Addentrarsi nella complessità del cambiamento climatico: uno sguardo ravvicinato al metodo scientifico e alle sue sfide

 

 

di Frank Hollenbeck

Le scienze fisiche hanno fatto grandi progressi nella conoscenza, andando a chiarire il funzionamento di fenomeni semplici. In uno di quest’ultimi fenomeni abbiamo un numero limitato di variabili importanti, tutte identificabili e misurabili, e questo ci permette di eseguire un esperimento scientifico. In un esperimento del genere manteniamo costanti tutte le altre variabili ed esaminiamo l’influenza di una di esse sul fenomeno. Possiamo quindi misurare la direzione di tale variabile e quanto sia importante per il fenomeno studiato; possiamo fare lo stesso esperimento con tutte le altre variabili per determinare la loro direzione d’influenza e la loro importanza relativa; possiamo identificare quali relazioni presunte sono corrette e quali sono sbagliate; possiamo trarre conclusioni su ipotesi in fenomeni semplici.

I fenomeni complessi, dall’altra parte, hanno molti fattori o variabili non misurabili o non osservabili, le cui influenze e interazioni possono variare. È impossibile eseguire un esperimento scientifico per separare le influenze di ciascun fattore e ciò limita notevolmente il valore dell’evidenza empirica, o storica, sui fenomeni complessi, poiché è impossibile distinguere tra causalità e associazione.

Gli economisti conoscono fin troppo bene questo problema. Oltre cento anni fa i limiti dell’empirismo in economia divennero chiarissimi. Nell’articolo “L’elasticità della domanda di grano”, R. A. Lehfeldt (1914) tentò di determinare l’elasticità della domanda osservando i dati storici del prezzo del grano rispetto al suo consumo. Tentò di correggere i cambiamenti in altri fattori (ceteris paribus) e trovò che l’elasticità della domanda di grano aveva un fattore positivo di +0,6.

Dovremmo concludere da questo studio che la curva di domanda del grano è inclinata positivamente? Questo studio empirico non ha forse dimostrato che la teoria economica è sbagliata? Dovremmo riesaminarla da zero?

Qualsiasi economista spiegherebbe che ciò che viene osservato non sono punti su una curva di domanda stabile, ma punti d’intersezione in continua evoluzione tra domanda e offerta, o punti che si muovono verso tale equilibrio. Una curva di domanda è come una fotografia: è valida solo per quel caso poiché altri fattori cambiano costantemente in modo che le posizioni delle curve siano diverse da un caso all’altro. È impossibile misurare empiricamente la pendenza di una curva di domanda. Ciò fa eco al principio d’indeterminazione di Heisenberg in fisica, illustrando le difficoltà intrinseche nel determinare simultaneamente la posizione e la velocità di un oggetto.

Eppure molti altri studi empirici sin dal 1914 su diversi beni e servizi hanno dimostrato suddetta relazione inversa tra prezzo e quantità domandata. Tuttavia un tale empirismo non fa altro che supportare un’ipotesi “complessa”: non potrà mai dimostrare niente in modo definitivo.

Gli economisti, in generale, hanno avuto poco da dire sul cambiamento climatico, anche se si occupano regolarmente di fenomeni simili e complessi. Tuttavia quando hanno commentato il cambiamento climatico, hanno aggiunto al danno la beffa. William Nordhaus ha ricevuto il Premio Nobel nel 2018 per il suo lavoro su un modello di valutazione integrato che, a suo dire, misura l’impatto dei cambiamenti climatici causati dall’uomo sull’economia.

Abbiamo per le mani due fenomeni complessi: il cambiamento climatico provocato dall’uomo e il suo impatto sull’economia, oltre allo sviluppo di un modello matematico per descrivere le loro interazioni. Non importa se molti fattori nell’analisi di Nordhaus non siano osservabili e quelli che lo sono hanno impatti e interazioni instabili o non misurabili. Inoltre tutte le misure di questi impatti sono solo stime statistiche. In generale più grande è il modello, maggiore è la varianza dei risultati.

È normale avere opinioni divergenti su ipotesi riguardo i fenomeni complessi ed esse sarebbero irrilevanti se rimanessero a un tal livello, ma Nordhaus nel suo discorso ha raccomandato agli stati d’imporre restrizioni (ad esempio, cap & trade, tasse sull’anidride carbonica, nuovi regolamenti) per rallentare le emissioni di CO₂. Gli accordi di Parigi del 2015, in cui 195 parti si sono impegnate ad affrontare il cambiamento climatico, mirava a limitare il riscaldamento globale “ben al di sotto” dei 2 °C entro la fine del secolo e a “proseguire gli sforzi” per mantenere il riscaldamento entro il limite più sicuro di 1,5 °C”.

Uno studio ha dimostrato che l’uso di combustibili fossili provoca oltre il 75% delle emissioni di gas serra di origine antropica e oltre il 90% delle emissioni di anidride carbonica. I combustibili fossili prodotti dai giacimenti esistenti di petrolio, gas e carbone sono più che sufficienti per superare il limite dell’1,5 °C. Secondo una relazione dell’Istituto internazionale per lo sviluppo sostenibile e un altro dell’Agenzia internazionale per l’energia, l’estrazione di combustibili fossili da nuovi giacimenti di petrolio e gas è incompatibile con il limite di 1,5 °C.

Quindi abbiamo un lato nel dibattito sul clima che impone alla vita, alla libertà e alla proprietà degli altri qualcosa che rimarrà sempre un’ipotesi non dimostrata. Uno studio recente ha rilevato che il 99,9% degli studi sul clima concorda sul fatto che gli esseri umani siano causa del cambiamento climatico. Ciononostante dobbiamo chiederci: quanti di questi autori informano i lettori dei limiti delle loro conclusioni? Possiamo davvero chiamarli scienziati se non applicano o discutono il metodo scientifico?

Nei dettagli di questa recente relazione del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite c’è la seguente e importante conclusione: “Nella ricerca e nella modellizzazione del clima, dovremmo riconoscere che abbiamo a che fare con un sistema caotico e non lineare, e quindi che nel lungo termine la previsione dei futuri stati climatici non è possibile”. Questa complessità porta a una conclusione importante: riconoscere la conoscenza limitata per quanto riguarda i cambiamenti climatici causati dall’uomo.

In un mondo spesso segnato da opinioni forti, una discussione sul cambiamento climatico dovrebbe iniziare con umiltà, riconoscendo i limiti della conoscenza umana. Trovare un equilibrio tra comprensione scientifica, considerazioni economiche e decisioni politiche in questo intricato panorama richiede un approccio cauto che rispetti sia la complessità del sistema climatico, sia le incertezze intrinseche nella modellizzazione e nelle previsioni.

Eppure, nel nostro mondo supponente, tale umiltà è improbabile.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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