temperatura anche di 1 °C può ridurre le stagioni di crescita di 4 settimane e l’altitudine massima per la coltivazione a 150 metri. Storicamente i cambiamenti improvvisi del clima hanno avuto effetti distruttivi sui redditi agricoli e sulla produzione alimentare, in molti casi “seminando i semi” dell’instabilità politica e della rivolta. I cambiamenti climatici possono anche stimolare o sopprimere in modo significativo l’influenza di un’altra variabile mega-politica chiave: le condizioni microbiologiche.

La microbiologia è una variabile in gran parte invisibile che, prima del XX secolo, era poco compresa. Ogni corpo umano è un mercato di microbi che dipende da un certo grado di equilibrio ecologico per sopravvivere e prosperare. Le culture che tipicamente consideriamo come un nesso di costumi e idee comuni sono spesso anche culture di microbiologia comune. Popolazioni specifiche sono spesso altrettanto resistenti o suscettibili ai microbi estranei, una dinamica che in tutta la storia ha modellato in modo significativo gli esiti della commistione culturale. La mancanza d’immunità ai microbi estranei causò la morte in massa delle popolazioni native americane dopo il primo incontro con i coloni europei nel XV secolo. In quel caso un contagio letale aprì la strada alla conquista europea nel Nuovo Mondo, ma la microbiologia può anche essere difensiva: nonostante i forti vantaggi militaristici, vaste regioni tropicali dell’Africa furono per secoli inespugnabili da parte degli europei perché privi di sufficiente immunità alla malaria, mentre gli africani avevano sviluppato una resistenza (una difesa che, sfortunatamente, è correlata alla prevalenza della sindrome falciforme).

Con l’avanzare della civiltà, queste tre variabili mega-politiche – topografia, clima e microbiologia – sono state gradualmente eclissate in termini di importanza dalla quarta: la tecnologia.

La tecnologia cambia il modo in cui gli esseri umani si relazionano con le altre tre variabili mega-politiche. Grazie all’applicazione dell’intelletto umano, sono stati ottenuti modi più potenti e precisi per incanalare un’ampia varietà di energie attraverso lo spazio-tempo. Gli esplosivi, l’ingegneria del movimento su terra e la bonifica dei terreni hanno consentito agli esseri umani di rimodellare la topografia della Terra per renderla più abitabile. Sebbene il controllo manuale sui modelli climatici rimanga oggi ancora fuori dalla portata della tecnologia, molti dispositivi moderni rendono vivibili luoghi un tempo inabitabili: ad esempio, diverse aree del Sud-est degli Stati Uniti erano totalmente invivibili prima del 1900 e dell’invenzione dell’aria condizionata. Vicino all’apice dell’impatto della tecnologia sull’umanità c’è la scoperta degli antibiotici, i quali hanno aumentato l’aspettativa di vita di oltre il 50% nell’arco di pochi decenni. Naturalmente la lotta umana contro le minacce microbiologiche è in corso, come ha chiaramente dimostrato il Covid-19, ma la tecnologia medica è la modalità più efficace per ridurre l’esposizione umana all’entropia della malattia.

La tecnologia è anche una variabile mega-politica critica, perché fornisce mezzi di attacco e difesa sempre più sofisticati. Entrambe le guerre mondiali del XX secolo possono essere pensate come teatri di violente dimostrazioni tecnologiche: una pletora di scimmie a due zampe che mettono alla prova le meraviglie della carneficina sviluppate nell’era industriale. Gli strumenti e le tecnologie creati dall’uomo fungono da fulcro di un concetto cruciale nell’organizzazione socioeconomica: la logica della violenza. In molte ecologie, la violenza è una strategia comprovata per garantire sostentamento, territorio e capitale; la predazione tra organismi è una strategia di sopravvivenza comune in natura. L’organizzazione socioeconomica umana oggi è vincolata alla violenza perché frutta profitti a coloro che si specializzano in essa.

