Ci sono momenti nella vita in cui sei certa di aver toccato il fondo e sai che è quello l’ultimo passo che hai fatto verso il tradimento di te stessa.

Il mio momento è una scena che viene riprodotta dalla mia memoria come un video, ricchissimo di dettagli, appunto perché io non possa mai ingannare me stessa sul fatto che questo evento sia davvero accaduto.

I miei tre figli sono fuori in giardino, scherzano rumorosamente, il nostro cane saltella con loro euforico. È domenica. È marzo, e fuori c’è un sole brillante. Chiudo la tenda della loro camera perché non vedano me dal giardino, né io veda loro mentre sto per fare questa cosa. Chiudo la porta a chiave. Prendo il loro salvadanaio. È il classico maialino con la fessura per le monete, quello che per aprirlo devi romperlo. Ma io non lo rompo e armeggio con un coltello da cucina per far scendere delle monete. Riesco a tirare fuori nove euro e cinquanta. Quei soldi sono gli unici che abbiamo per comprare qualcosa da mettere in tavola.

Sì, domani e lunedì e andremo a chiedere duecento euro a mio suocero per fare la spesa. Non ce li negherà, ma ci guarderà con un misto di tristezza, disagio e forse anche disgusto.

Sì, domani è lunedì, ma oggi, in questa domenica di marzo, io ho rubato dei soldi dal salvadanaio dei miei figli per comprare qualcosa da mangiare.

Non c’è nulla di più umiliante di me, ben vestita, truccata, apparentemente benestante, che vado a piedi per non prendere l’auto che è già in riserva, una donna colta, educata, perbene con in borsa nove euro e cinquanta di monetine rubate ai miei figli. Io che entro e saluto perché lì mi conoscono tutti, io che faccio battute sulla primavera che è già arrivata, sui figli che crescono in fretta e nel frattempo devo fare i conti, senza sbagliare, per comprare del cibo e non sforare quella soglia di nove euro e cinquanta e non incrociare lo sguardo della cassiera mentre tiro fuori le monete.

Non si può raccontare questa storia. Neppure a tua madre. È una storia che mi accoltella ogni volta che la vivo nella mia memoria, ma è il mio trigger e me lo tengo stretto anche se è pieno di aculei.

Come è successo? Ho tanti buoni motivi per avercela con gli altri, soprattutto con gli uomini della mia vita. Ho tanti buoni motivi. Mio padre è il mio primo buon motivo. Il suo attaccamento morboso per i soldi e la convinzione che le donne non debbano gestire il denaro, né guidare perché non sono capaci di fare né l’una né l’altra cosa.

Mio padre che pensa di essere un investitore abile perché ha guadagnato qualcosa investendo in borsa per puro caso nei titoli giusti e durante una clamorosa bolla speculativa. Mio padre che perde tutti i risparmi di famiglia, tutto quello che abbiamo, nel 2002, durante la bolla delle “dotcom”.

Un altro buon motivo per avercela con gli altri è mio marito. Mio marito che è figlio di imprenditori poco colti e che è abituato a trovare i soldi dentro un cassetto. Soldi che ci sono e che servono solo per comprare delle cose. Soldi che se finiscono poi arrivano lo stesso; non si sa come e non si sa perché.

Io sono una donna e non mi sono mai immischiata con questa storia dei soldi. I soldi sono volgari. I soldi puzzano. I soldi sono roba da uomini. C’è un retrogusto sessista e patriarcale in tutta questa storia, lo so, ma io sono una donna di cinquant’anni, sono una donna siciliana, questo è un retaggio che mi scorre sotto la pelle e che fa fatica a spurgare via.

Ma è tornando a casa con quella busta di cibo e uno scontrino di nove euro e ventinove centesimi che capisco che non è più il tempo che io trovi dei colpevoli, ma è il tempo in cui io diventi responsabile della mia vita e soprattutto della vita dei miei figli.

Quel giorno di tre anni fa sono tornata a casa ed ero una donna nuova.

Ho iniziato a studiare finanza personale. Ho studiato il denaro. Cosa è il denaro. Spogliandolo da ogni finto moralismo e tabù. Fino a quando non ho incontrato nel mio percorso di studi, Bitcoin.

Una moneta sana e onesta.

Bitcoin mi ha subito toccato l’anima. Non so spiegare come sia possibile, visto che non sono né un’informatica, né capisco di crittografia. Leggevo di Bitcoin e mi venivano i brividi. Ascoltavo di Bitcoin e mi commuovevo.

Una moneta sana e onesta.

Mi ha colpito la purezza delle sue regole. Creata dagli uomini per proteggersi dagli uomini e per proteggere gli uomini.

Ho pensato: ma come faccio a comprare questo miracolo digitale? Io non ho nulla. Non ho un mio conto. In banca non abbiamo nulla. Abbiamo un sacco di debiti e non posso attingere a quei quattro soldi che ci servono per sopravvivere.

Ci penso su. Entro nella stanza dove ci sono i miei vestiti, le scarpe, gli oggetti che negli anni ho acquistato e capisco che la risposta è lì.

Vendere su Vinted, su Ebay le cose che ho e comprare satoshi. Il cuore batte forte perché so che questa è l’idea giusta.

Cosi lo faccio ed è meraviglioso. Il prezzo di Bitcoin crolla e crolla ed io converto piccoli guadagni delle mie vendite in satoshi a buon mercato. Non vacillo, non ho dubbi.

Quella è la mia strada perché ho promesso a me stessa che nel salvadanaio dei miei figli avrei messo un intero Bitcoin.

KATIA INSERRA

Bitcoiner, mamma di tre figli, scrittrice e imprenditrice

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