Schumpeter su come l’istruzione superiore distrugge la libertà
Uno di quei libri che offre infiniti spunti di riflessione è Capitalism, Socialism, and Democracy (1943) di Joseph Schumpeter. Non è un trattato sistematico, si tratta piuttosto di una serie di osservazioni sugli enormi problemi che affliggevano quei tempi e i nostri. Molti sono attratti dall’economia, altri dalla storia e altri ancora dalla sociologia e dalla cultura.
La prospettiva di Schumpeter era a dir poco eclettica: era un partigiano dell’ordine borghese – istruito nella Vienna fin de siecle – ma a metà del secolo era convinto che la civiltà fosse destinata a essere sostituita da un amalgama di socialismo/fascismo. Non perché il capitalismo stesso fosse fallimentare, ma perché esso genera i semi della propria distruzione: produce talmente tanta ricchezza che è troppo facile fare a meno del fondamento istituzionale/culturale che rende possibile tutto ciò.
Concentriamoci, però, su un’affascinante intuizione riguardante l’istruzione superiore, solo una piccola parte del tutto. Schumpeter riteneva che l’Occidente fosse diretto a portare sempre più persone nell’ovile accademico con corsi e diplomi, lontano dal lavoro manuale e verso attività intellettuali. Non intendeva semplicemente diventare accademici, ma persone che avrebbero lavorato a partire da e con un apparato ideologico e filosofico – una classe di lavoratori dell’informazione – sempre più distante dalla produttività effettiva.
In altre parole, parlava dell’ascesa della classe manageriale che avrebbe popolato ogni campo, tra cui il giornalismo e i media generalisti in cui i lavoratori sono distaccati dalle conseguenze nel mondo reale delle idee che promuovono. Sarebbero arrivati a formare una classe propria con un potere culturale unico e un interesse comune nella costruzione di sistemi sociali e politici che avrebbero avvantaggiato loro stessi a spese degli altri.
Vediamo cosa scrisse e tenete presente che eravamo nel 1943.
Una delle caratteristiche più importanti delle fasi successive della civiltà capitalista è la vigorosa espansione dell’apparato educativo e in particolare delle strutture per l’istruzione superiore. Questo sviluppo era ed è non meno inevitabile dello sviluppo della grande unità industriale, ma, a differenza di quest’ultima, è stato ed è favorito dall’opinione pubblica e dai poteri pubblici in modo tale da andare molto più in là di quanto sarebbe accaduto con il vapore.
Qualunque cosa possiamo pensare su questo e altri punti di vista, e qualunque sia la causa precisa, ci sono diverse conseguenze che incidono sulla dimensione e sull’atteggiamento del gruppo intellettuale.
In primo luogo, nella misura in cui l’istruzione superiore aumenta l’offerta di servizi nelle linee professionali, quasi professionali e infine in tutte le linee dei “colletti bianchi” oltre il punto determinato da considerazioni costo-rendimento, ciò può creare un caso particolarmente importante di disoccupazione settoriale.
In altre parole, il sovvenzionamento dell’istruzione superiore stessa avrebbe finito per creare molti più intellettuali accreditati di quanto la società ne avesse effettivamente bisogno o delle richieste del mercato. Quindi queste persone si sarebbero trovate ad affrontare una sorta d’insicurezza lavorativa date le loro capacità in un mercato limitato.
In secondo luogo, insieme o al posto di tale disoccupazione, si vanno a creare condizioni di lavoro insoddisfacenti: occupazione in lavori inferiori agli standard o con salari inferiori a quelli dei lavoratori manuali meglio pagati.
Questa è un’osservazione interessante e rimane vera anche oggi. Un camionista guadagna molto di più di un professore e di un giornalista alle prime armi; un elettricista o un ingegnere viene pagato più di qualunque laureato in discipline umanistiche. Anche i migliori scrittori e influencer ottengono salari più bassi rispetto ad analisti finanziari e contabili, campi in cui la formazione e le credenziali si svolgono al di fuori dell’accademia.