Poiché la violenza paga, è intrinsecamente difficile da controllare, dato che rappresenta un modello di azione spinto dall’autoconservazione darwiniana. Detto diversamente, nello stato di natura rosseauiano, la violenza è una strategia utile per ottenere con profitto i risultati desiderati derivanti dal lavoro degli altri: un po’ come una mucca che pascola e si nutre della luce solare nelle foglie dell’erba che mangia, o un essere umano che successivamente divora l’energia solare raccolta all’interno della bistecca di mucca. Tutte le strategie competitive sono scolpite dalla ricerca del profitto: che si tratti di profitti psicologici, energetici o finanziari, fa poca differenza.

Le attività redditizie sono intrinsecamente difficili da controllare, poiché esistono pochi stimolanti più potenti per l’azione umana oltre a questa motivazione primordiale. Ma nel XXI secolo la logica e la redditività della violenza e della coercizione stanno vivendo un cambiamento paradigmatico. Una trasformazione nei metodi e nell’accessibilità economica della difesa contro queste forze offensive è in corso grazie alle nuove realtà mega-politiche del mondo digitale. La crittografia è una tecnologia eccezionalmente potente con conseguenze socioeconomiche simili alla metallurgia, o alla polvere da sparo. La crittografia altera la logica e l’applicabilità della violenza e della coercizione, aumentando l’efficacia della difesa e contemporaneamente facendo crollare componenti chiave della sua struttura dei costi. Con set di strumenti digitali crittografati, gli individui possono erigere muri impenetrabili attorno ai dati (e, grazie a Bitcoin, al capitale) a costo quasi zero. Le conseguenze di questa tecnologia sono sconcertanti. Per apprezzare appieno le implicazioni del crollo dei costi di difesa per la civiltà, dobbiamo prima esplorare la logica della violenza insita nella sua struttura esistente.

Il cambiamento nel calcolo della violenza

“Lo stato-nazione ha facilitato la predazione sistematica e su base territoriale.”

~ The Sovereign Individual

Considerati i reciproci antagonismi che possono sorgere tra gli attori di mercato, la violenza (o almeno la minaccia del suo uso) è necessaria per preservare la pace. Garantire le reti economiche che costituiscono i liberi mercati è lo scopo dello stato: l’apparato sociale di costrizione e coercizione. I sistemi giudiziari, la polizia e le spese militari comprendono collettivamente i costi della “sicurezza della rete” necessari per proteggere la divisione sociale del lavoro – l’unico processo in grado di creare tutta la ricchezza in ogni rete economica. Gli specialisti in violenza sono sempre stati necessari per preservare la vita, la libertà e la proprietà; in altre parole, proteggere gli attori di mercato dalla violenza, dall’estorsione e dalla coercizione. I prezzi che gli specialisti della violenza erano in grado d’imporre nell’Era Analogica erano tipicamente alti e in crescita, poiché la sicurezza è un servizio indispensabile per preservare una cooperazione sociale e un’attività commerciale fruttuose.

La protezione è un settore intrinsecamente centralizzatore. Ogni volta che si verifica un conflitto tra due imprese dedite alla protezione, il vincitore è preferito da tutti i potenziali clienti, poiché nessuno vuole lavorare con il secondo miglior fornitore di sicurezza fisica, il quale, essendo stato sconfitto, rimarrà sempre vulnerabile ai capricci del migliore. Detto in modo semplice: i servizi di protezione tendono ad agglomerarsi in monopoli geografici. Nel mercato della protezione “chi vince prende tutto”, lo specialista supremo nella violenza su un dato territorio è, per definizione, lo stato. I confini tra i vari stati, ovviamente, sono tracciati dall’interazione di variabili mega-politiche; dal punto di vista storico all’interno di tali confini la specializzazione della violenza ha tipicamente guidato la centralizzazione della governance. Ecco come Frederic C. Lane descrive questa progressione verso la monopolizzazione della violenza e l’emergere dello stato:

