Come le esportazioni tedesche hanno perso la gara contro quelle cinesi
La Germania è la potenza economica dell’Eurozona e l’economia più competitiva. Rappresenta quasi il 30% del prodotto interno lordo (PIL) dell’area Euro e ha registrato considerevoli surplus delle partite correnti sin dall’introduzione dell’euro. Le sostanziali riforme fiscali e del mercato del lavoro nei primi anni 2000 hanno dato impulso all’economia tedesca.
Tuttavia, questi giorni d’oro sembrano ormai passati. Anni di politiche energetiche sbagliate – parte dell’agenda ambientalista del governo – hanno aumentato i prezzi dell’energia e l’incertezza per gli investitori. Inoltre il contesto imprenditoriale si è deteriorato a causa della pesante burocrazia e della tassazione, indebolendo gravemente la produttività e la crescita della produzione della Germania. Il vero beneficiario delle difficoltà economiche della Germania è la Cina, che l’ha sostituita come principale centro manifatturiero ed esportatore mondiale.
Il deterioramento della competitività internazionale della Germania
Con circa il 13% delle esportazioni mondiali, negli anni ’80 la Germania occidentale era il leader indiscusso delle esportazioni mondiali. Erano leggermente superiori a quelle degli Stati Uniti e circa dieci volte superiori a quelle della Cina. Mentre il commercio mondiale cresceva fortemente negli anni ’90, la Germania rimase impantanata nella ridistribuzione del welfare interno per ricostruire la Germania dell’Est dopo la riunificazione e perse il primo treno della globalizzazione. Il costo del lavoro aumentò di quasi il 20% all’inizio degli anni ’90, intaccando la competitività esterna. La quota della Germania nelle esportazioni mondiali scese dal 12% nel 1990 all’8,5% nel 2000. L’adesione della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001 scatenò un aumento degli afflussi d’investimenti diretti esteri (IDE) e delle esportazioni, e la rese il campione indiscusso delle esportazioni mondiali nel 2010. La quota della Germania nelle esportazioni mondiali si è ulteriormente ridotta, scendendo al di sotto del 7% nel 2022 (Grafico 1).
Grafico 1: quota delle esportazioni mondiali di beni. Fonte: UNCTAD [China: The rise of a trade titan | UNCTAD]
La Cina è ormai da sette anni il principale partner commerciale della Germania, ma lo scorso anno la bilancia commerciale con quest’ultima è passata da un surplus a un deficit di oltre $80 miliardi. Risalendo la catena del valore, le esportazioni cinesi sono diventate un temibile sfidante in settori ad alto valore aggiunto, come l’ingegneria meccanica, la chimica e ora le automobili. Negli ultimi vent’anni la Cina ha superato la Germania come maggiore esportatore mondiale di prodotti elettrici e informatici, macchinari e prodotti chimici. Inoltre la quota cinese delle importazioni nell’Unione Europea di questa categoria di beni è salita al 13% nel 2022, quasi raggiungendo la quota in calo della Germania del 15%.
Il cambiamento più marcato delle sorti delle aziende tedesche avviene nel settore automobilistico. La transizione verso i veicoli elettrici (EV) guidata dall’agenda verde dell’Occidente si è ritorta contro quando la Cina ha scavalcato le case automobilistiche occidentali ed è diventata il leader mondiale dei veicoli elettrici. La svolta della Cina non è arrivata principalmente dai sussidi governativi e dalle imprese statali – come erroneamente credono gli esperti tradizionali – ma dall’emergere di produttori indipendenti e dalla concorrenza più dura da parte di concorrenti stranieri come Tesla. Oggi i giganti tedeschi dell’industria automobilistica come Volkswagen, Mercedes-Benz e BMW stanno collaborando con partner cinesi per attingere al know-how e alla tecnologia superiori di questi ultimi nelle batterie, nelle soluzioni software automobilistiche e nella guida autonoma. Le esportazioni annuali di automobili della Cina hanno superato quelle della Corea del Sud nel 2021 e della Germania nel 2022, e sono ora sulla buona strada per battere quelle del Giappone quest’anno.
Com’è finita nei guai l’economia tedesca?
Molte tesi avanzate dagli esperti hanno poca rilevanza, o possono essere facilmente sfatate. Nel caso del Giappone, l’invecchiamento della popolazione e la contrazione della forza lavoro sono erroneamente percepiti come i principali fattori che contribuiscono a tassi di crescita anemici. Oltre il 40% delle aziende tedesche lamenta la carenza di manodopera qualificata, nonostante l’elevato tasso di occupazione. Anche le offerte di lavoro hanno raggiunto un nuovo record lo scorso anno.
Nonostante le proiezioni in calo, la popolazione attiva è aumentata negli ultimi due decenni di oltre cinque milioni di persone, aiutata dall’immigrazione. Inoltre ci sono ancora fonti di lavoro non sfruttate: la metà delle donne lavora solo a tempo parziale, i lavoratori possono andare in pensione già all’età di sessantatré anni grazie a un programma di pre-pensionamento e i tedeschi lavorano in media meno ore all’anno rispetto agli altri Paesi secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, circa un quarto in meno rispetto agli americani e quasi il 40% in meno rispetto ai cinesi.