In terzo luogo, potrebbe creare un tipo di disoccupazione particolarmente sconcertante. La persona che ha frequentato un college o un’università diventa psichicamente inoccupabile nelle occupazioni manuali senza necessariamente che acquisisca l’occupabilità, ad esempio, nel lavoro professionale. Il suo fallimento può essere dovuto alla mancanza di capacità naturali – perfettamente compatibili con il superamento dei test accademici – o a un insegnamento inadeguato; ed entrambi i casi, in termini assoluti e relativi, si verificheranno con maggiore frequenza man mano che un numero sempre maggiore di persone verrà arruolato nell’istruzione superiore e man mano che la quantità d’insegnamento richiesta aumenterà indipendentemente da quanti insegnanti e studiosi la natura sceglierà di presentare. I risultati del trascurare questo aspetto e dell’agire secondo la teoria secondo cui le scuole, i college e le università sono solo una questione di soldi, sono troppo ovvi da essere ulteriormente sottolineati. I casi in cui su una dozzina di aspiranti per un posto di lavoro, tutti formalmente qualificati, non ce n’è uno che possa occuparlo in modo soddisfacente, sono noti a chiunque abbia a che fare con le nomine, cioè a chiunque sia esso stesso qualificato a giudicare.
Tutti coloro che sono disoccupati, o hanno un impiego insoddisfacente o inoccupabili, scivolano verso vocazioni in cui gli standard sono meno definiti o in cui contano attitudini e aspirazioni di ordine diverso. Vanno a ingrossare le fila degli intellettuali in senso stretto, il cui numero aumenta quindi in modo sproporzionato; vi entrano in uno stato d’animo completamente scontento.
Il malcontento genera risentimento e spesso si razionalizza in quella critica sociale che, come abbiamo visto prima, è comunque l’atteggiamento tipico dello spettatore intellettuale nei confronti delle persone, delle classi e delle istituzioni soprattutto in una civiltà razionalista e utilitaristica. Si finisce in una situazione in cui c’è un gruppo ben definito di proletari e un interesse di gruppo che va a modellare un atteggiamento collettivo che spiegherà l’ostilità verso l’ordine capitalista in modo molto più realistico di quanto potrebbe fare la teoria – essa stessa una razionalizzazione in senso psicologico; la giusta indignazione dell’intellettuale per i torti del capitalismo rappresenta la deduzione logica da fatti scandalosi e che non è migliore della teoria degli innamorati secondo cui i loro sentimenti non rappresentano altro che la deduzione logica delle virtù dell’amato. Inoltre la nostra teoria spiega anche il fatto che questa ostilità aumenta, invece di diminuire, a ogni conquista dell’evoluzione capitalistica.
L’ostilità del gruppo intellettuale – che equivale a disapprovazione morale nei confronti dell’ordine capitalista – è una cosa e l’atmosfera generale ostile che circonda il motore capitalista è un’altra. Quest’ultima è il fenomeno veramente significativo e non è semplicemente il prodotto della prima, bensì deriva in parte da fonti indipendenti, alcune delle quali sono state menzionate prima; fintanto che è così il gruppo intellettuale si crogiolerà in essa.
Bisogna ammettere che questo passaggio è davvero illuminante, soprattutto perché è stato scritto nel 1943. In quell’anno solo circa il 15% della popolazione era iscritta al college, per un totale di 1,1 milioni di persone negli Stati Uniti. Oggi circa il 66% le persone che si diplomano al liceo si iscrivono all’università, ovvero 20,4 milioni nella fascia di età pertinente. Si tratta di un cambiamento piuttosto gigantesco da allora a oggi.
Pertanto qualunque fosse il problema osservato da Schumpeter sui laureati – la mancanza di reali competenze, l’insicurezza del lavoro, il risentimento contro la produttività genuina, il bisogno di scherzare con l’opinione pubblica senza conseguenze – oggi è decisamente peggiorato.