Una volta eliminati dal territorio del suo monopolio tutti i concorrenti nell’uso della violenza, potrebbe ridurre i costi della sorveglianza di quel territorio e di estrazione di pagamenti dai suoi agricoltori, artigiani e commercianti locali. Potrebbe ridurre i costi sostenuti per la produzione e la vendita di protezione, a meno che non vi sia una pericolosa minaccia dall’esterno. I costi potrebbero essere ulteriormente ridotti se lo stato acquisisse legittimità, sia attraverso il mero tempo e la consuetudine, sia attraverso atti cerimoniali e religiosi, o attraverso qualsiasi forma di appello all’opinione pubblica che stabilisca legittimità e sia un modo meno costoso di controllare la violenza rispetto alla spesa per le forze di polizia. […] La riduzione dei costi di un’impresa produttrice di protezione non porta necessariamente ad una riduzione delle sue estrazioni. Essendo un monopolio, potrebbe mantenere il suo “prezzo di vendita”, o addirittura aumentare il prezzo fino al punto in cui incontra una sorta di resistenza alle vendite, vale a dire difficoltà nella riscossione delle tasse, o al punto in cui invita l’ingresso di un concorrente nel territorio monopolizzato. L’abbassamento dei costi, stabilendo al tempo stesso i prezzi più alti che si possano sopportare, concede all’impresa che controlla il mercato della protezione un eccesso di reddito rispetto ai costi. Si tratta di un tipo speciale di profitto dal monopolio (o surplus del produttore) che è più appropriato definirlo con il nome di tributo.

Pochi oggi si rendono conto che lo stato è nato come monopolio naturale sulla violenza. Paradossalmente nessun altro modello di business nella storia è stato così incline a violare la vita, la libertà e la proprietà dei propri clienti. C’è sempre stata una tentazione irresistibile a esercitare monopoli sulla violenza per estorcere ricchezza proprio agli stessi cittadini che sono socialmente obbligati a proteggere. Prezzi tristemente alti e bassa qualità dei servizi – come quelli resi oggi dagli stati-nazione in tutto il mondo – sono tra le inevitabili conseguenze negative della centralizzazione del potere. I monopolisti sono liberi d’imporre prezzi elevati finché i loro clienti non hanno alcuna possibilità, e i clienti non hanno altra scelta se non quella di pagare poiché la protezione è un servizio essenziale.

Dall’inizio dell’Era Industriale la crescita economica ha consentito agli imprenditori di assorbire i costi crescenti della protezione. Finché la divisione del lavoro si è specializzata sempre di più, la creazione di ricchezza è stata in grado di compensare gli aumenti (non consensuali) dei costi della sicurezza imposti dallo stato – che includono tassazione (non consensuale), inflazione dei prezzi e coscrizione. Gli attori di mercato tolleravano l’estorsione perché c’erano ancora profitti da realizzare sotto la protezione dello stato. Nell’Era Digitale la crittografia sta sconvolgendo l’equilibrio stabilito tra estorsione e protezione. Le implicazioni anche per le istituzioni più monolitiche dell’Era Industriale – banche centrali e stati-nazione – sono di proporzioni esistenziali: i modelli di reddito per tutti gli stati-nazione moderni dipendono da proprietà che possono essere facilmente saccheggiate (tramite signoraggio, tassazione, inflazione o coscrizione) e le istituzioni dominanti dell’Era Industriale stanno diventando sempre meno capaci di estorcere denaro ai cittadini nell’Era Digitale, poiché la crittografia protegge la proprietà dei cittadini dal sequestro forzato.

Chiaramente la violenza e la coercizione sono sempre meno efficaci, ma meno chiaro è il percorso che ha portato la civiltà a questo punto. In che modo l’organizzazione della violenza ha storicamente influenzato la configurazione della civiltà? Si tratta di un brutale processo dal quale nel XX secolo il capitalismo alla fine è emerso come la strategia dominante in materia di risorse.

Emanciparsi dalla violenza

“Le passate transizioni megapolitiche, come la caduta di Roma e la rivoluzione feudale dell’anno 1000, furono indicatori delle equazioni di potere crescenti e calanti che componevano i governi e fecero sì che il bottino dell’agricoltura passasse di mano da un gruppo all’altro.”