La carenza di lavoratori qualificati è in realtà causata da scarse competenze e dalla mancanza di incentivi al lavoro piuttosto che da un calo del numero di lavoratori. Le aziende riferiscono che la qualità dei giovani apprendisti è costantemente peggiorata. Il famoso sistema tedesco di formazione professionale duale è in crisi a causa di un’errata attenzione alla formazione accademica. Anche il numero dei diplomati dell’istruzione terziaria è significativamente inferiore alla media dell’UE.
Ciò che sembra essere il tallone d’Achille della competitività tedesca è la stagnazione della crescita della produttività del lavoro. Dalla fine degli anni 2000 la produzione per ora lavorata è aumentata di poco a causa del sottoinvestimento in capitale fisico e umano (Grafico 2). Per qualche tempo la Germania ha affrontato questo problema attraverso la moderazione salariale, tuttavia a partire dalla crisi del 2009 i costi nominali unitari del lavoro sono aumentati più rapidamente che nel resto dell’Eurozona, rendendo le esportazioni tedesche più costose. Non solo l’accumulo di capitale della Germania è rallentato, ma anche la sua capacità d’innovazione. Dal 2007 al 2022 la Germania è scesa dal secondo all’ottavo posto nel Global Innovation Index, mentre la Cina è salita dal ventinovesimo all’undicesimo posto.
Grafico 2: Produttività del lavoro. Fonte: FRED [Costi unitari del lavoro: stima anticipata dei costi unitari del lavoro trimestrali (ULC) Indicatori: Produttività del lavoro: totale per la Germania (ULQELP01DEQ661S) | FRED | Fed di St. Louis (stlouisfed.org)]
La debole crescita della produttività deriva da un considerevole rallentamento degli investimenti. Il rapporto investimenti/PIL della Germania è diminuito di circa il 10% dal 1980 al 2022 (Grafico 3). Gli analisti tradizionali attribuiscono questo fenomeno ad un cronico sottoinvestimento pubblico nei trasporti e nelle infrastrutture digitali, presumibilmente dovuto alla restrizione fiscale e al “freno al debito” introdotto nella costituzione nel 2009. Tuttavia la regola del debito è stata spesso aggirata con la creazione di fondi fuori bilancio. Inoltre una parte significativa degli investimenti pubblici pianificati – parte di una generosa dotazione di bilancio totale pari al 50% del PIL – non viene spesa a causa di un lento processo di pianificazione, approvazione ed esecuzione burocratica dei progetti d’investimento.
Grafico 3: Rapporto d’investimento. Fonte: FMI WEO [World Economic Outlook Database (imf.org)]
Il sottoinvestimento da parte delle aziende private è ancora più grave. Quasi un terzo delle aziende industriali tedesche preferisce gli investimenti all’estero all’espansione interna. La riluttanza ad investire in Germania vale anche per gli investitori stranieri e dura da molti anni. Dall’inizio degli anni 2000, gli IDE in Germania sono diminuiti drasticamente e il divario sfavorevole rispetto alla Cina si è ampliato considerevolmente (Grafico 4).
Grafico 4: Afflussi di IDE. Fonte: UNCTAD [Rapporto sugli investimenti mondiali 2023 | UNCTAD]
Allo stesso tempo gli investimenti tedeschi all’estero sono aumentati vertiginosamente negli ultimi dieci anni, lasciando la Germania con un saldo IDE enormemente negativo. Investimenti per €125 miliardi hanno lasciato la Germania su base netta nel 2022, sfoggiando l’ennesimo record dopo aver raggiunto i €110 miliardi nel 2021 (Grafico 5). La Cina ha già uno stock di IDE in entrata che è 3,5 volte più grande di quello della Germania.
Grafico 5: deflussi di IDE. Fonte: UNCTAD [Rapporto sugli investimenti mondiali 2023 | UNCTAD]
Gli investitori lamentano l’incertezza politica, in particolare per quanto riguarda l’offerta e il costo dell’energia. Il settore manifatturiero tedesco era già in costante calo prima che la perdita di gas a buon mercato dalla Russia lo colpisse ancora più duramente. Dopo la chiusura delle centrali nucleari, molte aziende stanno cercando di trasferirsi in pascoli più verdi ed economici finché non verranno costruite le infrastrutture promesse dai politici per raggiungere l’obiettivo dell’80% di energie rinnovabili. Anche il futuro delle relazioni commerciali con la Cina non è chiaro, dati i rischi geopolitici in crescita.
La cosa più importante è che il deterioramento del contesto imprenditoriale scoraggia gli investimenti. La burocrazia soffocante e un pesante carico fiscale che sostiene il sistema di welfare riducono la libertà economica e allontanano gli investimenti. Secondo il Global Competitiveness Index la Germania si posiziona relativamente male nel confronto internazionale in termini di adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, rigidità del mercato del lavoro e tassazione del lavoro. Di conseguenza la Germania ora fornisce decine di miliardi in sussidi per attirare investimenti esteri in settori high-tech come la produzione di chip e i veicoli elettrici.
Conclusione
Molti anni di politiche verdi interventiste e di marcia indietro sulle riforme, insieme all’impronta pesante dello stato, hanno intaccato la competitività manifatturiera della Germania. Gli analisti rimangono ottimisti sulla sua capacità di reinventarsi sulla base della resilienza del suo innovativo “Mittelstand” e della posizione fiscale ancora favorevole. Tuttavia, invece di sovvenzionare gli investimenti e l’agenda verde interventista, la Germania dovrebbe ascoltare le lezioni dei primi anni 2000 e scegliere nuovamente riforme orientate verso il mercato.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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