di Emile Phaneuf III

Il 10 gennaio, oltre un decennio dopo la prima richiesta di un Exchange-Traded Fund (ETF) spot su Bitcoin, la Securities and Exchange Commission (SEC) ha infine approvato undici richieste nello stesso giorno. Le negoziazioni sono iniziate il giorno successivo, l’11 gennaio. La prima richiesta in assoluto per un ETF spot su Bitcoin risale al 2013, da parte di Gemini, una società co-fondata dai fratelli Winklevoss; la SEC respinse la richiesta di Gemini nel 2017 così come la successiva richiesta della stessa società nel 2018.

Gli Exchange-Traded Fund consentono agli investitori di ottenere esposizione alla volatilità dei prezzi di Bitcoin senza dover investire direttamente in esso. Va notato che la SEC solitamente si riferisce agli ETF come ETP (Exchange-Traded Products); gli ETF sono solo un tipo di ETP.

Il sentimento generale nella sfera Bitcoin era di eccitazione. Bitcoin Magazine ha definito l’approvazione della SEC “una pietra miliare storica nell’adozione di Bitcoin nei mercati finanziari tradizionali”. L’investitore Balaji Srinivasan l’ha definita “l’inversione spirituale dell’Ordine Esecutivo 6102” (riferendosi al sequestro dell’oro americano da parte di FDR nel 1935). Per molti la riluttante approvazione della SEC è stata vista come una sorta di convalida istituzionale per Bitcoin, soprattutto dopo anni di snobbismo da parte di personaggi dell’establishment come Warren Buffet, Jamie Dimon ed Elizabeth Warren.

Anche nella dichiarazione pubblica del presidente della SEC, Gary Gensler, in cui annunciava l’approvazione dell’ETF spot su Bitcoin, egli ha avvertito che “Bitcoin è principalmente un asset speculativo e volatile che viene utilizzato anche per attività illecite tra cui ransomware, riciclaggio di denaro, evasione di sanzioni e finanziamento del terrorismo“ (Gensler trascura opportunamente il fatto che anche le valute fiat, compreso il dollaro, vengono utilizzate per gli stessi scopi).

Gensler ha inoltre sottolineato che la SEC non aveva altra scelta se non quella di approvare gli ETF spot su Bitcoin poiché “la Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Distretto di Columbia ha ritenuto che la Commissione non è riuscita a spiegare adeguatamente il suo ragionamento nel disapprovare la quotazione e la negoziazione dell’ETP proposto da Grayscale […]”.

Ma un commento positivo è arrivato dal commissario della SEC Hester Peirce in una sua dichiarazione, accusando la SEC di aver trattato negli anni gli ETP spot su Bitcoin in modo diverso (più severo rispetto ad altri tipi di richieste su ETP): “I paletti continuavano a muoversi mentre la Commissione apponeva ‘NEGATO’ domanda dopo domanda”.

La dichiarazione completa del Commissario Peirce merita un’attenta lettura, ma il paragrafo finale in particolare riflette quella che ritengo sia una posizione di principio coerente con una società libera:

Non sto celebrando Bitcoin o prodotti correlati a esso; ciò che ne pensa un regolatore è irrilevante. Sto celebrando il diritto degli investitori americani di esprimere le proprie opinioni su Bitcoin acquistando e vendendo ETP spot su di esso. E sto celebrando la perseveranza degli operatori di mercato nel cercare di portare sul mercato un prodotto che pensano che gli investitori vogliano. Mi congratulo con la tenacia decennale dei candidati di fronte all’ostruzionismo della Commissione.

Una prospettiva personale

Che piaccia o no ai regolatori più ostili a Bitcoin, l’approvazione spot dell’ETF da parte della SEC fornisce una forte contro-narrativa all’obiezione “Bitcoin è per la droga, il riciclaggio di denaro”. L’approvazione ha certamente il potenziale per aumentarne sostanzialmente il potere d’acquisto nel tempo (che possiamo facilmente misurare utilizzando il suo prezzo denominato in valuta fiat) mentre nuovo denaro istituzionale affluisce in Bitcoin.

Ci sono però due cose a cui prestare attenzione: una riguarda il consenso di Bitcoin e l’altra riguarda l’autocustodia.

1. Consenso

Poiché Bitcoin ha un modello di governance altamente decentralizzato, nessun singolo stakeholder o molteplici stakeholder collusi (miner, nodi, sviluppatori, utenti, exchange, fornitori di wallet, chi processa i pagamenti) sono in grado di modificarlo a proprio vantaggio senza raggiungere un consenso generale tra tutti gli altri. Satoshi Nakamoto, il creatore di Bitcoin, conosceva gli incentivi e un po’ di Teoria dei giochi.