~ The Sovereign Individual

Come discusso in precedenza in questa serie, il capitalismo di stato ha surclassato il comunismo nel XX secolo: assimilando i bacini di conoscenza localizzati attraverso il segnale dei prezzi, il capitalismo ha generato molta più ricchezza del comunismo, portando infine al collasso finanziario dell’URSS e alla fine della Guerra Fredda. Come prologo al capitalismo schumpteriano propriamente inteso, Frederic C. Lane espone una teoria in 4 fasi dello sviluppo economico basato sull’organizzazione e sulla redditività storica della violenza:

• Fase 1: il saccheggio dilaga e l’anarchia è la modalità dominante di organizzazione sociale; un ambiente simile all’età dei cacciatori/raccoglitori o allo stato di natura rousseauiano. In questa fase la violenza è un’impresa altamente competitiva: i costi della protezione sono elevati e i margini per gli specialisti in violenza sono estremamente ridotti. Neutralizzare con successo i dissidenti locali e proteggere i confini delle enclavi geografiche porta infine alla creazione di aree pacifiche in grado di puntare sulla cooperazione sociale e sulle imprese commerciali. I cittadini di questi modelli di governance primitivi non hanno opzioni e mobilità, e quindi cedono la stragrande maggioranza dei surplus economici generati ai loro padroni monopolistici nel tentativo di sopravvivere. Tale creazione di centri commerciali regionali o provinciali ben difesi, inizialmente come piccoli monopoli basati sulla violenza naturale, porta alla seconda fase.

• Fase 2: Isolate dal saccheggio e dall’anarchia grazie alle imprese che forniscono protezione, le enclavi ben difese della produzione agricola e commerciale iniziano a creare surplus economici sempre maggiori. I governi, detenendo il monopolio naturale della violenza su queste enclave di produzione, prendono per sé la maggior parte di questo crescente surplus. In quanto monopolisti senza concorrenza endogena, i costi della difesa resi dai governi possono essere ammortizzati nel tempo, mentre le entrate connesse (tasse) possono essere aumentate fino al punto massimo sopportabile dall’economia produttiva sottostante, o altrimenti viene sollecitata la concorrenza esogena. Man mano che i fornitori in cerca di profitto stabiliscono monopoli più solidi, iniziano a offrire protezione a prezzi più bassi (incentivi fiscali) ai potenziali cittadini. Il conseguente aumento della produzione è un vantaggio per il surplus economico generato, il quale stimola il commercio interregionale tra enclavi adeguatamente protette. Questi commercianti iniziano quindi a generare profitti di arbitraggio giurisdizionale (quelli che Lane chiama “rendite di protezione”) ottenendo costi di protezione inferiori attraverso una mix di astuzia, corruzione, assicurazione e legittima difesa. Una terza fase viene raggiunta quando i profitti che affluiscono ai commercianti superano quelli che affluiscono ai governi.

• Fase 3: Grazie all’arbitraggio giurisdizionale, le imprese produttive ora ricevono una quota maggiore del surplus economico generato dalla divisione del lavoro rispetto ai governi. In questa fase le imprese private producono redditi sempre più alti rispetto ai monopoli sulla violenza. Poiché il successo dei commercianti deriva in gran parte da investimenti intelligenti, essi mostrano una maggiore propensione a reinvestire i profitti che guadagnano dalla loro percentuale, ora più elevata, del surplus economico. Ciò si traduce in un ciclo di feedback positivo di imprese commerciali in espansione, miglioramenti agricoli, innovazione e nuova industria. La quarta e ultima fase viene raggiunta quando l’innovazione tecnologica diventa la principale fonte di redditività sul mercato.

• Fase 4: In questa fase finale dello sviluppo economico antecedente all’emergere del capitalismo, prolifera una classe politica di ricchi mercanti e i monopoli sulla violenza finiscono sempre più sotto il controllo dei loro cittadini, come si riflette nella proliferazione di modelli di governance democratica. Fioriscono i lussi della moralità e della virtù moderne. I mercati dei capitali e del credito – che sono stati creati per servire le imprese di violenza e protezione – iniziano a servire le imprese agricole, commerciali e industriali (poiché la complessità della produzione e i profitti sono ora maggiori in questi settori). A questo punto la sequenza laneiana del prologo dello sviluppo economico lascia il posto al capitalismo schumpteriano.