Gli ultimi anni hanno visto la formazione dell’egemonia di una classe dirigente che non ha alcuna esperienza in qualsiasi attività commerciale nel mondo reale. Sventolando i loro diplomi e curriculum si sentono autorizzati a dettare legge su tutti gli altri e a martellare all’infinito il sistema della libera impresa affinché si conformi alle loro immaginazioni sulle priorità sociali e culturali, indipendentemente da ciò che le persone o la realtà economica richiedono per davvero.
Il passaggio verso ogni sorta di priorità nei confronti di un “Grande Reset” rappresenta un esempio un eccellente. I criteri DEI (diversità equità inclusione) nel campus, i criteri ESG (ambiente società governance) nel mondo aziendale, le risorse umane nella gestione di tutto, i veicoli elettrici nei trasporti, gli hamburger impossibili come carne, vento e solare come fonti di energia, e chi più ne ha più ne metta: sono tutti prodotti di quelle stesse forze descritte da Schumpeter.
Sono nati da quegli intellettuali cresciuti in ambienti universitari, implementati e applicati poi da persone con un mercato limitato per il loro bagaglio di conoscenze, tentando quindi di riorganizzare il mondo per garantire meglio il loro posto al suo interno. Questa è la classe di esperti che secondo Schumpeter avrebbe smantellato la libertà come la conosciamo.
Sicuramente le persone che hanno governato durante i catastrofici lockdown non erano i professionisti e tanto meno i lavoratori che consegnavano il cibo o i proprietari di piccole imprese o anche gli epidemiologi sul campo. No, erano i tecnocrati e i burocrati che hanno dovuto affrontare zero conseguenze per aver sbagliato e che ancora oggi si nascondono o incolpano qualcun altro. I loro piani per ora sono di tenere la testa bassa e sperare che tutti dimentichino, finché un giorno poi potranno riemergere per gestire la prossima crisi.
In questo modo vediamo che Schumpeter aveva assolutamente ragione. La crescita dell’istruzione superiore di massa non ha generato un settore della società più saggio e responsabile, ma esattamente il contrario. L’aveva previsto 80 anni fa; ci è voluto del tempo, ma sarebbe giustificato chiamarlo profeta.
E dove siamo oggi? Un’intera generazione sta ripensando il modello. È davvero vantaggioso sborsare sei cifre, rinunciare a quattro anni di vera e propria esperienza lavorativa, gravarsi di oltre 20 anni di debiti, il tutto per finire in una vasta burocrazia di miserabili che non fanno altro che complottare la fine della libertà e della vita per tutti gli altri? Forse c’è un altro modo.
E cosa ci guadagnano le persone dalla scelta del college e della scuola di specializzazione? Date un’occhiata ai sistemi di credenziali nella maggior parte delle professioni oggi: hanno tutti il proprio sistema educativo, completo di test, e questo vale per contabilità, preparazione fiscale, ingegneria di ogni tipo, project management, diritto e medicina (ovviamente), attuari, preparazione di contratti, ospitalità, genealogia, logistica, informatica e computer, gestione delle emergenze, geologia e molto altro ancora.
Ogni campo ha un’organizzazione professionale e ognuna di esse ha una credenziale. Ogni credenziale prevede un esame e ogni esame ha un libro di testo. Ogni libro di testo ha metodi estesi di apprendimento del materiale per consentire agli studenti di apprendere e questi sistemi non riguardano l’ideologia e la socializzazione, bensì le competenze reali di cui si ha bisogno in un mercato autentico.
In altre parole, è il mercato stesso a rendere l’università obsoleta.
La spinta a forzare tutti a frequentare l’istruzione superiore si è rivelata una gigantesca deviazione di energie finanziarie e umane e, proprio come previsto da Schumpeter, non ha fatto alcun favore alla causa della libertà. Ha solo finito per generare debiti, risentimento e uno squilibrio delle risorse umane tale che le persone che detengono il potere sono le stesse che hanno meno probabilità di possedere le competenze necessarie per migliorare gli standard di vita generali. Anzi, stanno peggiorando le cose.
L’avvertimento preveggente di Schumpeter ha colto nel segno e questa è una tragedia.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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