Siamo in grado di superare il “test del mignolo” di Adam Smith?
Nel libro La teoria dei sentimenti morali Adam Smith presenta l’esempio di un ipotetico grande terremoto in Cina che uccide milioni di persone e di un “uomo pieno di umanità” che esprime passivamente il suo dolore per le vite perdute. Una volta espressi questi “sentimenti umani”, però, mantiene la stessa tranquillità di prima, come se una simile tragedia non fosse mai accaduta. Eppure se questo stesso uomo dovesse “perdere il mignolo”, sarebbe profondamente assorbito dalla sua sventura.
Smith ci pone questa domanda: “Per evitare questa sfortuna, un uomo pieno di umanità sarebbe disposto a sacrificare la vita di cento milioni di suoi fratelli a condizione che non li abbia mai visti?”
Per Smith e quasi per chiunque legga questo saggio, la risposta a questa domanda è un inequivocabile “No”. Smith scrisse: “La natura umana sussulta di orrore al solo pensiero, e il mondo, nella sua massima depravazione e corruzione, non ha mai dato i natali a un cattivo tale da realizzare una cosa del genere”.
Naturalmente Smith non visse abbastanza da vedere la galleria dei cattivi del XX secolo. Nel suo libro sull’Holodomor, The Harvest of Sorrow, Robert Conquest cita un romanzo sovietico del 1934 che spiega la logica disumanizzante alla base del genocidio dei kulaki ucraini. “Nessuno di loro era colpevole di nulla, ma appartenevano a una classe colpevole di tutto”.
La disumanizzazione dei kulaki era iniziata dieci anni prima. Riferendosi a una precedente carestia, Lenin disse nel 1922: “Dal punto di vista psicologico tutto questo parlare di nutrire gli affamati e così via riflette essenzialmente il sentimentalismo solitamente zuccherino della nostra intellighenzia”.
Lenin non riuscì a superare il test di Adam Smith, ma che dire invece dell’“intellighenzia” di oggi? Nel mondo accademico più importanti dei diritti dell’individuo sono i meriti assegnati al gruppo a cui appartiene (una recente conversazione tra Phil Magness e Kate Wand vi permette di capire alcuni aspetti della questione).
Smith ci offrì una guida in modo che potessimo superare il test del mignolo: “Quando i nostri sentimenti passivi sono quasi sempre così sordidi ed egoistici, come mai i nostri principi attivi dovrebbero essere spesso così generosi e così nobili?”
Ecco la risposta quando Smith si riferisce allo spettatore imparziale (la nostra voce interiore che valuta, senza pregiudizi, la nostra condotta etica):
Non è il debole potere dell’umanità, non è quella flebile scintilla di benevolenza che la Natura ha acceso nel cuore umano, ad essere capace di contrastare gli impulsi più forti dell’amor proprio. È un potere più forte, un motivo più potente quello che si esercita in tali occasioni. È la ragione, il principio, la coscienza, l’abitante del sé, l’uomo interiore, il grande giudice e arbitro della nostra condotta.
Il nostro spettatore imparziale porta alla consapevolezza “di quanto siamo in realtà piccoli” e “la deformità di fare il più piccolo danno a un altro per ottenerne il massimo beneficio”. Con questa consapevolezza, Smith indica le forze che lievitano attorno alla nostra condotta: “L’amore per ciò che è onorevole e nobile, per la grandezza, la dignità e la superiorità dei nostri caratteri”.
Sebbene Smith non abbia mai visto gli orrori del XX secolo, il suo test del mignolo si applica ai milioni di studenti universitari e professori americani le cui menti sono distorte dalla giustizia sociale nei confronti degli oppressi. Rimanere fedeli alla propria politica identitaria è la loro prima direttiva; Smith direbbe che senza la guida del loro spettatore imparziale hanno perso la loro umanità.