Questa sequenza laneiana di sviluppo economico può essere pensata come un processo di emancipazione socioeconomico. Se paragonato all’informatica, i computer inizialmente eseguono un programma autoreferenziale (ad esempio, un compilatore C scritto nel linguaggio C) che carica ed esegue programmi costantemente più complessi per attivare un processo autosufficiente che procede senza input esterni. Una programmazione più veloce e ambienti più ricchi di funzionalità emergono a ogni livello più elevato di astrazione dal substrato hardware. Una qualche versione di questo processo si verifica ogni volta che si avvia un computer. Allo stesso modo l’umanità ascende a stadi sempre più complessi di organizzazione sociale (programmazione) e produzione economica (caratteristiche). Il nocciolo di questo processo socioeconomico è il sacrificio: l’idea, faticosamente scoperta dagli antichi esseri umani, di ritardare la gratificazione presente con l’obiettivo di migliorare il consumo futuro. Le condizioni iniziali si basano sull’utilità della violenza, compresi i ritorni economici attesi, l’accettazione socioculturale e la codifica istituzionale.

Nella Fase 1 l’umanità separa gli individui fisicamente robusti e virili da quelli deboli. Nella Fase 2 si cristallizzano modalità più complesse di auto-organizzazione umana e si espande la sicurezza della rete per il commercio, supportando così la divisione del lavoro e l’accumulo di energia potenziale umana (sotto forma di capitale) prima che venga raggiunto un punto critico. Nella Fase 3, quando è stato accumulato uno stock di capitale sufficiente ed è stata stabilita la pace a livello locale, emerge la politica e l’intelligenza e l’astuzia diventano qualità di leadership più importanti rispetto alla violenza manifesta. Di conseguenza coloro che sono più esperti in questo campo vengono spinti ai margini della rete economica, nell’impresa dell’espansione territoriale. Come un organismo micellare che inizia a produrre i suoi funghi riproduttivi, una volta sfruttata l’energia adeguata, le economie isolate dal governo si espandono in aree geografiche adiacenti, un’impresa che spesso comporta conflitti armati con altri governi. Infine, nella Fase 4, la produttività tecnologica è diventata la principale fonte di creazione di ricchezza, e la variabile mega-politica della tecnologia – l’indicizzazione degli atomi alle idee – diventa il determinante dominante nell’auto-organizzazione umana. Con l’accumulo di capitale che allevia la povertà e le tecnologie della comunicazione che accelerano il darwinismo delle idee, le “finzioni utili” moderne come le libertà civili, i diritti umani e la democrazia cominciano a fiorire.

I sovranisti vivranno abbastanza per vedere la fase post-capitalismo di stato in questa sequenza di sviluppo economico: la generazione di uno stock di capitale sufficientemente sofisticato di hardware, software e strumenti digitali che annulla l’influenza coercitiva degli stati-nazione conferendo agli individui un ampio potere di controllo e uno spettro di opzioni in ambiti critici come il capitale, le armi, la posizione, l’identità, l’anonimato, le comunicazioni e l’autodifesa. Nessuno sa esattamente come appariranno le (molteplici) implementazioni del sovranismo, ma la sua affermazione come ideologia guida della civiltà è certa quanto i principi biologici che ne hanno spinto l’esistenza. Gli amanti della pace in tutto il mondo troveranno presto motivo di festeggiare, poiché i sovranisti saranno incentivati a cooperare e competere in modo non violento. Aspettatevi di vedere culture globali caratterizzate meno da “falchi” e più da “colombe” man mano che il XXI secolo andrà avanti.

 

Un’arma di pace

“Quando le capacità difensive aumentano, diventa più costoso proiettare il potere al di fuori delle aree centrali, causando la devoluzione delle giurisdizioni e la frattura dei grandi governi in governi più piccoli.”