Man mano che le grandi istituzioni finanziarie aumentano le loro partecipazioni (direttamente o indirettamente) nel corso del tempo, è probabile che ci sia un’enorme pressione per piegare le regole di Bitcoin verso il rispetto delle sanzioni dell’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Tesoro degli Stati Uniti (per comprendere l’attuale clima normativo, va notato che nel 2022 l’OFAC ha iniziato a sanzionare le operazioni di mining di criptovalute in Russia e persino gli indirizzi dei wallet Ether presumibilmente collegati agli hacker nordcoreani). 

In Bitcoin le norme esistenti fungono da punto di Schelling: un punto di consenso in cui le persone convergono senza molto coordinamento. Pertanto non è difficile immaginare un cosiddetto hardfork che potrebbe verificarsi su visioni concorrenti del protocollo Bitcoin, con conseguente divisione in due coin separate entrambe chiamate “Bitcoin” (e non sarebbe la prima volta). Il primo “Bitcoin” sarebbe favorevole ai regolatori e sostenuto istituzionalmente; il secondo sarebbe un Bitcoin “Gratuito e Aperto” senza autorizzazioni e resistente alla censura.

Se una tale divisione dovesse verificarsi, potremmo immaginare che i regolatori negli Stati Uniti e in Europa, ad esempio, vietino agli exchange di facilitare gli scambi del Bitcoin “GA”. Inoltre i miner di quest’ultimo potrebbero subire pesanti attacchi per vari motivi (ad esempio con un’agenda incentrata sull’energia verde), spingendo le loro operazioni verso Paesi meno allineati politicamente con gli Stati Uniti e l’Europa (nota a margine: ciò complicherebbe ulteriormente la capacità dei governi americano ed europei di sanzionare qualsiasi Paese a piacimento).

Per essere chiari, nessuno di questi attacchi alla rete di pagamento Bitcoin “GA” la ucciderebbe, anzi, però spingerebbe i suoi stakeholder ai margini dal punto di vista giuridico. Inoltre ciò che i nemici politici e normativi trascurano è che più intensificano gli attacchi contro di esso utilizzando mezzi (a volte) legalmente discutibili e autoritari, più – ironia della sorte – aumentano la proposta di valore per una rete di pagamento libera e aperta; cioè, le repressioni contro di esso andrebbero a creare una nuova domanda per esso. Questo perché le persone che si trovano a vivere in regimi autoritari cercano strumenti per preservare qualche elemento della propria dignità. 

2. Custodia personale

Per quanto riguarda la custodia personale, vale la pena rivisitare rapidamente ciò che Satoshi aveva originariamente in mente. Il suo white paper definisce Bitcoin un “sistema di denaro elettronico peer-to-peer”. Peer-to-peer significa che non sono necessari custodi centralizzati, infatti allontanarsi del tutto dalle terze parti centralizzate è stata la svolta chiave che Bitcoin ha introdotto dopo un paio di decenni di dibattiti tra cypherpunk e tentativi precedenti (si veda la mia tabella dettagliata per ulteriori informazioni su questo tema).

Come ha giustamente notato David Waugh, l’autocustodia di Bitcoin vi protegge da uno stato che “potrebbe essere in grado di sequestrare bitcoin del gestore patrimoniale od ordinargli di liquidare l’ETF”. 

Forse non sorprende che il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti si riferisca ai wallet con custodia autonoma (“non custodial”) in una sorta di modo dispregiativo, etichettandoli come “unhosted wallet” – una definizione che implica che un modo legittimo per effettuare pagamenti è che gli utenti si fidino di terze parti (un “host”) che possono essere facilmente costrette dall’apparato normativo a consegnare i fondi degli utenti a piacimento. Ma anche se ignoriamo il rischio di uno stato predatorio, gli exchange stessi possono essere a dir poco inaffidabili. Il servizio di analisi blockchain Glassnode ha osservato che all’indomani del crollo di FTX nel novembre 2022, sia gli utenti istituzionali che quelli al dettaglio hanno ritirato fondi dagli exchange, in massa, con conseguenti deflussi netti significativi, spostandoli poi in servizi di auto-custodia. Quest’ultima, quindi, protegge i diritti di proprietà. 

Riflessioni finali

Anche se l’approvazione, attesa da tempo da parte della SEC, di un ETF spot su Bitcoin merita un po’ di festeggiamenti, fate attenzione a ciò che verrà dopo. L’apparato statale tratterà sempre più Bitcoin come un prodotto finanziario regolamentato – qualcosa da cui BlackRock e il resto di Wall Street possono trarre profitto – pertanto è probabile che diventi ancora più ostile al concetto di rete di pagamento aperta peer-to-peer immaginato da Satoshi. Gli stati-nazione rimangono gelosi della concorrenza che fa Bitcoin al loro denaro monopolistico-inflazionistico.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/

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