Nella sua opera del 1693, Some Thoughts Concerning Education, John Locke sosteneva che “il benessere e la prosperità della nazione” dipendono dalla “buona educazione” dei bambini. È in gioco il benessere della nazione quando è più probabile che gli studenti abbiano familiarità con il Progetto 1619 rispetto ai documenti costitutivi dell’America? Abbiamo permesso che le nostre istituzioni venissero dirottate da autoritari illiberali che si spacciavano per umanitari. Dovrebbe sorprenderci il fatto che la moralità scarseggi?
Nel libro Gulag Archipelago Aleksandr Solzhenitsyn scrive: “Coloro che vanno nell’Arcipelago per amministrarlo vi arrivano attraverso le scuole di formazione del Ministero degli Affari Interni”.
All’indomani della rivoluzione russa, gli intellettuali furono, secondo le parole di Vasily Grossman, “ipnotizzati” e “incantati dalla potenza del nuovo mondo”. Sempre in Gulag Archipelago Solzhenitsyn spiega che non avevano idea degli orrori a venire:
Se agli intellettuali delle commedie di Cechov che passavano tutto il loro tempo a indovinare cosa sarebbe successo tra venti, trenta o quarant’anni avessero detto che tra quarant’anni in Russia si sarebbero praticati gli interrogatori mediante tortura; che i prigionieri avrebbero avuto il cranio stretto entro anelli di ferro; che un essere umano sarebbe stato calato in un bagno acido; che sarebbero stati legati nudi per essere morsi dalle formiche e dalle cimici; che un ferro riscaldato su un fornello sarebbe stato infilato nel loro canale anale (il “marchio segreto”); che i genitali di un uomo sarebbero stati lentamente schiacciati sotto la punta di uno stivale; e che, nelle circostanze più fortunate possibili, i prigionieri sarebbero stati torturati impedendo loro di dormire per una settimana, dalla sete alle botte fino a ridurli in poltiglia sanguinante, nessuna delle opere di Cechov sarebbe arrivata a noi perché tutti gli eroi sarebbero finiti in manicomio.
Nell’Unione Sovietica di Stalin, l’ideologia prevalse sulla moralità e sui diritti umani. Le giustificazioni amorali seppellivano la voce della coscienza degli individui. Anche dopo che furono divulgate le verità sul comunismo, osservò Solzhenitsyn, molti giustificarono i suoi orrori con pretese di “progresso”:
Se cominciamo a ricordare le sofferenze di milioni di persone, ci viene detto che ciò distorcerà la prospettiva storica! Se cerchiamo ostinatamente l’essenza della nostra moralità, ci viene detto che ciò oscurerà il nostro progresso materiale! Pensiamo piuttosto agli altiforni, ai laminatoi che furono costruiti, ai canali che furono scavati.
La civiltà è appesa a un filo? Una generazione di studenti universitari ora non ha rispetto per il circolo virtuoso della morale che nasce e sostiene la civiltà umana. Hayek fu chiaro a tal proposito:
La nostra civiltà è infatti in gran parte il risultato imprevisto e non intenzionale della nostra sottomissione a regole morali e legali che non sono state mai “inventate” con un tale risultato in mente, ma che si sono diffuse perché quelle società che le svilupparono frammentariamente prevalsero ad ogni passo sulle altre che seguivano regole diverse, meno favorevoli alla crescita della civiltà.
In uno dei suoi saggi più importanti, Individualism: True and False, F. A. Hayek lanciò un avvertimento che dovrebbe essere sempre ricordato: “Sebbene possa non essere difficile distruggere le formazioni spontanee che sono le basi indispensabili di una civiltà libera, potrebbe essere al di là del nostro potere ricostruire una tale civiltà una volta che queste fondamenta saranno distrutte”.
Non offro buone notizie oggi, il nostro sistema scolastico allena le menti a fallire il test del mignolo di Smith. Coloro che vengono bocciati diffondono idee illiberali che ostacolano la prosperità umana; per loro l’ideologia prevale sulla moralità e sui diritti umani. Di conseguenza le giustificazioni amorali seppelliscono la voce della loro coscienza.
Ora è il momento di indagare sui principi che guidano la nostra condotta e non permettere all’ideologia di soffocare dentro di noi la voce dello spettatore imparziale.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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