~ The Sovereign Individual

La Teoria dei giochi può fornirci una comprensione più profonda dell’impatto che il capitale a prova di furto ha sulla configurazione mondiale del potere, della ricchezza e dell’organizzazione socioeconomica. Nel modello evolutivo della Teoria dei giochi “Falchi contro Colombe”, tutti i falchi e le colombe sono ugualmente forti: ognuno ha le stesse possibilità di vincere un incontro competitivo contro l’altro. Tuttavia adottano strategie nettamente divergenti: i falchi intensificano sempre il conflitto, mentre le colombe si tirano sempre indietro se il loro avversario vuole un’escalation.

Supponiamo che in questo gioco 20 punti vengano dati a chi vince un incontro competitivo e 80 punti vengano persi se un avversario intensifica il conflitto e viene ferito. Quando due falchi competono, nessuno dei due si tira indietro, quindi eseguendo un calcolo sui punti diciamo che il falco medio perde 30 punti quando compete contro un altro falco: [(50% * 20)+(50% * -80)] = -30. In un mondo puramente “falco contro falco” sarebbero dei perdenti. Quando due colombe competono, ciascuna vince la metà delle volte, ma nessuna colomba si fa male poiché non intensificano i conflitti; pertanto il calcolo dei punti per la colomba media è di 10 punti: [(50% * 20) + (50% * 0)] = 10. In un mondo puramente “colomba contro colomba” ci sarebbe da guadagnare. Mescolare le popolazioni aggiunge nuove peculiarità al gioco: quando un falco compete contro una colomba, il falco vince (20 punti), la colomba perde (0 punti) e non ci sono feriti (poiché le colombe si ritirano dall’escalation). Questa matrice riassume tale gioco:

L’economia della violenza determina il rapporto tra strategie tra falchi e colombe

La selezione naturale favorisce le strategie più adatte al loro ambiente. Una componente importante di questa idoneità è la proporzione di strategie concorrenti affrontate, ovvero le proporzioni di falchi e colombe nella popolazione. Ignorando altri fattori ambientali in questo gioco semplificato, se la popolazione è composta al 100% da falchi, allora tutti perdono in media 30 punti in ogni competizione: una strada veloce verso l’estinzione. Se la popolazione è composta al 100% da colombe, allora tutti guadagnano in media 10 punti in ogni competizione: una via veloce verso un mondo migliore. Il problema è quando c’è una nicchia: in una popolazione composta al 100% da colombe, quando arriva un falco ha un periodo di massimo splendore, vincendo 20 punti per ogni incontro contro una colomba, mentre le colombe hanno un valore atteso di 10 punti competendo con altre colombe e 0 punti in competizione contro i falchi. Più punti significano più riproduzione, quindi la popolazione dei falchi si espande in modo sproporzionato a scapito delle colombe. La popolazione dei falchi smette di crescere al 25% del totale, in base alla matematica della matrice.

Ora ipotizziamo invece un aumento del rapporto tra ricompensa e rischio in questo gioco evolutivo, in cui si guadagnano 40 punti per la vittoria e 60 punti persi per la sconfitta. Il cambiamento delle ipotesi provoca uno spostamento dell’equilibrio strategico, come si evince dalla proporzione di falchi e colombe nella popolazione totale. Sulla base di queste nuove ipotesi, all’equilibrio il 67% della popolazione sarà costituita da falchi.

Maggiori ritorni economici derivanti dalla violenza portano a una maggiore aggressività

L’equilibrio dipende non solo dai profitti, ma anche dalla strategia impiegata contro le strategie concorrenti. Se tutti sono colombe, è più adatto essere falchi; se tutti sono falchi, è più adatto essere colombe. Il punto chiave: l’equilibrio non rispecchia il mondo. Dipende dallo stato del mondo, dallo stato dell’organismo e dalle frequenze delle strategie; conquistare territorio (e la sua espressione umana, la proprietà privata) è la fonte sottostante dei profitti: i punti guadagnati nella competizione darwiniana. Ma cosa succede quando la proprietà privata per aver vinto una disputa economica scende quasi a zero? Questa è l’inevitabile conseguenza della moneta a prova di furto sugli aspetti darwiniani della competizione economica.

Per estendere questo gioco alla realtà economica, potremmo considerare le ricompense per aver vinto giudizi favorevoli, proprietà confiscate, monopoli legali, entrate fiscali, inflazione, tributi, o altri privilegi politici ottenuti con la forza attraverso il conflitto. “Al vincitore va il bottino”, recita l’aforisma. I danni subiti a seguito dell’escalation dei conflitti economici potrebbero includere sentenze sfavorevoli, spese legali, spese militari, perdite di tempo, tributi da pagare, riduzione in schiavitù, o consumo di capitale. Poiché Bitcoin è praticamente immune a tutte le sentenze legali, ai decreti, all’autorità politica, alla tassazione involontaria, alla confisca e all’inflazione, un’economia che opera secondo uno standard monetario a prova di furto fa crollare tutti quei vantaggi derivanti dalla vittoria nelle lotte socioeconomiche fino a ridurli quasi a zero, dal momento che lo scambio involontario di valore è quasi eliminato. Quando le ricompense monetarie per aver vinto giochi a somma zero a livello interpersonale, socioeconomico e geopolitico si avvicinano allo zero, mentre il costo della sconfitta rimane positivo, la strategia dominante diventa quella accomodante. Di conseguenza le strategie da falco declinano rapidamente verso l’estinzione – una traiettoria matematica favorevole all’emergere del sovranismo, come chiaramente spiegato nella seguente matrice:

L’atteggiamento aggressivo, ovvero la propensione a intensificare i conflitti socioeconomici, è una strategia in rapido declino grazie a Bitcoin

In termini di valore assoluto, maggiore è il rapporto tra i guadagni per vincere e perdere, più aggressiva diventa la popolazione. È vero anche il contrario: un rapporto più basso indurrà una popolazione a mostrare un atteggiamento complessivamente più accomodante. Detto in altro modo: quando il denaro è facile da rubare, la società scivola verso la cleptocrazia, mentre quando il denaro è difficile da rubare, la società diventa laboriosa. La proverbiale “skin in the game” – l’equilibrio tra incentivi e disincentivi in qualsiasi sistema – è il determinante più importante del comportamento. Nel senso del darwinismo universale, le forme di vita sono complesse e impiegano strategie adattative che si propagano attraverso carne, sangue e ossa. Per necessità queste strategie si adattano nel tempo alle circostanze ambientali e quelle che falliscono scompaiono. L’evoluzione avviene tanto a livello dell’organismo individuale quanto a livello della specie collettiva, e nella sfera della socioeconomia nessun incentivo è più potente del denaro.

Un insieme di principi monetari senza tempo permanentemente impressi nel codice: Bitcoin è un’arma di pace brandita dai sovranisti per combattere le devastazioni della predazione sistematica degli stati-nazione.

Bitcoin rappresenta una variabile mega-politica d’impareggiabile importanza: un diritto di proprietà privata indipendente da ogni monopolio sulla violenza che non può essere confiscato né compromesso con la forza. Nel gioco del denaro nel XXI secolo, la criminalità non paga più. Per necessità gli attori di mercato adotteranno strategie competitive e cooperative a lungo termine, meno coercitive e molto più produttive. Progredendo a un ritmo accelerato, la tecnologia continuerà a eclissare la topografia, il clima e la microbiologia come variabile mega-politica più importante nell’era digitale; e all’avanguardia di questo cambiamento c’è Bitcoin, una tecnologia che ha la natura umana come uno dei suoi componenti operativi principali. Nessuna forza politica può contenere l’influenza degli incentivi intrinseci e inviolabili di Bitcoin sull’azione umana e, quindi, sull’ascesa del sovranismo.

La transizione dallo statalismo al sovranismo potrebbe essere caotica nel breve termine, ma il risultato finale promette di essere una società globale più pacifica e produttiva. Nella Parte 4 esploreremo l’origine del concetto di proprietà e la corrispondente crescita della criminalità organizzata nel mondo. Una conoscenza più approfondita di questi elementi socioeconomici fondamentali ci aiuterà a comprendere meglio cosa potrebbe riservare il futuro in un mondo modellato dal sovranismo.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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